Loma Vista / Caroline
A settantadue anni e con un carriera di oltre cinquant’anni Iggy Pop può, e giustamente si arroga il diritto di, fare quello che vuole., anche di dire che “Pop depression” sarebbe stato il suo ultimo disco, per poi smentirsi, prima con la collaborazione con gli Underworld, quindi con la pubblicazione di questo disco. Nella sua intimità e in studio di registrazione la vecchia iguana preferisce da un po’ di tempo utilizzare la formula del cantautorato con derive jazz, strada intrapresa con “Preliminares”, anche se poi ha pubblicato l’ultimo lavoro con gli Stooges e, appunto, “Pop depression” con i Queens Of The Stone Age.
Per “Free”, titolo emblematico e particolarmente calzante sul personaggio, uno dei pochi ad esserlo realmente nel mondo del music business, Iggy Pop ha ingaggiato il trombettista Leron Thomas, autore anche di gran parte dei testi, e il chitarrista Sarah Lipstate alias Noveller, che hanno suonato, fondendo le loro sonorità con delle basi elettroniche.
Il disco si apre con la lunga suite elettronica della title-track, per proseguire con l’unica brano che ha un leggero tiro rock, “Loves missing”, per certi versi vicino al disco precedente e in coppia con il funk di “James Bond”. Per il resto prevale un sound con tappeti electro-jazz con più sfaccettare, vuoi grevi (“Glow in the dark”), vuoi più intima, come nel testo di Lou Reed “We are the people”, brano scelto per dire la sua contro sovranisti e Trump, resa come uno spoken word, jazzato e profondamente malinconico. Un disco malinconico e intimo.
