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Interviste

Parlando di COOLAGE N.1: intervista ad ALCUNELACUNE

Intervista di Serena Lotti | Foto di Andrea Ripamonti

Coolage N° 1 è il disco solista di ALCUNELACUNE, all’anagrafe Andrea Ricci, fino al ’99 membro della storica band ska milanese Vallanzaska e poi fondatore e frontman della band Solidamòr. Un album definito dallo stesso autore una navigazione su “alcune lacune” della vita: quei vuoti che sembravano incolmabili ora, qui, prendono forma, volume, peso, voce”.

Avevamo già parlato con Andrea durante l’uscita del singolo d’esordio Gioco di Prestigio, oggi lo incontriamo per un’intervista dopo la release del disco (lo scorso14 Gennaio 22) durante un freddo pomeriggio di Aprile in Martesana Milano, per un photoshooting in stile vintage urban...

Alcune Lacune a MIlano foto di Andrea Ripamonti per www.rockon.it

Ciao Andrea. Ci eravamo sentiti l’ultima volta a settembre, con la promessa di parlare dell’uscita del tuo nuovo disco, “COOLAGE N.1”. Quel giorno è arrivato, il disco è uscito  il 14 gennaio 2022, un disco che vede la collaborazione di tanti artisti tra cui I Fratelli La Bionda, Gianluca Mancini dei Vallanzaska,  Donato Brienza  dei Figli di Madre Ignota. ci vuoi raccontare  come è nato questo progetto, la sua genesi, e quale è stata l’ispirazione che lo ha guidato?

Ciao Serena, sì, singolo con il bellissimo video in animazione di Gregori Dassi è stato l’apripista. Finalmente, dopo circa 15 anni dallo scioglimento dei Solidamòr mi sono deciso a rimettermi in gioco. Anche se non ho mai smesso di comporre e scrivere per tutto questo tempo non ho pubblicato ne suonato dal vivo musica mia.

Devo dire che è stata la solitudine forzata del lock down a farmi capire che stavo mettendo una parte di me troppo importante. E’ stato come un risveglio. Ma dopo aver sempre suonato in band ho sentito il bisogno di confrontarmi solo con me stesso, con le mie lacune e con i miei punti di forza. Assumendomi pienamente la responsabilità di tutto. Questo mio progetto solista affonda le sue radici in tutti i progetti precedenti. Aver suonato in varie band mi ha permesso di incontrare tante persone veramente speciali, amici, senza le quali nulla potrebbe accadere. In fondo le lacune, questi vuoti interiori, sono gli altri che ti aiutano a colmarli.

E quindi grazie a Donato Brienza che oltre a suonare la chitarra, spesso mi prende per mano e mi tira fuori dalle paludi in cui mi infilo, grazie a Gianluca Mancini che mi ha accolto al Mai Tai Studio e cerca di farmi sentire le cose in modo diverso. Tra le tracce ce anche un brano che composi per i Fratelli La Bionda per un disco prodotto da loro. E’ successo tanti anni fa e diciamo che da lì tutto è iniziato. Mi hanno sempre sostenuto e ancora oggi non perdono occasione per esprimermi il loro affetto e la loro stima. Non posso che essergliene grato.

Oltre alle persone che hai citato tu, vorrei ringraziare anche un amico storico, Manfredi Perrone che mi spinge sempre a guardare meglio le cose oltre che aver collaborato alla scrittura di alcuni testi.

COOLAGE N.1, intitoli così il tuo disco. E’ un nuovo inizio? Chi sei oggi, musicalmente?

Questo disco è una presa di coscienza. Quindi sì, è un nuovo inizio, e avevo bisogno di trovare una parola che descrivesse il mio modo di vivere la musica, oggi, alla mia non più tenera età.

Coolage è un tentativo musivo fatto di mancanze, non di conoscenza. Di tensioni più che di elementi, di persone più che di stili.

Vuol dire non poter prescindere dai rapporti, sia di collaborazione che di amicizia, di condivisione per rendere sempre attuali i “bei tempi” senza doverli archiviare tra le esperienze “del passato”. E’ un viaggio non lineare, che mi slega dal prima e dal dopo. Libero dal tempo. Quindi per “definizione” Coolage non può essere finito, ecco perchè il n.1. E anche se questo fosse l’unico disco con questo titolo o l’unico che faccio in assoluto non potrebbe chiamarsi COOLAGE e basta.

Ovviamente io spero di poterne fare altri. Ho già materiale a cui sto lavorando. Canzoni e musica che scalpitano…

Ma non so dirti se un eventuale secondo disco si chiamerà Coolage n.2. Magari si chiamerà Carlo, Patrizia o magari direttamente Coolage n.3.

So che ho bisogno e voglia di cercare. Io non credo in Dio, ma ho sempre avuto una grande sete di fede e la passione per la musica, il modo in cui mi coinvolge sono la cosa che più si avvicina a questa dimensione. Qualcosa che trascenda da me. Qualcosa che mi faccia dire “noi”. Io da solo non funziono, non mi basto, non mi interesso. E spesso questa cosa è anche un problema.

Fare musica, scrivere, sono cose che ti mettono in relazione agli altri, al mondo e io, facendo un altro lavoro, l’architetto, ho la fortuna di potermi godere questa ricerca.

Alcune Lacune a MIlano foto di Andrea Ripamonti per www.rockon.it

L’album ha un sapore melodico retro e delicato, e la presenza di ritmi sudamericani, tracce di musica popolare, elementi di blues e bossanova danno al contempo ai brani un carattere passionale e romantico. Raccontaci come hai messo insieme tutti questi elementi, quale è stato il filo conduttore che ha tenuto tutte influenze in equilibrio?

Il coolage tiene insieme immagini, suoni e parole che arrivano da luoghi, momenti e situazioni differenti. È un modo per mischiare, prendere in prestito, ispirarsi a musiche legate a territori e culture anche lontane. Mi ha sempre attratto la musica popolare, che è una culla che accoglie, una casa che conserva, un linguaggio che permette di essere compresi. Io sento il bisogno di “appartenere” ed interpretare a modo mio qualcosa di condiviso, senza perdermi alla ricerca di soluzioni a tutti i costi “innovative” con l’ausilio di strumenti ormai onnipotenti. E’ la volontà di trovarmi in altri luoghi, in altri tempi, nell’altrove e nell’altro. Se facendo questo arrivo a qualcosa di diverso o di nuovo tanto meglio, ma non è una mia priorità.

Ho voglia di perdermi in strade, paesaggi, momenti e le situazioni anche se spesso sembrano non appartenermi e inconciliabili tra loro.

Forse la mia natura è proprio questa e il mio non può essere un percorso lineare ma bensì una visione in cui, mi auguro, un giorno i vari elementi potranno comporre un disegno che va guardato da lontano.

Se in questo istante, se in questo disco c’è equilibrio non lo so. Ho sempre pensato all’equilibrio come a una situazione dinamica. Bisogna solo vedere quanto sono ampie le oscillazioni, quanto tempo è necessario per vedere se la cosa “sta in piedi”.

Noi ti conosciamo dai tempi del Progetto Solidamor, dove avevi già sperimentato il cantato in spagnolo e in francese. Questa volta ti approcci all’inglese. Raccontaci come è nata questa scelta.

Io scrivo sempre prima la musica e spesso accosto già alla melodia dei fonemi che somigliano a qualche lingua. Ai tempi dei Solidamòr i miei riferimenti erano la Mano Negra, i Los Fabulosos Cadillacs, gli Zebda, Les Negresses Vertes, i Macaco: tutti gruppi “pachankeri” che cantavano molto in spagnolo o in francese. Le melodie che mi venivano spesso erano accostate a suoni di quel tipo.

Allora mi ero “costretto” in un genere mentre adesso mi sento molto più libero, sono molto più aperto. E in fondo quanta musica inglese e americana ho amato in vita mia?! Quindi se una melodia nasce con versi che sembrano inglese, che inglese sia…. e pazienza se non ho una pronuncia impeccabile.

Scrivere i testi è comunque difficile. In italiano anche di più.

Alcune Lacune a MIlano foto di Andrea Ripamonti per www.rockon.it

Possiamo definire questo  disco il della maturità? Che evoluzione ha fatto la tua musica rispetto ai tuoi primi progetti giovanili?

Ho iniziato suonato la batteria al liceo. Poi sono passato al sax tenore con cui mi sono preso belle soddisfazioni ai tempi dei Supermacanudo e dei Vallanzaska.

Ho sempre contribuito a scrivere, comporre e arrangiare.

Poi ho sentito il bisogno di mettere su un gruppo che fosse una tribù. Militante. Sognavo la Mano Negra. Avevo bisogno di un esperienza totalizzante e di esprimermi anche a livello politico. Volevo, parafrasando gli Afterhours, “fare qualcosa che servisse” e così ho messo in piedi i Solidamòr e ho cercato di togliermi di dosso il velo dell’ironia sotto cui i Vallanzaska mio avevano accolto  per assumermi pienamente la responsabilità di quello che dicevo e che scrivevo senza limitarmi ai giochi di parole che, per carità, non rinnego affatto (a quei tempi ho scritto cose tipo “vorrei vedere le piramidi di Cheope ma sono miope” o “cazzo c’è Orazio pirata dello spazio”)!

Ma, con i Solidamòr, senza rendermene conto mi ero “ingabbiato” e anche se ho sempre ascoltato di tutto, forzavo me stesso e le cose che scrivevo per entrare nel calderone della Patchanka.

All’epoca ho scritto canzoni che adesso finalmente posso suonare in modo più sincero. E ne scrivo di nuove senza costringerle e senza costringermi ad essere ciò che non sono.

In fondo non sono uno cresciuto in una banlieu parigina, a Marsiglia, nei Paesi Baschi o in qualche porto del Mediterraneo. Sono un napoletano trapiantato a Milano, architetto figlio di architetti. E da 14 anni sono padre.

Diciamo che questa cosa che pare ora così ovvia è stata per me una grande scoperta. La mia musica mi rispecchia di più e per assurdo adesso mi sento di aver rotto le sbarre e vagare libero per la savana. E sento di avere ancora troppo da scoprire per dire che mi sento maturo.

Con chi ti piacerebbe fare un feat?

Aiuto! Onestamente non ci ho mai pensato. Detta così poteri dirti chiunque. Sarei troppo curioso di collaborare con chiunque. Ora come ora mi piacerebbe collaborare con un artista russo o ucraino o ancora meglio con entrambi. Sarebbe una cosa stupenda. Ora mi documento… Rimanendo con i piedi per terra, mi piacerebbe collaborare con persone con cui ho suonato in passato per vedere come sono cambiato io e come sono cambiate loro. Uno su tutti è Iasko (al secolo Stefano Iascone) e i suoi Cacao Mental. Oppure Davide Romagnoni, cantante dei Vallanzaska.

Consigli 3 dischi ai lettori di Rockon?

Penso a dischi che forse non conoscono in tanti ma che a me sono entrati sotto pelle.

1 – La marcha del golazo solitario dei Los Fabulosos Cadillacs è un disco che mi ha aiutato scardinare la gabbia in cui mi ero infilato.

2 – Pithecanthropus erectus di Charles Mingus

3 – Body Count, il disco omonimo.

Clicca qui per vedere le foto di AlcuneLacune a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)

Alcune Lacune
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Milanese, soffro di disordini musicali e morbosità compulsiva verso qualsiasi forma artistica. Cerco insieme il contrasto e il suo opposto e sono attratta da tutto quello che ha in se follia e inquietudine. Incredibilmente entusiasta della vita, con quell’attitudine schizofrenica che mi contraddistingue, amo le persone, ascoltare storie e cercare la via verso l’infinito, ma senza esagerare. In fondo un grande uomo una volta ha detto “Ognuno ha l’infinito che si merita”.

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