Diego Esposito torna sulla scena musicale con il suo nuovo singolo I giorni (per luovo e distribuito da Epic/Sony Music), un brano che ci avvolge in un turbine di emozioni.
La scrittura del cantautore toscano, con parole semplici ma sincere, crea una ventata di aria fresca e ci colpisce fin da subito, facendoci immedesimare nei suoi testi, intrisi di vita quotidiana ed esperienze vissute dal cantautore che potrebbero essere però quelle di ognuno di noi.
Nell’ultimo brano, dopo singoli di successo come “Guerramondiale“, “Regionale” e “Léon“, Esposito ci parla del tempo, salvezza e rovina, un tempo che scorre imperterrito lasciandosi alle spalle tutto ciò che accade, dagli attimi più belli ai momenti più difficili, prima ancora che possiamo accorgercene.
“I giorni non ritornano
i problemi non finiscono mai
e non importa se perdiamo tempo
che ce ne abbiamo tanto”.
Il cantautore tocca le corde giuste dei suoi ascoltatori, e attraverso la sua voce calda riesce a evocare immagini, quanto mai attuali, di giorni trascorsi in questi ultimi anni, in cui il tempo si è dilatato e sembrava forse non passare mai, per poi riprendere a scorrere forse anche troppo velocemente.
Noi di Futura 1993 gli abbiamo fatto qualche domanda dopo l’uscita del singolo, leggi cosa ci ha risposto!
Il tuo ultimo album è uscito nel 2019, un anno prima dell’inizio della pandemia. Il primo aprile invece hai presentato il tuo singolo I giorni, che parla del tempo che scorre veloce, con giorni che non ritornano e problemi che non finiscono mai, come canti. Da quel 2019 che cosa è cambiato? Che impatto ha avuto su di te e il tuo modo di fare musica l’isolamento?
È stato strano come per tutti credo, è come se mi avessero rubato due anni di vita. Nel 2019 stavo per partire in tour, avrei portato la mia musica in giro per tutta l’Italia e invece mi sono ritrovato chiuso in casa a Milano, uscivo ogni due settimane per fare la spesa, era una situazione del tutto surreale, inizialmente non avevo voglia nemmeno di scrivere. Poi proprio in quel periodo è nata “I giorni”, è venuta fuori da sola, di getto, è per questo che le strofe sono così serrate.
Parlando proprio dello scontro tra lentezza e frenesia, tu dalla Toscana ti sei spostato a Milano, emblema della frenesia e della rapidità. Che rapporto hai con questa città e che cosa ti ha dato anche a livello musicale?
Mi sono trasferito a Milano 15 anni fa, ero un cucciolo di uomo, in realtà non avevo grandissime aspettative sulla mia carriera artistica, volevo solo andare via di casa. Milano è una città a cui voglio tanto bene, è una città aperta, accoglie tutti e ti fa sentire a casa, di sicuro da quando mi sono trasferito qui ho avuto una maggiore spinta per fare musica. In realtà non so se sarei riuscito a fare questo se fossi rimasto in Toscana all’epoca, ma oggi è diverso, le distanze non si percepiscono più.
C’è un posto a Milano in cui hai suonato che ti è piaciuto particolarmente e che ricordi per qualche motivo?
Certo! Il mio posto preferito era il Circolo Ohibò che purtroppo non esiste più. È un posto che porto nel cuore perché andavo sempre a vederci i concerti delle mie band preferite e poi suonarci è stato fantastico, trovavo sempre una bella atmosfera.
Qual è stato per te il tuo miglior concerto e perché?
Il mio miglior concerto non saprei… forse a Laigueglia in duo acustico con Stef (amico chitarrista che suona con me da sempre). Era una manifestazione organizzata dal Club Tenco. Mi piacque tantissimo perché il concerto era in una piazza gremita di persone che ascoltavano in religioso le mie canzoni, un’atmosfera surreale, un’educazione che pochissime volte ho ritrovato.
Quali pensi siano le caratteristiche principali che dovrebbe avere un autore (in ambito musicale) oggi?
Le caratteristiche forse sono sempre le solite, cioè: la spontaneità, la verità nelle canzoni, una buona dose di coraggio, la cosa che cambia è il linguaggio, ma credo sia normale.
Qual è invece la cosa più bella di scrivere assieme a qualcun altro? C’è qualcuno in particolare con cui ti sei trovato meglio a lavorare?
La cosa bella è il legame che si crea, nella maggior parte dei casi nasce un’amicizia vera. La persona con cui mi sono trovato subito al 100% è Zibba, abbiamo scritto diverse canzoni insieme. Un’altra è sicuramente Marte, di lei mi stupisce la velocità con cui portiamo a termine una canzone, poi lei usa delle immagini che sono sempre molto originali, insomma, mi piace il suo modo di fare.
Come mai hai scelto Atelier Florania per la grafica del singolo e cosa ti lega a loro?
Floriana è fuori dagli schemi, è spontanea, mi piacciono le sue idee e il modo che ha di vedere le cose, usa soltanto materiali riciclati, è attenta all’ambiente e credo che questo sia fondamentale in questo periodo storico.
Qual è la cosa che ti è mancata maggiormente dei live?
La cosa che mi è mancata e mi manca di più è la fine dei concerti, quando hai scaricato l’adrenalina, è l’unico momento in cui mi sento rilassato. Sono due anni che non suono, immaginate come posso essere esaurito in questo momento!
Quando hai capito che volevi fare della musica la tua vita?
L’ho capito da piccolo, non ho mai pensato di voler fare altro in realtà. La musica è l’unica cosa che mi fa concentrare senza che sia un peso, per tutto il resto faccio un po’ fatica.
A cura di Gloria Deiuri
