Articolo di Umberto Scaramozzino
Conclusa l’edizione 2025 del Premio Buscaglione di Torino, il concorso biennale che da ormai quindici anni lancia e valorizza artisti emergenti di ogni genere, ciò che resta è qualcosa in più del vincitore. O almeno questa è la speranza, in un momento storico in cui emergere è sempre più difficile. Come ogni volta il contenitore si apre e rivela un contenuto ricco, variegato e da approfondire anche e soprattutto dopo la chiusura della manifestazione. Alcuni artisti li rivedremo sui palchi di tutta Italia grazie ai vari premi assegnati, altri dovremmo iniziare a seguirli e supportarli con un po’ più di buona volontà.
Ecco i cinque artisti più interessanti emersi dal premio.
Alec Temple
Partiamo dall’asso pigliatutto di questa edizione, ovvero l’artista che si è aggiudicato il Primo Premio, il Premio Booster e il nuovo Premio Discografico: Alec Temple. “Reincarnazione di Shirley Temple senza riccioli d’oro e più sintetizzatori”, così si definisce il cantautore di Cremona che arriva sul palco del Buscaglione per dare uno scossone alla sua carriera e smettere di arrivare in finale con l’amaro in bocca per l’ennesima vittoria sfiorata, come accaduto in tanti altri contest prima di questo. Vuole dimostrare a sua madre di aver scelto la strada giusta, di aver scelto il lavoro giusto. E non è solo l’incetta di premi a dargli ragione, ma la sensazione diffusa che sul palco ci sia un potenziale gigantesco e che questo sia senza dubbio il progetto con più mercato e prospettiva di tutta l’edizione. Alec è talentuoso, un performer di ottimo livello, una voce riconoscibile e una penna che ha il pregio di non lasciarci distrarre dall’ennesima cassa dritta della scena. Si balla, sì, ma sempre con l’orecchio teso al suo personale racconto.
1 44 9 8
Troviamo un altro grande vincitore “sotto il cielo di Fred”, come si suol dire nell’ambito del Premio Buscaglione: Lorenzo Zuliani, il rapper noto con il monicker “1 44 9 8”. Nome complicato, avulso dal contesto e dalle logiche del mercato perché difficile da cercare, taggare, indicizzare. Si pensava fosse anche difficile da ricordare, ma grazie alla sostanza tirata fuori sul palco è probabile che quasi tutto il pubblico dell’evento lo ricorderà. Giocava in casa, riportando il rap old school sotto i riflettori della sua Torino, ma il successo dell’artista classe ’98 tra i ranghi della folta giuria e del pubblico non ha nulla a che fare con il cameratismo. Il merito è del flow, dell’attitudine e di alcune barre memorabili. Per la sua collocazione nel contesto, ha vinto ciò che doveva vincere: Premio della critica e Premio riflettori. Siamo certamente solo all’inizio di un percorso estremamente interessante.

Unadasola
Anche se non hanno passato le semifinali, gli Unadasola hanno lasciato il segno. Due amici, Arianna Lorenzi e Francesco Tommasi, che partendo dai rispettivi percorsi di studio in canto lirico e chitarra jazz hanno deciso di mettere a frutto i loro talenti e la loro passione comune in un progetto ambizioso, fatto di atmosfere sognanti, cantautorato malinconico, melodie pop e musica elettronica ad alta intensità. Avere presente la bellissima e abusatissima espressione “paesaggio sonoro”? Ecco, in questo caso è davvero calzante. Ed è un grande, grandissimo peccato che non siano approdati in finale, perché avrebbero meritato l’occasione di farsi riascoltare, dato che la loro era forse la proposta meno immediata e più stratificata. Musica che cresce, si espande come una pianta rampicante fino a toccare i punti giusti e raggiungere il fine più importante: emozionare. L’album d’esordio di questo prezioso duo toscano è già disponibile su tutte le piattaforme. Si intitola “Lineagialla”, è prodotto da Emma Nolde e Andrea Pachetti, ed è un lavoro che merita di essere ascoltato con grande attenzione
Katana Koala Kiwi
I Katana Koala Kiwi in finale ci sono arrivati, ma purtroppo sono rimasti a bocca asciutta di premi. Poco male, perché probabilmente il loro nome ha iniziato a rimbalzare di bocca in bocca già dopo la prima semifinale, sul palco di Off Topic a Torino. La band triestina ha coraggio da vendere. Intanto perché cerca provocatoriamente di riappropriarsi di un acronimo storicamente legato a qualcosa di orribile, ma anche perché lo fa con un’idea di musica che di solito in questo paese non si fa, o se si fa non vende. La loro ricetta fonde il post-rock con delle ottime contaminazioni elettroniche, un pizzico di indie e il cantato in lingua italiana. Però, fondamentalmente, resto post-rock, fatto bene. La verità è che il successo di progetti come Explosions in the Sky e dei Mogwai (che sono le grandi fonti di ispirazione dei Katana) è già di per sé glitch nel sistema e i Nostri, proprio come i loro numi tutelari, vogliono sovvertire il pronostico e ribaltare la tendenza.
Androgynus
Androgynus, nome d’arte di Gabriele Bernabò, è un artista toscano che oggi più che mai potrebbe vantarsi di aver aperto l’ultimo tour di Lucio Corsi, eppure non lo fa. Figlio di un liutaio, laurea magistrale in violino al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, due album già all’attivo e un’attitudine da artista di provincia d’altri tempi, che il sabato sera preferisce stare a casa a suonare piuttosto che uscire. Il miglior cantautorato di tradizione italiana incontra il glam rock con la gradita incursione di un violino (scandalosamente bianco) e con l’ambizione di creare un sound moderno con l’uso di strumenti vintage. Il suo progetto è quello con le premesse più interessanti, motivo per cui forse patisce un po’ la prova finale e nonostante l’hype si porta a casa solo il Premio Produzione, che è una discreta consolazione che impreziosisce un percorso già più che ben avviato.

