Articolo di Laura Faccenda | Foto di Luca Ortolani
La pubblicazione di una raccolta rappresenta sempre un resoconto, un traguardo.
Con Vivi si muore 1999-2019, best of uscito il 5 febbraio scorso, gli Zen Circus hanno celebrato i vent’anni di carriera musicale, regalando ai loro fan anche un inedito, oltre a L’amore è una dittatura, presentato a Sanremo. Un brano che è arrivato dritto al cuore: il riflesso di uno specchio, il perimetro di una cicatrice, lo sguardo di un bambino, la consapevolezza di un percorso, la volontà di restare. Il mare, le ossa, le lacrime. La festa.
La stessa festa organizzata in occasione dell’attesissimo concerto del 12 aprile al PalaDozza di Bologna. L’obiettivo del palazzetto raggiunto. Quello del sold out, anche. E un altro, importante anniversario da ricordare: i dieci anni di Andate tutti affanculo, primo album scritto completamente in italiano.
Sono le 21.30. Gli spalti e il parterre accolgono un pubblico carico e trepidante. Quando le luci si spengono, si accendono quattro cifre sullo schermo. Un gigante 2019, bianco su nero, accompagnato in sottofondo da una voce che recita citazioni tratte da Apocalypse Now e che sfumano nei versi de Il cielo in una stanza di Gino Paoli, immancabile introduzione. Un conto alla rovescia, negli anni. Un flashback rapidissimo, fino al 2009 che risuona delle note dell’Inno di Mameli. Con il sorriso stampato in volto, la chitarra in mano e l’ironico cinismo come marchio di fabbrica, Andrea Appino apre il sipario del circo Zen con Gente di merda. In prima linea, con lui, Ufo e il Maestro Pellegrini, in forma smagliante. Karim Qqqru, alla batteria, è incontenibile e lancia già la maglia nell’intro di La terza guerra mondiale, secondo pezzo in scaletta.
Il vecchio e il nuovo si alternano, si rincorrono, coesistono. Catene, Vent’anni, Non voglio ballare, Ragazza eroina fino a Il fuoco in una stanza. Contrasti luminosi e riverberi dalle atmosfere rossastre avvolgono in un abbraccio incandescente che si scioglie nelle urla, nel pogo violento e nel sudore di Andate tutti affanculo e di Ilenia, introdotta, con un effetto rewind, dal video del dialogo che, invece, nel disco chiude la canzone.
“Ogni volta è sempre più bello” – confessa emozionato Appino – “E per questa festa abbiamo voluto invitare alcuni grandi artisti, nostri amici prima di tutto. Lui ci ha sempre aiutato, sostenuto, rimproverato. Signore e signori, Giorgio Canali”. Il leader dei Rossofuoco è protagonista di un’energica esecuzione di Vecchi senza esperienza che definirà soltanto come il modo per introdurre come si deve Pisa merda che sventola, ad ogni live, come una bandiera perché “la provincia è uno stato mentale”.
La seconda sorpresa arriva per la traccia numero cinque dell’album festeggiato. Nel 2009, come oggi, è Nada che dà voce ai versi di Vuoti a perdere. Sale sul palco e prende la scena con il suo fascino senza tempo, solare, libero. Una performance dall’estensione emotiva e vocale che sovrasta e rende impeccabile anche l’acustica non proprio favorevole del PalaDozza.
Se per Ragazzo eroe e Mexican Requiem, Karim si trasforma nel mattatore della serata, abbandonando piatti e timpani e suonando in giro per il palco la sua fidata washboard, su Figlio di Puttana è annunciato il terzo ospite, il cantautore Dente.
“Ragazzi è giunto il momento di ricordare il giorno più importante dell’anno”. A queste parole, i fan già intuiscono che è l’ora di Canzone di Natale, ballata dalle tinte tossico-familiari divenuta celebre per la telefonata finale tra il ragazzo “in astinenza” e Abdul, il suo Babbo Natale. Telefonata rievocata live da Ufo e Karim, con il richiamo a una location speciale, il parco della Montagnola di Bologna.
Ritmi serrati e distorsioni malinconiche trascinano, canzone dopo canzone, fino a un brano che non rientra nel repertorio autografo di Appino e compagni. È stato un featuring, nel 2007, con quello che viene descritto al microfono come il più grande gruppo rock italiano. Ecco spuntare i Tre Allegri Ragazzi Morti, nelle loro fantasmagoriche maschere, per suonare Mio fratellino ha scoperto il rock ‘n’roll. Ed è proprio Davide Toffolo, in uno scambio di ruoli, a presentare solennemente, uno per uno, tutti i membri degli Zen Circus. Nessuna pausa, nessuna interruzione. Un solo nome, illuminato, sul maxischermo. Motta. La sua vicinanza artistica ed umana con gli Zen è ormai cosa nota. In Fino a spaccarti due o tre denti, il cantautore si inginocchia per abbracciare Andrea Appino. Una mano sul microfono, l’altra sulla testa del collega, amico e fratello. E una mano sul cuore per un ringraziamento speciale “agli Zen Circus, la mia famiglia”.
È la volta di L’amore è una dittatura, canzone con cui la band ha calcato il palco della sessantanovesima edizione di Sanremo. Un palco particolare quello, su cui sono saliti, insieme, “un esercito, una comunità, una città intera fatta di concerti, festival, locali, palazzetti e piazze che, per vent’anni sono stati – e sempre saranno – le nostre chiese… dove sudore, lacrime e sorrisi sono le nostre liturgie”.
Perché è questa la dimensione ricreata dagli Zen. La dimensione costruita sulle transenne, sulle vite vissute e raccontate, sulle strade percorse tra Firenze, Rimini e Ferrara, sui bar di provincia, sul cuore e sul quell’anima che esiste, che pesa, che smania di liberarsi e di librarsi, lontana, alta come il coro intonato da tutto il pubblico bolognese per L’anima non conta.
E dopo due ore e mezzo di concerto, guardandoci dentro, indietro, attorno, con il suono delle chitarre e l’eco delle parole di Viva nelle orecchie, si realizza che gli altri siamo noi, quelli in crisi da una vita, quelli che vivi si muore e quelli che forse, per una sera, possono rispondere alle domande: “Di cosa ballate? Di cosa vi fate?”. Di empatia, di emozioni, di sorrisi, di musica.
Clicca qui per vedere le foto degli The Zen Circus a Bologna (o sfoglia la fotogallery qui sotto).
THE ZEN CIRCUS – La setlist del concerto di Bologna
Gente di merda
La terza guerra mondiale
Catene
Vent’anni
Non voglio ballare
Il Nulla
Il fuoco in una stanza
Andate tutti affanculo
Ilenia
La teoria delle stringhe
Vecchi senza esperienza (with Giorgio Canali)
Zingara
I qualunquisti
Vuoti a perdere (with Nada)
Ragazzo eroe
Pisa merda
Figlio di puttana (with Dente)
Canzone di Natale
L’egoista
Nati per subire
Mio fratellino ha scoperto il rock ‘n folk (with Tre Allegri Ragazzi Morti)
Encore:
Fino a spaccarti due o tre denti (with Motta)
L’amore è una dittatura
L’anima non conta
Viva
