Articolo di Jennifer Carminati
Per l’unica data italiana del loro Witness Tour Europe 2022 i VOLA scelgono Milano in quel del Legend Club, che per l’occasione è sold out, e lo si evince già quando ci si avvicina al locale passando dal giardino e si intravede un lungo serpentone di persone diligentemente in coda ad attendere l’apertura delle porte, che puntuale avviene alle 20 facendo defluire il flusso di fan all’interno per accalappiarsi le prime file.
Altro giro, altra corsa…e altra birra (era così che diceva il noto modo di dire, giusto?!) mentre attendo l’inizio di quello che si prospetta essere un vero e proprio viaggio attraverso le sonorità più disparate, perché questa sera ad accompagnare i VOLA ci saranno ben due band di supporto: il trio americano FOUR STROKE BARON, un’eccellenza emersa negli ultimi anni grazie a un sound originale che unisce new-wave e heavy progressive rock e gli australiani VOYAGER, una delle progressive metal band più eclettiche e ispirate del nuovo millennio.
Il metallaro si sa, è di indole intransigente e chiusa, ma questa sera gli viene chiesto di aprire la mente e lasciarsi trasportare da nuovi ascolti. Il nome stesso degli headliner riflette la loro intenzione di “cercare di rendere i nostri ritornelli molto maestosi e grandiosi” e far volare attraverso sonorità differenti. Ammetto che l’approccio ai danesi è difficile e a tratti davvero ostico, anche per la sottoscritta che pur si ritiene open minded, ma diamogli il beneficio del dubbio e vediamo come va questa sera prima di trarre l’ardua sentenza.
Ad iniziare il nostro voyage ci pensano i Four Stroke Baron, trio originario di Reno in Nevada composta da Kirk Witt (chitarrista e voce), Keegan Ferrari (basso) e Matt Vallarino (batteria), che si muove tra l’eccentrico prog, la natura groovy e ballabile del nu-metal e della new wave degli anni ’80 e il synth pop ormai irrinunciabile per molti gruppi. A mio parere sono una band impossibile da classificare, onestamente qualsiasi tentativo di inserirli in uno dei tanti sottogeneri della musica pesante sarebbe solo riduttivo. Questa loro miscela veramente originale di rock progressive, metal elettrizzante, psichedelia al punto giusto risulta piacevole anche ad un primo ascolto, non risulta mai noiosa, tutt’altro, ti invoglia a sentire il pezzo successivo. La scaletta permette di muoversi tra prog metal, synth pop e crossover, con canzoni l’una totalmente diversa dall’altra, a rimarcare la loro controtendenza con tutto e tutti. Il loro ultimo album “Classics” del 2021 è uscito per la Prosthetic ma debbo dire che hanno parti vocali che sembrano scritte per un disco dei Tears For Fears o dei Type o Negative e non certo per una casa discografica specializzata nell’heavy metal.

Sul palco la fanno da padrona il duo Kirk e Keegan, molto affiatati e compatti. Da un lato c’è Witt che dietro i suoi occhiali sembra essere molto concentrato e ci offre una buona interpretazione, con una voce a volte campionata a volte robotica. Mai sopra le righe, sempre composto nella sua felpa adidas, fa il suo compito a dovere. Dall’altra il bassista Ferrari, il vero motore della band, ma che altro aspettarsi da uno con questo cognome direte voi, e infatti il biondone riccio dietro la sua maglietta bianca della salute riesce a trascinare il pubblico nelle loro melodie e con il suo sorriso divertito stampato in faccia e lo sguardo a cercare quello di chi li sta ascoltando probabilmente per la prima volta, riesce davvero a coinvolgere tutti i presenti. E dopo alcuni one more song baby arriva la last song e la mezz’ora a loro disposizione giunge al termine purtroppo, li avrei ascoltati ancora volentieri. I Four Stroke Baron questa sera ci hanno dato solo un assaggio del loro potenziale e della loro capacità di sperimentazione estrema. Non sono certo facili all’ascolto ma se si è amanti di quelle cose un po’ fuori dagli schemi tipo Tool per intenderci, andate ad ascoltare i loro quattro album come farò io già da domani, perché meritano davvero il dovuto approfondimento. Veramente una piacevole sorpresa questo originalissimo trio americano, ottimo inizio di serata direi.
Il viaggio mentale continua con i Voyager, gruppo fondato nel 1999 a Perth, sotto contratto con Season Of Mist ha realizzato ben sette album ma ammetto di non averli mai sentiti nominare prima di questa sera, mea culpa. A differenza dei loro predecessori il quintetto australiano sono di più facile categorizzazione all’interno dell’ampia famiglia che va sotto il nome di rock progressivo, anche se con spunti alternativi che virano verso il power metal ed un gusto per le melodie che non passa certo inosservato al buon ascoltatore. In scaletta ci propongono tracks che attingono da molti dei loro lavori ma principalmente dal loro ultimo album in studio “Colours in the sun” del 2021. Ogni brano proposto devo dire ha la sua raison d’être, una sua personalità specifica, un suo posto nell’insieme. “Brightstar” credo si possa definire il loro brano manifesto, in cui è riassunta tutta la loro attitudine. Molto efficaci ed espressive per maestosità anche “Colours“, “Hyperventilating“, “Ascension. Nei circa 45min a loro disposizione ci hanno mostrato una sinergia perfetta tra tutti i membri della band: la prestazione vocale di Danny Estrin, grande personalità sul palco e meravigliosa timbrica, era degnamente accompagnata da una sezione ritmica eccellente. I Voyager dopo oltre vent’anni si divertono ancora insieme e lo si vede in tutto e per tutto, da come suonano in maniera impeccabile a come si passano la palla gli uni con gli altri sorridendo, dando il giusto tributo ad ogni membro della band con a ciascuno il suo momento di gloria ed un assolo più che meritato. Menzione d’onore alla piccola chitarrista Simone Dow, uragano d’energia continuamente saltellante, strumentista di talento, pietra angolare del sound multiforme dei Voyager. Al pubblico è piaciuto molto il loro atteggiamento privo di pose e carico di entusiasmo, per questo il tempo è trascorso velocemente, le loro canzoni sono immediate e orecchiabili indubbiamente, ma mai facilone. Anche per il combo di Perth non posso che indirizzarmi verso un più approfondito ascolto perché, e vi chiesto scusa per la chiusura facile ma sentita, con i Voyager il viaggio è assicurato.

Ed ecco finalmente arrivare il momento dei tanto attesi headliner della serata. I danesi VOLA che sin dal loro debutto avvenuto nel 2015 con la pubblicazione di “Inmazes” hanno diviso la critica in due fazioni ben distinte: da una parte vi è chi li ha esaltati come una novità di tutto rispetto nel panorama progressive, con tinte accattivanti e piacevolmente commerciali; dall’altra vi è invece chi li ha considerati una band assai prevedibile. Con il loro terzo e ultimo lavoro in studio “Witness” del 2021 sono riusciti a consolidare e affermare il loro sound e per i loro numerosi fan italiani l’attesa per poter vedere dal vivo il quartetto danese ha continuato a montare a dismisura con la consapevolezza di poter ritrovare una band ancor più solida rispetto a quanto già mostrato nel nostro Paese nel 2019. Quest’anno hanno realizzato il loro primo album dal vivo “Live from the pool”, show in streaming realizzato in tempo di pandemia. Location scelta per l’esibizione è stata una piscina abbandonata in un ex accampamento militare vicino Copenaghen, dove i quattro musicisti, in cerchio gli uni di fronte agli altri, hanno condiviso la scena con la natura che si è reimpossessata della struttura e con un’elegante installazione di luci al neon a tagliare il buio assoluto. È stata indubbiamente l’occasione per mostrare al loro pubblico e anche a chi non li ha mai visti la loro resa tecnica e sonora live, cosa che ci hanno assolutamente dimostrato anche questa sera. La setilist valorizza principalmente i singoli di “Witness”, partendo dall’atmosfera elettronica, ipnotica e commovente, di “24 Light Years”, che dopo un breve intro, lascia spazio ad un bellissimo beat di batteria che fa da tappeto a tutto il resto, analogamente a quanto succede con il pianoforte in “Ruby Pool” preso invece da “Applause of a distant crowd” del 2018. Da questi due album verranno presi circa 6-7 pezzi ciascuno. In “Alien Shivers” i beat elettronici si fondono con riff più propriamente progressivi mentre “Napalm” rispetta le promesse del nome: un djent convincente e distruttivo, condito da un guitarwork compatto e originale allo stesso tempo. Refrain discreto, senza dubbio l’elettronica qui non disturba ma si amalgama con intelligenza al sound che dà il meglio di sé nell’esplosione finale in un climax da capogiro. Il ritmo è molto serrato sin dai primi pezzi, il beat è sottolineato anche dalle tastiere spesso presenti nei brani del trio danese che non si risparmia sul palco e ringrazia più volte il pubblico accorso questa sera. Ed ecco arrivare il cavallo di battaglia che i VOLA hanno in “Stray The Skies”, pezzo che dal vivo conserva una carica speciale rafforzata dalla voce del pubblico che canta a squarciagola. Sottile e leggera come dice il titolo stesso “We are thin air”, con un riffing cadenzato ed un arrangiamento elettronico splendido a fare da base ad una serie di ottime linee vocali, a loro modo rilassanti. Variamo subito di nuovo il ritmo con i riff pesanti di “Future bird”, linee di basso autonome e ispirate, strofe funzionali all’arrivo dei ritornelli decisamente ben scritti. Non me ne vogliano ma mi sentirei quasi di scomodare i Depeche Mode per le parti vocali di “Your Mind Is a Helpless Dreamer” seppur con ritmi notevolmente accelerati. Nonostante l’apparente pacatezza dei VOLA, la performance non manca di energia e dinamismo che troviamo per esempio in “These Black Claws” scritta in collaborazione con il rapper Shahmen, con un bel videoclip a supporto che mi è capitato di recente di vedere e vi consiglio di fare lo stesso. Dopo un’apertura con chitarre possenti e atmosfera inquietante, ecco che arriva la parte rap già accennata lungo tutto il brano dal beat sullo sfondo. Il breakdown è comunque ottimo, anche senza la presenza del rapper, e porta verso la conclusione di una canzone sicuramente originale e atipica: potrà piacere a molti, forse un po’ meno ad altri, rappresenta comunque un unicum davvero particolare, e dimostra l’open-minded dei Nostri (un po’ meno quella del metallaro D.O.C. che storce il naso, come si diceva inizialmente). Durante lo show siamo come in viaggio nel tempo, con “Ghosts” ci riportano ad atmosfere rarefatte di matrice 70s/80s mentre con “Head Mounted Sideways”, si inizia con una sezione dura rigida e precisa, molto djent alla Meshuggah, con tanto di voce robotica, per poi passare a delle sonorità epiche, il tutto scandito da un incessante riff che in questo caso accompagna ed esalta secondo autentica tradizione nordica, la tastiera di Martin Werner. A chiudere la prima parte ci pensano la concitata “Smartfriend” e quello che sembra essere il manifesto dei VOLA, “Straight Lines”, che ci investe immediatamente con un intricato riff djent, il cui giro portante di keys e chitarra coinvolge in pochissimi secondi, mentre un chorus da Eurovision vi manderebbe a prendere una boccata d’aria e una birra al volo canticchiando ma fermatevi non c’è tempo perché rieccoli subito sul palco con l’encore lasciata alla dinamicamente diretta “Whaler” e a seguire a ruota “Inside your fur”, elettronica e melodia fusi alla perfezione, in cui la fa da protagonista la partitura di basso di Mogensen. Circa un’ora e mezza di scorrevole intrattenimento che ha un occhio di riguardo per tutto: luci, tecnica, qualità e fluidità delle songs scelte per il live. Ciò che identifica maggiormente il sound dei VOLA è l’uso dell’elettronica, raffinato in primis, a tratti ossessivo e più ballabile, comunque sempre piuttosto ingombrante e, di seguito, le curatissime melodie, vocali, di tastiere o di synth che siano, atte ad infondere nell’ascoltatore sensazioni profonde ed emozionali, quasi mai negative ed oppressive, bensì molto serene e distese. Il sound dei VOLA è sostanzialmente semplice, molto votato alle melodie di facile assimilazione, in grado di impressionare certamente gli ascoltatori più giovani che gradiscono le sonorità edulcorate della scena djent moderna. Al passo coi tempi ci stanno benissimo, non fanno molto per anticiparli, tutto qui. Per chi come me giovane non lo è più (almeno non nel senso stretto del termine) e si hanno tanti ascolti nelle orecchie, si sa, siamo poco inclini alle sorprese e possiamo dire di aver visto un gruppo solamente nella media che sa tanto di già sentito. Ai posteri l’ardua sentenza.
Setlist
- 24 light-years
- Alien shivers
- Napalm
- Stray the skies
- Ruby pool
- We are thin air
- Future bird
- Your mind is a helpless dreamer
- These black claws
- Enter
- Ghosts
- Head mounted sideways
- Smartfried
- Straight lineds
Encore
- Whaler
- Inside your fur
