Articolo di Silvia Cravotta
Il rito collettivo del The Rocky Horror Show si è consumato ancora una volta, dopo mezzo secolo. Con la stessa allegria, la stessa esuberanza e la stessa voglia di libertà che ci mise il giovane Richard O’Brien quando lo scrisse, nelle pause tra un provino e l’altro come attore, nel 1973. Al Teatro degli Arcimboldi è andata in scena ieri la prima delle sei date milanesi del tour celebrativo dei 50 anni di uno dei musical più longevi nella storia del genere (così come il film che ha ispirato, ancora nelle sale dopo 48 anni).
Uno spettacolo decisamente anticonformista per l’epoca, perfettamente rappresentata nei temi e nell’aspetto glam che pervade un’opera diventata simbolo di emancipazione e trasgressione, capace di affrontare temi profondi con scene folli e divertenti, su musiche diventate familiari a più generazioni. Ma quanto può essere ancora trasgressivo un Rocky Horror oggi, in tempi di sessualità fluida, amori non binari e dichiarazioni social delle proprie preferenze a letto? La risposta arriva come un’illuminazione, a metà della rappresentazione. Ma andiamo con ordine.
Ad accogliere il cast diretto da Christopher Luscombe, stessi attori e stessa regia della produzione messa in scena l’anno scorso nel teatro milanese, un pubblico en travesti per l’occasione. Come da tradizione, e sarebbe stata una delusione se non fosse stato così. Sono in tanti i “transilvani” che arrivano vestiti come i protagonisti ma un applauso va ai cosplay di Frank-N-Furter, che hanno retto fino alla fine in guêpière, in una fredda giornata di fine novembre. Menzione speciale per la ragazza delle prime file, che a differenza di altri, non ha neanche mai indossato una giacca, resistendo tutto il tempo in corsetto e autoreggenti.
Quello che ha reso famoso il Rocky Horror, si sa, è la partecipazione degli spettatori e in questo, dopo cinquant’anni, ancora non ha rivali. Non solo nell’interazione con gli attori sul palco ma anche nella voglia di affermarsi con look audaci ed esagerati. Tanti anche gli spettatori con al collo boa di piume preferibilmente di colore rosso, come il rossetto sulle labbra di donne e uomini. Per i meno organizzati in teatro era disponibile un fan kit, con cappellini colorati e oggetti a tema dentro un sacchettino di tulle, ovviamente rosso. In platea volti noti del mondo televisivo e di quello online, d’altronde era la prima.
A dare il via alle danze, pochi minuti dopo l’orario previsto, è come di consueto una “maschera” bionda e sexy cui spetta il compito non solo di vendere caramelle e sigarette, ma anche di intonare Science fiction, Double Fiction, la canzone che ci porta diretti nel mondo fantastico di Frank & Company. Il sipario si apre su una scenografia color pastello, una macchina e una chiesa che sembrano presi dalle pagine di un libro per bambini, perfetta rappresentazione dello spirito borghese e virginale che anima i due fidanzati, Brad e Janet, perfettamente rappresentati dalle loro voci e dal loro aspetto.
Hey Janet, Yes Brad. Cantando Dammit, Janet, Brad chiede alla sua fidanzata di sposarlo e sintetizza, in quella che sembra una perfetta canzone d’amore, tutte le convenzioni sociali che stritolano la giovane coppia. Alla quale si rompe la macchina durante il viaggio per andare a trovare il loro ex professore, il Dottor Scott.

Entra in scena il narratore, Alex Morgan, in giacca viola di velluto. Dalle prime file del pubblico comincia subito una generosa interazione con battute in risposta a lui, che se la gioca più che bene, rispondendo a tono con alcune frasi in italiano. D’altronde c’è da accompagnare Brad e Jan verso il castello, e dalla platea si alzano bastoncini fluorescenti di vari colori mentre i due intonano speranzosi “there’s a light” in Over at the Frankenstein Place.
Il castello è oscuro come si deve, sormontato da una cornice stile pellicola cinematografica dietro la quale si intravedono i membri dell’orchestra. Riff Raff, sua sorella Magenta e la groupie Columbia accolgono nel salone dai tendoni rossi i due visitatori al tempo del Time Warp, che rende difficile per gli spettatori stare fermi sulle poltroncine. Come si fa a resistere e a non mettersi le mani sui fianchi, ondeggiando in avanti?
L’ingresso in scena del Dottor Frank-N-Furter, impersonato da Stephen Webb, non lascia mai indifferenti. Il corsetto con guêpière e autoreggenti, accompagnati da guanti in pizzo e collana di perle, outfit d’ordinanza indossato su un fisico imponente che cammina sui tacchi, attirano magneticamente lo sguardo del pubblico, a prescindere dai generi e dagli orientamenti sessuali. La voce profonda mentre canta Sweet Transvestite, illuminato da luci rosse, rende ancora più sexy questo personaggio dalle mille sfaccettature: alieno (del pianeta Transexual della galassia Transylvania, ricordiamolo), scienziato pazzo, bisessuale e travestito. Sarà lui a far vedere a Brad e Janet, nel frattempo spogliati degli abiti che rappresentano il mondo che si sono lasciati alle spalle, che un altro modo di vivere è possibile.
Sul palco compaiono quattro colonne bianche con strumentazioni pseudoscientifiche e un pannello con il profilo dell’uomo vitruviano, tratteggiato da laser colorati. Siamo nel laboratorio dello scienziato ed è ora di dare vita a Rocky, bello, biondo, muscoloso e con indosso giusto uno slip animalier. Una sorta di uomo-oggetto, amante ideale creato secondo i gusti del Dottor Frank per soddisfare i suoi desideri ma che inaspettatamente travolgerà gli equilibri della nottata. La sua “nascita” viene brutalmente interrotta dall’arrivo di Eddie (e qui la nostalgia di Meat Loaf si fa prepotente), rockettaro e amante di Columbia, che crea scompiglio al ritmo di Hot Patootie-Bless my Soul. Arrivo non gradito da Frank che lo insegue armato di motosega, per poi tornare con il camice verde sporco di sangue. Per Eddie si sono aperte le porte del freezer del castello. Sipario.
È nella ripresa che arriva la risposta alla domanda iniziale. Perché nel letto in verticale che rappresenta la camera di Frank, prima c’è Janet, e poi Brad. La loro scoperta del sesso con lui avviene con scene praticamente gemelle e in maniera molto scherzosa, il che ci fa riflettere quanto ancora oggi – in tempi decisamente più liberi e tolleranti – sia ancora necessario vivere la propria sessualità, qualunque essa sia, con leggerezza e senza troppi pesi. Il fatto che i due fidanzatini vivano la stessa esperienza, poi, conferma ancora una volta che le differenze di genere, in nessun caso, hanno ragione di esistere. Don’t Dream It, Be It insomma.
Il Touch-A-Touch-A-Touch Me cantato da Janet è un vero e proprio inno alla liberazione del desiderio sessuale, che prende decisamente in parola quando si fa portare via sulle spalle di Rocky, rompendo gli equilibri e tirando fuori il lato meno “simpatico” di Frank.

L’arrivo del Dottor Scott in sedia a rotelle, con una coperta che nasconde le autoreggenti che mostrerà nel gran finale, dà il via a una serie di siparietti comici, fatti di balli e canti sincopati e di “uh” ripetuti come da tradizione dal pubblico ogni volta che viene nominato. È in cerca del nipote Eddie (interpretato dallo stesso attore) ed è lui a rivelare che Frank-N-Furter è un alieno, prima di andar via. Segue una grandiosa interpretazione di Columbia (Darcy Finden) che, prima dichiara il suo amore a Frank, poi stordita dai fumi di Riff Raff si esibisce in un fantastico quanto delirante balletto e in una esibizione vocale che la fa decisamente spiccare.
È tempo di indossare i corsetti rossi e i boa di piume. La scenografia viene coperta da un sipario fatto di sottili striscioline rosa da dietro le quali fanno il loro ingresso i vari personaggi che intonano insieme Rose Tint My World, raggiunti poi da Frank. Per lui è arrivato il momento della verità perché da una porta oscura illuminata solo da puntini di luce, fanno la loro comparsa due figure in divisa argento e occhiali scuri con il compito di riportarlo sul suo pianeta di origine. È questo a dare il la alla struggente I’m Going Home, che segnerà l’ultimo atto per Frank prima di essere colpito dalla pistola laser di una delle soldatesse aliene, infastidita dalla sua reazione alla loro richiesta di tornare indietro. Un rientro che avverrà senza navicelle ma con una coltre di fumo bianco, tra effetti di luce e di audio.
La reprise di Science Fiction segna la fine. Ma la festa non è finita. Gli attori tornano in scena per i saluti e le prime note del Time Warp danno il la al pubblico per alzarsi in piedi e ballare sul trascinante ritmo del ballo che – udite, udite – era stato inserito inizialmente come riempitivo per allungare il copione. La danza di tutto il teatro sotto il palco è l’ultimo atto liberatorio di due ore volate troppo in fretta.
Per fortuna, si replica. Dopo le tappe di Torino, Roma e Napoli, a Milano si andrà avanti fino al 3 dicembre, per poi chiudere con tre spettacoli a Padova tra il 5 e il 7 dicembre.

CAST
- Frank: Stephen Webb
- Janet: Haley Flaherty
- Brad: Richard Meek
- Rocky: Ben Westhead
- Magenta: Suzie McAdam
- Riff Raff: Kristian Lavercombe
- Columbia: Darcy Finden
- Eddie/Dr Scott: Joe Allen
- Male Phantom: Reece Budin
- Male Phantom: Fionan O’Carroll
- Female Phantom and Dance Captain: Stefania Du Toit
- Female Phantom: Beth Woodcock
- Swing: Ryan Carter Wilson
- Swing: Tyla Nurden
- Narrator: Alex Morgan
