I Japandroids a Padova? No no, fermi tutti! Non-è-possibile. Sogno o son desto? Scoprire che ci sono ragazzi appassionati di musica pura e cruda anche nel capoluogo patavino mi lascia impietrito. Si perché il duo canadese dal vivo spacca il didietro.
Sudore e r’n’r. Vecchio stile insomma. Gente che sale sul palco, saluta, ringrazia e poi ti spappola il cervello. Una batteria, mille amplificatori, millemila distorsioni, due voci e volumi da vero concerto. Stop. E fanno pure sold-out al Bastione Alicorno. Luogo incredibilmente bello (seppur l’acustica non sia perfetta, ma chi se ne frega in fondo) dentro le mura cinquecentesche di Padova, a cinque minuti a piedi dal centro città.
Ad aprire il loro concerto gli italianissimi e bravissimi Be Forest. Suoni eterei, voci suadenti, tutto calibrato al millimetro in una full-immersion di atmosfere new wave, sognanti e mai banali [voto 8].
Ma appena partono i Japandroids (Brian King e David Prowse sono di Vancouver) l’atmosfera si scalda. Il disco suona benissimo: 8 pezzi, mezz’oretta di adrenalina. I tipi davanti a me sanno anche tutti i testi a memoria. Il disco, Celebration Rock, è bellissimo. E dal vivo le chitarre ti perforano lo stomaco, altissime. Per fortuna. Finalmente anche: questi concerti con i volumi da terza età mi hanno rotto. Parte il pogo ad un certo punto. Con The House that Heaven Built mi scende pure una lacrima: almeno mille visualizzazioni su Youtube sono mie e sentirmela sbattere in faccia così non ha prezzo.
Batteria potente, cori punk, chitarre un po’ shoegaze ma sempre distortissime ed efficaci, un live di circa un’ora e mezza. Ecco il concerto dei Japandroids, che in due spaccano come fossero in sei.
Bravi i ragazzi del Looop, il coraggio di una programmazione non scontata ha pagato e grazie per aver portato i canandesi.
Alberto Bettin
