Coltivavo ormai da un ventennio la speranza di riuscire ad assistere, un giorno, ad una performance di Grant Lee Phillips. L’ultima volta che il cantautore statunitense passò dalle nostre parti, a nome Grant Lee Buffalo, fu nel 1995 di spalla a quei R.E.M. che, con Monster, stavano tentando di replicare il successo di un disco troppo bello per essere bissato, ma purtroppo, per limiti anagrafici, non mi fu possibile andare.
Dopo vent’anni il sogno diventa realtà e il cantautore si presenta in Italia con un altro mostro sacro della tradizione rock americana, Howe Gelb, ex leader di Giant Sand, per un mini tour di ben 4 date che ha toccato Cantù, Bologna, Brescia e, appunto, Torino, dove ho avuto modo di assistere all’esibizione.
Il locale, lo spazio 211, non è molto grande, ma è gremito. Nonostante Grant sia un po’ sparito da radio e classifiche, almeno da noi, quel disco monumentale che fu Fuzzy ha richiamato un nutrito numero di quarantenni dalle più elevate aspettative.
Il compito di scaldare il pubblico è affidato a Howe Gelb, primo a salire sul palco. Un tipo simpatico, forse un po’ troppo logorroico, tanto che all’ennesimo approccio al primo pezzo, interrotto dall’ennesimo discorso a tratti incomprensibile, una voce si leva dal pubblico intimandogli di incominciare a suonare.
Gelb si porta via qualche applauso e una quarantina di minuti del nostro Venerdì sera, anche se personalmente ritengo si sia reso protagonista di una performance poco precisa e a tratti un po’ noiosa. Speravo meglio.
Quando Grant viene chiamato sul palco per suonare con Gelb l’ultimo pezzo del suo set, il confronto non fa che rimarcare la differenza tra i due artisti, un divario tecnico imbarazzante.
Per fortuna il duetto segna il cambio di consegna, dando il via allo show del cantautore Californiano. Le aspettative non vengono disattese. La voce di Grant Lee Phillips è perfetta, il suono della sua chitarra pure.
Snocciola una dietro l’altra canzoni pescate qua e là tra i dischi a nome Buffalo e quelli solisti, in un crescendo emotivo interrotto solo dagli applausi di un pubblico entusiasta alla fine di ogni pezzo. Ogni singola nota viene suonata magistralmente, oltre che un ottimo compositore Grant è davvero un grande performer.
Il suo sound malinconico, ammiccante a rock, blues, country, dalle striature dannatamente “pop”, riempie il locale avvolgendo i presenti in un’atmosfera che riporta alla mente il tepore che solo una calda coperta in una fredda serata invernale riesce a trasmettere.
Quest’immagine viene squarciata dall’intro di Fuzzy che catapulta i presenti nell’anno 1993, una perla rock che sopravvive ai segni del tempo. Il pubblico apprezza, ognuno la canta a modo suo, come può. Il suo falsetto ancora oggi mi spiazza, è perfezione.
Esco dal locale sazio, con la piacevole sensazione di aver assistito al miglior concerto di quest’anno. Alla prossima volta Grant, fa che non sia tra altri vent’anni.
Articolo di Matteo Pirovano
