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Reportage Live

ALESTORM + GLORYHAMMER: le foto e il racconto del concerto di Milano

All’arrembaggio del concerto folk più sgangherato dei 7 mari, vietato ammutinare

Foto di Federico Buonanno | Articolo di Jennifer Carminati

Data da non perdere per gli appassionati di power/folk e pirate metal in questo primo giorno di febbraio 2023 all’Alcatraz di Milano suoneranno infatti i corsari scozzesi Alestorm e i guerrieri interstellari Gloryhammer.

In apertura Rumahoy, che si autodefiniscono “World’s Second Best True Scottish Pirate Metal Band” (e poi capirete il perché del secondo posto) che purtroppo perderò, e i Wind Rose, che invece fortunatamente riuscirò ad ascoltare arrivando in quel di via valtellina verso le 19 tutta trafelata post ufficio; ma una birra e la buona musica fanno subito passare lo stress delle corse fatte e della giornata lavorativa ormai alle spalle. 

A mio parere inspiegabilmente è stato allestito il palco B del locale meneghino nonostante l’affluenza sia davvero altissima già dall’inizio e ho scoperto poi che la serata ha fatto pure sold-out; forse gli organizzatori non se lo aspettavano, non lo so, sta di fatto che il pubblico era davvero stipato in ogni dove di questo Alcatraz preso d’assalto questa sera da una ciurma tracotante di allegria e prontissima a far baldoria.

Windrose in concerto all’Alcatraz di Milano | Foto di Federico Buonanno

È passata da poco l’ora dell’aperitivo quando i toscani Wind Rose salgono sul palco; band folk/power metal, nata nel 2009 con cinque dischi all’attivo, di cui l’ultimo ‘Warfront’ uscito nell’estate del 2022 per Napalm Records. Tolkien scrisse che “i nani sono la razza più famosa e sono state tra le prime creature a essere forgiate….  e sono testardi e duri con la stessa ostinazione”, e i nostri cinque nani guerrieri in carne e ossa ne sono un chiaro esempio vivente. L’accoglienza più che calorosa, con la partecipazione di tutti i presenti già dall’opener “Army of Stone”, supporta il corpulento frontman Francesco Cavalieri&soci nella loro performance davvero coinvolgente e apprezzatissima sin dai primi minuti. ‘Cosa c’è meglio di un nano?’ Chiede il buon Francesco, ‘Un nano ubriaco’ risponde tutto il pubblico urlante che viene spedito in taverna ad ubriacarsi con “Drunken Dwarves”, sulla quale si scatena il primo di tanti poghi selvaggi che vedremo nelle ore a venire. Con “Fellows of the Hammer” siamo invitati caldamente ad unirci all’armata di pietra dei nani del metallo, che dopo tre anni di stop non vedono l’ora questa sera di scatenare la guerra, sul palco si intende, e tutti i fan saltellano sul ritornello come bolle impazzite in quello che si trasformerà col passare del tempo in un mare in burrasca.

Non vi è dubbio che i Wind Rose e le loro armature naniche continuano a raccogliere sempre più consensi, pezzo dopo pezzo, anche durante “Mine Mine Mine!” e “Together We Rise” è palese l’indiscutibile capacità di questa band di intrattenere e coinvolgere il suo esercito chiamato a combattere tutti insieme questa sera con l’obiettivo comune di divertirsi in compagnia. Ovviamente, non possono lasciare il palco senza aver fatto il loro cavallo di battaglia “Diggy Diggy Hole”, che chiude una scaletta di appena sei estratti. Compattezza e professionalità, unite ad una notevole efficacia in termini compositivi ed esecutivi, fanno della musica dei Wind Rose un’ideale colonna sonora di un videogioco o più semplicemente il giusto sottofondo delle giornate degli irriducibili appassionati del fantasy. Che piacciano o meno, hanno saputo creare un proprio sottogenere forgiato sull’incudine e lo difendono con scudi asce e martelli, state attenti quindi; io, comunque, mi schiero assolutamente dalla loro parte, che è quella vincente.

Gloryhammer in concerto all’Alcatraz di Milano | Foto di Federico Buonanno

I Gloryhammer sono una band power metal anglo-svizzera il cui fondatore Christopher Bowes, qui riveste il ruolo di tastierista e principale compositore, mentre poi negli Alestorm lo vedremo in veste di cantante. Serata impegnativa quindi per il buon Bowes, che (!spoiler!) non deluderà certo le aspettative in ambo le vesti. I loro 3 dischi raccontano parti di una storia ambientata in epoche e luoghi diversi, i cui personaggi sono rappresentati dai membri della band tramite i loro pseudonimi e costumi anche durante i concerti; filo conduttore di tutti gli album il concept fantascientifico in cui i protagonisti degli scontri sono proprio loro, che attraverso degli eccentrici costumi ed equipaggiamenti si calano nel contesto nella rappresentazione in sede live. Il tutto colloca la band all’interno di un filone che non brilla certo per originalità: il loro stile è esagerato, pieno di cliché del genere fantascientifico e del power più tradizionale, a tratti sfiora il ridicolo sembrando quasi una parodia di questo genere che talvolta, è vero, si prende un po’ troppo sul serio. Ma devo ammettere che piacciono, si divertono e sanno divertire, that’s it.

Ore 20 circa, sulle note di improbabili intro, i nostri fanno il loro ingresso sul palco, vestiti come i personaggi che devono interpretare, e più precisamente: Michael Sozos alla voce è il paladino Angus McFife V; Christopher Bowes alle tastiere è il malvagio mago Zargothrax; Paul Templing alla chitarra è Ser Proletius cavaliere templare; James Cartwright al basso il barbaro bevitore di birra; infine, Ben Turk alla batteria è Ralathor il misterioso eremita. Danno inizio alla loro missione sul nostro pianeta con “The Siege of Dunkeld (In Hoots We Trust)” seguita a ruota dall’acclamatissima “Gloryhammer”. Dalla nostra terra regno di pasta e pizza ci portano in un batter d’occhio nel magico regno di “The Land of Unicorns”, con un ritornello davvero orecchiabile che ti entra subito in testa. Nota di merito, a mio gusto, va a “The Hollywood Hootsman”, molto Judas Priest style, non me ne vogliano gli adepti di Rob Halford per il paragone azzardato. Pezzi come “Masters of the Galaxy” e “Angus McFife” mettono in luce le qualità tecniche (indubbie) della band e il loro stile energico e travolgente; caratteristiche che poi si andranno a ripetere in ogni altra canzone in scaletta fino alla conclusione. Sozos è completamente calato nella parte del suo personaggio e in “Legend of the Astral Hammer” agita il suo martello nell’aria inscenando anche un simil combattimento con gli altri.

Gloryhammer in concerto all’Alcatraz di Milano | Foto di Federico Buonanno

Con la trascinante e alquanto tamarra “Universe on Fire” l’Alcatraz si trasforma in una vera e propria discoteca metal, con tanto di strobosfera appesa al soffitto. Concludono tornando agli esordi con “The Unicorn Invasion of Dundee”, brano iniziale di quel primissimo album in cui ancora non c’erano le recenti atmosfere intergalattiche ma con il quale il quintetto britannico faceva viaggiare i suoi fan con la fantasia in mondi popolati da cavalieri, draghi e unicorni. Le loro composizioni orecchiabili, energiche e da rotazione radiofonica, sono divertenti e facili all’ascolto, per questo i 60 minuti a loro disposizione scorrono via veloci. Personalmente il nuovo frontman non mi ha convinto del tutto, un po’ sottotono, sia nella prestazione vocale che scenica, meritano senz’altro un ulteriore ascolto spensierato senza troppe pretese per immergersi nuovamente in fantasy power avventure. 

GLORYHAMMER – la scaletta del concerto di Milano

The Siege of Dunkeld (In Hoots We Trust)
Gloryhammer
The Land of Unicorns
Fly Away
The Hollywood Hootsman
Legend of the Astral Hammer
Keeper Of The Celestial Flame of Abernethy
Masters of the Galaxy
Hootsforce
Angus McFife
Universe on Fire
The Unicorn Invasion of Dundee

Alestorm in concerto all’Alcatraz di Milano | Foto di Federico Buonanno

Veloce cambio palco,  gigantesca papera piratesca gonfiabile al centro, medley di canzoni dei Queen a scaldare ulteriormente l’atmosfera e ora il pubblico è davvero in trepidante attesa per gli headliner Alestorm, gruppo musicale folk/power metal originario di Perth che hanno definito il loro genere musicale come “True Scottish Pirate Metal”, a testimonianza della prevalenza di tematiche piratesche all’interno dei loro testi, matrice comune di tutti i loro 7 album all’attivo, l’ultimo ‘Seventh Rum of a Seventh Rum’ del 2022 di cui questa sera ci proporranno soli 3 pezzi, dando spazio un po’ a tutta la loro discografia. Sin dall’iniziale “Keelhauled” si capisce l’antifona della stasera, i numerosi fan accorsi si scatenano cantando i contagiosi ritornelli a pieni polmoni sin da subito, e in fondo è questo ciò che conta, divertirsi con la musica, non trovate?!. Prevalentemente giovane, preparatissima sulle lyrics e spesso ornata di ammennicoli pirateschi vari ed eventuali, l’audience della famigerata banda di pirati metal si dimostra davvero entusiasta e festosa, e questo trasmette allegria e trascina anche i meno avvezzi a questi ascolti come la sottoscritta. I Nostri incassano ben volentieri l’affetto che ricevono dal pubblico e ricambiano con una scaletta che può esser considerata a tutti gli effetti un party greatest hits e offrendoci una prestazione di tutto rispetto. Trionfale trattamento viene riservato alle successive “Pirate Metal Drinking Crew” e la più recente “Under Blackened Banners”, potente, veloce e forte di un esplosivo equilibrio tra chitarra e tastiera con la voce di Christopher Bowes coadiuvata ottimamente dal tastierista Elliot Vernon. Epifania di goliardia alcolica e acustica con “Hangover” (cover del brano di Taio Cruz ripresa dagli Alestorm e inclusa nel loro album intitolato ‘Sunset on the Golden Age’). Un autentico tripudio, poi, accoglie le scanzonate note del singolo di grande successo “Mexico”, da ‘No Grave but the Sea’ del 2017.

Alestorm in concerto all’Alcatraz di Milano | Foto di Federico Buonanno

Mi è piaciuta molto, “Tortuga”, pesante e tamarra al tempo stesso, con un intermezzo rap che non guasta affatto, molto Run-DMC. Tutti i loro brani dal vivo rendono in maniera esponenzialmente migliore rispetto al disco: “Death Throes of the Terrorsquid”, per dirne una, che trovavo piatta e ripetitiva, riproposta in sede live fa tutto un altro effetto, ed è anche per questo che amo andare ai concerti, perché le emozioni che si provano sono indescrivibili a parole e spesso altrettanto imprevedibili. La tripletta centrale fomenta ulteriormente gli astanti che, per tutta la durata dello spettacolo, si son scatenati senza risparmiarsi un attimo in crowd surfing e circle/mosh pit selvaggi: sulle note di “Nancy the Tavern Wench”, si siede a terra e inizia a remare, con una coordinazione ed un’intesa degna dei migliori marinai; aspiranti membri della ciurma che ondeggiano a mani alzate e cantano le liriche di  “Rumpelkombo” dal riuscitissimo ‘Back Throught Time’ del 2011; e “P.A.R.T.Y.” che rappresenta quel tipo di canzone buona per ubriacarsi con una bottiglia di rum in mano, poco importa della estrema banalità dei testi, a dimostrazione che la fan base ha accolto a braccia aperte anche la loro ultima fatica in studio. Bowes, al netto di qualche piccola défaillance vocale che ci può stare, con l’immancabile keytar in spalla, è sempre il solito intrattenitore, cazzone e professionale in egual dosi, e si conferma un frontman magnetico e trascinatore come pochi (eviterò commenti sulla mise alquanto improbabile sfoggiata dallo stesso); che dire del resto della band se non che stiamo parlando di musicisti con la emme maiuscola, che hanno fatto all’inizio della loro carriera una precisa scelta stilistica, con onestà, fermezza e coerenza che vanno rispettati.

Alestorm in concerto all’Alcatraz di Milano | Foto di Federico Buonanno

C’è chi li apprezza e chi li odia, spesso fermandosi solo alle apparenze da cialtroni scanzonati che hanno; io personalmente ho imparato ad apprezzarli con i primi album e l’ultimo, nel mentre avrei evitato qualche dirottamento un po’ troppo commerciale, neanche ben riuscito peraltro, ma senz’altro meritano una chance, dal vivo senza ombra di dubbio, perché questi cinque ragazzotti hanno il merito di ricordarci il potere dell’autoironia, e di questi tempi, non è assolutamente cosa da poco. E come sempre accade nella vita, quando ci si diverte il tempo scorre veloce e in un lampo è già il momento dei bis, il concerto è durato il giusto, 80 minuti per diciassette brani, senza momenti morti o noiosi, ed è quel che ci si aspetta da una band come i genuini e mai pacchiani Alestorm e aggiungo che difficilmente qualcuno potrà lamentarsi per una canzone mancante dalla scaletta proposta. Il finale è riservato a due pezzi da novanta come “Drink” e “Zombies Ate My Pirate Ship” e la conclusiva “Fucked with an Anchor”, canzone arricchita da un’infinità di diti medi alzati tra band e pubblico, come giusto corollario conclusivo.

Al termine di un loro set è inevitabile lasciare il locale soddisfatti, felici ed appagati, con un sorriso stampato in faccia, e che altro potremmo chiedere di più da un live se non svago, divertimento, spensieratezza e della musica sincera e coerente?!

Alla prossima, vecchi filibustieri!

Clicca qui per vedere le foto di Alestorm + Gloryhammer in concerto a Milano o sfoglia la gallery qui sotto

Alestorm

ALESTORM – la scaletta del concerto di Milano

Keelhauled
Pirate Metal Drinking Crew
Under Blackened Banners
The Sunk’n Norwegian
Alestorm
Cannonball
Hangover (Taio Cruz cover)
Magellan’s Expedition
Mexico
Tortuga
Nancy the Tavern Wench
Rumpelkombo
Shipwrecked
P.A.R.T.Y.
Death Throes of the Terrorsquid
Shit Boat (No Fans)

Encore:
Drink
Zombies Ate My Pirate Ship
Fucked With an Anchor

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Bergamasca nell'animo, Milanese d'adozione. Di giorno Ingegnere di sera mi trovate con una birra in mano ad un concerto rock o metal. Amo camminare e visitare città che non conosco. Mi piace leggere e ovviamente ascoltare musica, immancabile sottofondo delle mie giornate. Per me essere Rock è una filosofia di vita. I'm hard on the outside but soft on the inside, come un tortino al cioccolato con cuore fondente, of course.

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