
BLACK LIPS - 200 Million Thousand
Il garage e gli States. Gli States e i sessanta. Il sistema vintage che incombe sulle nostre teste. Il potere dei figli dei fiori. Il potere di Woodstock. I baffi. I basettoni. I capelloni. Le tette. Peace and Love. Sempre. Per sempre. I bastardi si accoppiano dentro le tende bucate. I bastardi si accoppiano sotto l’albero dell’amore. Luridi cialtroni. E i Black Lips fanno altrettanto schifo. Lerci e puzzolenti. I figli del nuovo millennio e la ghirlanda pluricolorata, pluridecorata. “200 Million Thousand” è il quinto album di studio (escludendo l’immenso live “Los Valientes Del Mundo Nuevo”) del quartetto statunitense.
I Black Lips e il sistema vintage che funziona, che non muore mai. Chitarre storte, suono lo-fi, qualità penosa, sporchissima, sputi, rutti, pisciate, un fiume di alcool e uno splendido vaffanculo. “200 Million Thousand”, quindici tracce e una potente virata verso il pop, con qualche riff (splendido quello in “Short Fuse”) e una serie d’impennate melodiche. I Black Lips e i soliti pilastri del garage tra i Sonics e i Seeds più poppettari. I soliti sessanta sullo sfondo. Una manciata di pezzi bomba (da “Drugs” a “Short Fuse”, da “Starting Over” fino a “Again Again”) e una manciata di pezzi mediocri, quasi azzardati (il rap osceno in “The Drop I Hold”), quasi inutili, troppo pallidi (“Melt Down”, “Big Black Baby Jesus Of Today”).
“200 Million Thousand”, la storia dei Black Lips non cambia. “200 Million Thousand”, nessuna particolare novità, solo la solita, buonissima, minestra garage e quella forte ventata pop. “200 Million Thousand”, i Black Lips e il quinto album. Il piacere dei fan. Punto.
