Articolo di Philip Grasselli | Foto di Andrea Ripamonti
Siamo nel pieno della Milano Music Week e un appuntamento che mi ha assolutamente “costretto” a prendere un bel permesso da lavoro è quest’occasione di incontrare nientepopodimeno che Marky Ramone – pleonastico sottolineare che è stato il batterista dei Ramones – ed Henry Ruggeri – anche qui ridondante specificare che è stato il loro fotografo, nonché una delle eccellenze fotografiche nell’ambito del live in Italia. Entrambi presentano “Marky Goes Mental”, la mostra dedicata ad alcune opere disegnate da Marky Ramone durante la pandemia da COVID-19, esposta in anteprima al BASE a Milano, durante il weekend di Linecheck.

Henry, il tuo rapporto con Marky Ramone e, in estendendo, con i Ramones in generale, è molto stretto da più di trent’anni: cosa significa per te essere dalla parte che li ha resi “immortali”? E come descriveresti il tuo rapporto con Marky, visto che siete insieme ora?
Ho iniziato a fare foto solo ed esclusivamente perché volevo conoscere loro, i Ramones. Fino agli anni Ottanta mi andò bene poiché, in quell’occasione, feci parecchie date con loro, diventai rapidamente loro amico, nonostante mi fossi spacciato per fotografo: visto, poi, che la cosa funzionò, iniziai a studiare seriamente il mondo della fotografia.
Quello che rappresentano per me è tanta roba, dato che sono stati, da sempre, il mio gruppo preferito: io ascolto tutta la musica, ma io mi sono affezionato tanto a loro. È stato amore a primo ascolto quando, a quattordici anni, mio cugino mi fece ascoltare la loro discografia. Girare con Marky è davvero figo, è da una quindicina di anni che ci messaggiamo costantemente, una cosa totalmente impensabile ai tempi.
Entrando più nel merito della mostra, cosa sapevi di questo lato più artistico di Marky? Cosa ti ha colpito di più dei suoi disegni?
Marky, durante il periodo della pandemia da COVID-19, iniziò a disegnare e fece un post su Instagram con una delle sue opere: gli scrissi senza indugio di perseguire per questa strada, poi magari ci avremmo fatto una mostra. Colse quindi la palla al balzo, considerato anche che non ebbe tantissime cose da fare in quel periodo. Insomma: è nato tutto per gioco ed eccoci qua.
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Quello che mi colpisce è l’utilizzo dei colori e, secondo me, sono proprio da vero punk-rocker americano: molto legato all’ironia, nei suoi disegni traspare proprio questo lato e a me questo fa impazzire. Tra l’altro, Marky è un collezionista di giocattoli e di robot vintage, pertanto questo è perfettamente in linea rispetto a quello che disegna.

Marky, concerning what Henry already told about your passion, this is your first experience into art, apart from music: how come you decided to bring this technique? Is there anybody you’ve been inspired by?
Marky, riguardo il discorso di Henry sulle tue passioni, questa è la tua prima esperienza nel mondo dell’arte – musica a parte: come mai questa tecnica? Ti sei ispirato a qualcuno?
I collect sci-fi posters from the 50s and 60s and I like tin toy robots. I was always into sci-fi movies, and I said… well, let me try something, and that’s the result! I wasn’t thinking of any other artists, I don’t think any other ones would do this, it’s difficult to even explain this in words, I have a crazy brain.
Colleziono poster degli anni Cinquanta e Sessanta e mi piacciono i robot fatti in latta. Sono sempre stato appassionato di cinema di fantascienza e mi son detto… “beh, fammi provare qualcosa” ed ecco il risultato! Non ho pensato ad altri artisti, non credo nemmeno facciano una roba simile, è persino difficile spiegartelo in parole, sono un po’ fuori di testa.
What about this immersion experience? Is there a special one to you?
E questa esperienza immersiva? C’è qualche disegno per te speciale?
It’s a new concept and it’s three dimensional: it gets all the characters going and it’s great – you know – it’s technology at its finest. My coordinator, Henry, showed it to me and I was amazed: so, everything came out, like spaceships or the eyes open. Looking at it, I still can’t believe that I did this. By the way, I didn’t have time yet to make a choice among these drawings, each one’s special to me, like this one from the poster. All different feelings, different thoughts.
È un qualcosa di nuovo ed è tridimensionale: fa muovere i personaggi ed è spettacolare, è tecnologia allo stato puro. Il mio coordinatore, Henry, me lo mostrò e ne rimasi stupito: tutto venne fuori spontaneamente, come le astronavi o gli occhi aperti. Ripensandoci, non ci credo che abbia fatto tutto questo. Comunque sia, non ho ancora avuto tempo di scegliere tra questi disegni, sono tutti speciali per me, tipo quello del poster. Emozioni e pensieri diversi.

Henry, lato tuo come ti sei avvicinato a questi mondi più virtuali e intangibili?
Sempre post-pandemia, ho iniziato a guardarmi intorno per capire dove stesse andando il mondo. Ho un attimo approfondito l’ambito degli NFT, delle criptovalute e dell’intelligenza artificiale, giusto per darti qualche esempio. Ovviamente iniziare da zero sarebbe stato impossibile, poiché il tempo mancava: mi sono affidato, così, ad amici esperti del settore. Io, alla fine della fiera, non ho inventato nulla, semplicemente ho applicato tutto quello che mi è stato insegnato rispetto alle mie esigenze.
E niente… sono partito con Massimo Cotto.
Ecco, appunto. Con te porti il tuo primo libro fotografico, “Pictures of You”, nonché il suo ultimo libro: anche qui l’esperienza aumentata, come andare in un museo con l’audioguida nelle orecchie. Come avete messo a punto entrambe le mostre?
La prima volta con lui, quasi un paio d’anni fa, dissi: “Guarda Massimo, ho un’idea: mandami dei messaggi vocali”. Feci aumentare sette foto da questi miei amici e ci feci una mostra dalle mie parti (Marche, ndr): consisteva in un avatar che prendeva vita dagli stessi scatti, con la voce di Massimo che narrava il contesto e la storia dell’immagine.
Dopodiché abbiamo messo a punto l’applicazione in collaborazione con gli amici di Rebel House, “Not Away”: l’abbiamo creata da zero, con due anni di sviluppo, con un continuo perfezionamento di tiro. Iniziammo così il progetto “Pictures of You”: sempre Massimo Cotto che racconta gli aneddoti su green screen, poi, tramite post-produzione, abbiamo tirato in piedi tutta la parte creativa da applicare sulle foto.
Realizzato il prodotto finale, lo abbiamo presentato a Marky Ramone, il quale ne è rimasto molto colpito e interessato: quando sono andato a casa sua, gli ho fatto vedere il risultato di un incrocio tra una sua foto e il video di un WhatsApp – molto ironico – che mi ha mandato. Gli è piaciuto moltissimo e abbiamo deciso, così, di proseguire con il progetto.
Per quest’occasione abbiamo collaborato con un grafico e un 3D-designer, con i quali, seguendo le indicazioni di Marky, hanno aumentato e reso “vive” le sue opere.
Alla fine della fiera, Marky è molto soddisfatto e contento del nostro showcase che abbiamo realizzato in concomitanza con il Linecheck al BASE a Milano: non sono mancati feedback da parte di altri festival interessati a portare in giro quest’esperienza che stiamo presentando in anteprima.

E, infine, più grande insegnamento stai traendo a seguito dell’uscita del vostro libro fotografico?
Il più grande insegnamento? Non saprei dirtelo. Alla fine, è stata un’enorme soddisfazione averlo portato a termine. Non avrebbe dovuto nemmeno essere un libro, ma il semplice catalogo della mostra. Dopodiché, insieme a Chiara Buratti, la moglie di Massimo Cotto, abbiamo deciso di tributarlo facendolo uscire nelle librerie.
Rivedere Massimo nelle mie foto è fonte di orgoglio, ma, al contempo, di tristezza, dato che mai mi sarei aspettato che il mio primo libro fotografico coincidesse con il suo ultimo libro. Dunque, potrai immaginare il mio sentimento, molto combattuto tra la felicità e la tristezza. Però ecco, sono contento di quello che è venuto fuori: credo lui sia molto, molto orgoglioso di quello che abbiamo fatto.
Clicca qui per vedere le foto di Marky Ramone e la mostra “Marky Goes Mental” al BASE di Milano (o scorri la gallery qui sotto).
