La nostalgia non è lacerazione, non è struggenza. È come una pulce che ti si piazza in testa e ogni tanto ti ricorda che esiste qualcuno che ti fa stare male perché ti manca. Questo è quello che ci vuole raccontare Mameli, all’anagrafe Mario Castiglione, nel suo nuovo e primo disco: Amarcord.
Dopo “Inno”, il suo EP uscito ad aprile 2019, Mameli pubblica il suo primo disco ufficiale. Il concept dell’intero disco è ispirato ad una frase in dialetto romagnolo, divenuta celebre nell’omonimo film di Fellini: A m’arcord! (Io mi ricordo). E’ un album che nasce dalla fine di una relazione importante, è un album che, come ci racconta lui, vuole raccontare la nostalgia per una persona, più che la fine di una storia. Il termine Amarcord, infatti, indica una rievocazione nostalgica del passato, quel filo sottile che avvolge i pensieri più quotidiani e li rende malinconici nei confronti di qualcosa o qualcuno.
Mameli con questo album ci ha fatto capire che, a volte, l’attesa è importante: dopo la sua esperienza ad Amici all’inizio del 2019, al contrario di molti suoi colleghi, ha deciso di aspettare un po’ prima di pubblicare il suo primo album. Scelta che noi di Futura 1993 abbiamo approvato tantissimo: è riuscito a creare un album personale ma in cui tutti ci possiamo immedesimare, dove si può notare una crescita sia interiore che musicale.
Per questi motivi, abbiamo deciso di scambiare quattro chiacchiere con lui, ed ecco cosa ci ha raccontato.
Ciao! E’ uscito da poco il tuo primo e attesissimo album, Amarcord: raccontaci un po’ com’è nato.
Amarcord è il mio primo album, c’è stata tanta attenzione da parte mia. È il racconto di come hanno vissuto le mie emozioni dopo la fine di una relazione, per me importante. Il leitmotiv della scrittura è la nostalgia, Amarcord infatti significa “io mi ricordo” in dialetto romagnolo.
L’album parla della fine della tua storia d’amore, anche se, come hai già raccontato, siete tornati insieme da poco. Cosa ne pensa la diretta interessata di questo disco?
Lei è affezionata al disco perché le immagini che ho scritto le ha vissute. I taxi, Barcellona, sono tutte cose vere. All’inizio si faceva un po’ fatica, adesso riusciamo ad ascoltare insieme le mie canzoni, senza prenderci troppo male.
Mi sembra quindi di capire che in questo disco parli principalmente di sentimenti, cosa che oggigiorno fanno tanti tuoi colleghi: quale credi sia l’elemento personale e unico della tua musica, che ti differenzia da tutti gli altri?
Ogni storia è unica o può esserlo se sei bravo a raccontarla. A me la cosa che importava raccontare non era tanto la relazione, ma la nostalgia per una persona. La nostalgia non è lacerazione, non è struggenza. È come una pulce che ti si piazza in testa e ogni tanto ti ricorda che esiste qualcuno che ti fa stare male perché ti manca. È un sentimento apparentemente leggero, però costante, duraturo nel tempo.
In questo album hai collaborato con diversi artisti: dai featuring con Lorenzo Fragola e Alex Britti, alle fasi di scrittura con Federica Abbate e Vipra. Com’è stato lavorare con loro? C’è qualche altro artista con cui ti piacerebbe collaborare in futuro?
Il mio primo EP (INNO) lo avevo scritto e suonato praticamente tutto da solo in camera mia, mi ero promesso di cambiare rotta per il disco, e cosi è stato. Amo collaborare con altri artisti/autori, la musica è principalmente unione di diverse creatività. Se riesci a far entrare gli altri nel tuo punto focale, poi diventa più semplice contaminare i suoni o la scrittura con idee non tue.
Il nome Amarcord è ispirato a una frase in dialetto romagnolo, “A m’arcord” ovvero “Io mi ricordo”. Com’è nata l’idea di utilizzare questo titolo così originale?
Si, il titolo del disco prende chiaramente spunto da li. Il riferimento non è alla trama del film, anche se mi piace il fatto che nel film di Fellini ci sono diverse scenette (apparentemente non collegate tra loro) che richiamano questo senso di nostalgia. Amarcord (il mio album) è anche un po’ cosi, nel senso che ogni canzone ti porta in un ambiente un po diverso da quello prima, ma con lo stesso filo sottile sopra.
Dopo la tua esperienza ad Amici, hai aspettato un po’ di tempo a pubblicare il tuo primo album, scelta differente da molti tuoi colleghi. Cosa ti ha spinto a prendere questa scelta?
Sai, è vero che quando finisci un talent, soprattutto se arrivi in fondo, hai una luce puntata addosso. Io avevo vinto il premio Radio 105, avevo fatto un bel percorso, ma un disco per me è principalmente esperienze. In quel momento lì ero stato 8 mesi chiuso in uno studio televisivo, avevo bisogno di vivere delle cose e di prendermi il tempo necessario per potermi esprimere al meglio.
Tuttavia, il tuo primo album è uscito in un momento molto particolare: come stai vivendo questo periodo un po’ strano, tra mascherine e vari lockdown?
Penso di viverlo come tutte le altre persone, un misto tra amarezza e speranza. Non è semplice, ma dobbiamo riuscire a venirne fuori il prima possibile. Mi rendo conto di essere una persona fortunata, perché sto bene e, nonostante il momento, sto riuscendo a lavorare nella musica, cosa affatto scontata visti altri addetti ai lavori al momento totalmente fermi.
Vorrei sapere adesso qualcosa in più di Mario: com’è nato il tuo rapporto con la musica e come sta evolvendo negli anni?
La musica fa parte della mia vita da quando sono bambino. Oggi è anche il mio lavoro, ma questo non mi impedisce di amarla come le prime volte. A volte litighiamo e non ho voglia di ascoltare nulla per giorni, ma è normale.
Ti saluto con l’ultima domanda: adesso cosa dobbiamo aspettarci da Mameli?
Adesso dobbiamo superare questo momento tutti insieme, poi voglio cantare dal vivo questo disco. Ne ho bisogno, mi manca suonare in giro, mi manca l’atmosfera da live, i palchi, le persone, il contatto fisico. Davvero, non vedo l’ora. A presto!
Eleonora Bruno
