In occasione dell’uscita del secondo album “The Life & Death of John Doe“, un ambizioso concept album che racconta la vita di un uomo comune, come una raccolta di polaroid che immortalano l’intera vita di un essere umano, abbiamo fatto due chiacchiere con i The Ghibertins.
The life & death of John Doe immortala l’intera vita di un essere umano in senso universale, identificato appunto con il generico termine John Doe, preso a prestito dalla medicina legale; come è nata l’idea di questo concept album?
Volevamo scrivere un album che si evolvesse nell’arco del suo minutaggio.
Ci è subito venuto in mente il parallelismo con la vita.
La vita si evolve e noi cambiamo con essa e in funzione di essa.
La nostra percezione delle cose si modifica nel tempo, ci adattiamo alle situazioni che il percorso che ci è stato tracciato ci riserva.
Di fatto anche il nostro album si comporta di conseguenza.
Evolve nel corso del minutaggio diventando più senile verso le ultime tracks.
Ascoltando il disco si ha la sensazione di un viaggio tra diversi tipi di sound, oltre ad un’esigenza descrittiva dell’album si tratta sicuramente di una vostra peculiarità; quali sono le vostre principali influenze musicali?
Affondiamo le radici nel cantautorato folk di stampo americano ma cerchiamo sempre di stravolgere il genere sconfinando in altri generi musicali.
Il disco è registrato al BLAP Studio di Milano assieme a Ivan Antonio Rossi; in che modo ha influito questo sul risultato finale?
Tantissimo. Non è solo una questione di “professionalità” che è indiscussa sia per Ivan Rossi, sia per Antonio Polidoro (BLAP Studio). E’ stato il clima che si è creato che ci ha permesso di dare il massimo con la massima semplicità.
Domanda scontata ma non semplice visto il periodo; come affrontare la pubblicazione di un album e l’incertezza sul futuro a breve termine del mondo dei live?
Cantando in inglese abbiamo sempre avuto problemi a trovare date in Italia.
Il fatto di aver rilasciato un “Concept Album” nell’era delle playlist di Spotify di certo non ci darà una mano. Suonare all’estero al momento è praticamente impossibile.
Continuiamo ad annaspare in questo “precariato musicale” che purtroppo ha riflessi molto pesanti anche sulla parte artistica, perché in questo contesto trovare le giuste motivazioni per andare avanti è molto complicato. Fortunatamente siamo molto affiatati e la voglia di continuare, suonare e scrivere è molta.
