“Piccola Abitante di Saturno” è il nuovo viaggio musicale firmato Legno, il duo toscano che continua a raccontare con delicatezza e profondità le emozioni dell’animo umano.
Undici brani intensi, sospesi tra malinconia e speranza, che attraversano le complesse dinamiche dell’amore e della solitudine.
Ne abbiamo parlato con loro, tra canzoni che sanno di fughe interiori e piccoli universi nascosti.
“Piccola Abitante di Saturno” è un titolo evocativo e cosmico. Chi è questa figura?
La Piccola Abitante di Saturno non è una figura concreta, ma piuttosto un riflesso del nostro inconscio, che ha percepito il bisogno di allontanarsi, di partire verso un viaggio introspettivo. Un cammino che le consente di lasciarsi alle spalle ciò che non le serve più, ciò che la ferisce. Spesso si sente dire che siamo eterni sognatori, che desideriamo partire per liberarci di tutto, in senso figurato. Ecco, l’intento era proprio quello di dare una forma visibile a questa sensazione, a questa necessità di fuggire, di rinnovarsi.
L’album tocca temi profondi come la solitudine, l’alienazione e il bisogno di autenticità. Cosa vi ha spinto a indagare così a fondo nelle pieghe dell’animo umano?
Abbiamo voluto raccontare tutto ciò che abbiamo vissuto negli ultimi anni, dai momenti più difficili a quelli più felici e anche ai periodi di delirio che abbiamo sperimentato, specialmente durante le tournée. Per noi è fondamentale poter esprimere il nostro disagio attraverso i testi e le canzoni; è un modo per sfogare le emozioni e fare i conti con ciò che ci ha segnato. Siamo cresciuti, ci siamo messi a nudo per condividere un frammento della nostra vita. La solitudine è una condizione che ti consuma dentro, e abbiamo avuto la possibilità di affrontarla, di analizzarla. Non è stato facile, ma è stato un percorso necessario. Piccola Abitante di Saturno è un album profondamente personale, e proprio per questo lo sentiamo così vicino, così nostro.
In “Girotondo” con Gio Evan parlate dei litigi come parte inevitabile dei legami. Che tipo di dialogo c’è stato tra voi e Gio durante la creazione del brano?
Con Gio c’è un’amicizia profonda. Ci siamo incontrati a Eveland e da quel momento è stato un vero piacere condividere la scrittura di questo brano insieme. Gio è una persona estremamente sensibile e profonda, con una connessione unica verso tutto ciò che è terreno, emotivo e relazionale—una qualità che in pochi possiedono. È una questione di sensibilità. Con lui abbiamo imparato che ci sono momenti che vanno vissuti pienamente prima di poterli raccontare, e che la leggerezza con cui affrontiamo certe cose è alla base di tutto. Girotondo è un pezzo molto importante per noi, perché riesce, con pochi versi, a esprimere questa bellissima verità.
In “Canzone stupida” con Marco Masini si percepisce una dolce malinconia. Com’è nato questo featuring e cosa vi ha lasciato?
Stiamo parlando di Marco Masini, una vera e propria leggenda della musica italiana. Siamo cresciuti ascoltando le sue canzoni, e per noi questa collaborazione rappresenta il traguardo più importante che abbiamo mai raggiunto. È un onore assoluto. Condividere una canzone con Marco è stato come vedere un sogno che finalmente si avvera. Il brano racconta il grido finale di una relazione, l’ultimo respiro prima della fine, quando la voce si spezza e non resta altro che dedicare una “stupida canzone”. Marco ha saputo infondere al pezzo un significato ancora più profondo, con la sua voce, una delle più belle che l’Italia abbia mai avuto. È stato un momento incredibile.L’artwork del disco è stato pensato come un ponte tra musica e pittura.
Com’è stato lavorare con Alessio Londi e vedere le vostre emozioni trasformarsi in immagini?
Alessio Londi è un artista capace di trasformare la complessità degli argomenti in immagini astratte e pungenti, come un moderno alchimista delle forme. Ha dato vita all’intero album, traducendo le parole in visioni che si distaccano dalla realtà e sfiorano il concetto di pop art, unendo la potenza del messaggio a una forza visiva. La sua opera, intrisa di richiami all’arte di strada e all’energia dei lavori di Keith Haring, si fa portatrice di un linguaggio universale che parla senza mediazioni.
Ogni angolo della copertina racconta un frammento della nostra musica, reso tangibile attraverso un accurato lavoro di ricerca artistica che ha esplorato i testi dei nostri brani fino a sviscerarli, restituendo emozioni e visioni. Con il suo tocco impeccabile, Alessio ci ha regalato un’opera d’arte che non è solo una copertina, ma una dichiarazione visiva, un’esplosione di colori e significati che per noi è qualcosa di straordinario, quasi rivoluzionario.
La vostra immagine pubblica – tra anonimato e maschere – è sempre molto curata. È una scelta per proteggervi o per raccontare meglio la vostra visione?
Legno ha un’identità ben definita, rappresentata da una scatola. Per noi è difficile separarci da questa immagine, ma non vogliamo nasconderci dietro una maschera. Siamo liberi, e non ci dispiace che qualcuno possa riconoscerci. Però, all’inizio, quando è nata l’idea di indossare una scatola, non avremmo mai immaginato che sarebbe diventata una parte così profonda del nostro essere, della nostra immagine. Legno siamo noi, i nostri fan, e tutte le persone che vogliono indossare questa maschera per affrontare le proprie insicurezze e fragilità. È diventata una sorta di simbolo per chi cerca di combattere con ciò che spesso non si vede, ma che fa parte di ciascuno di noi.
Se poteste mandare una canzone di questo disco nello spazio, a un altro pianeta… quale scegliereste e perché?
Su Saturno manderemo l’altra metà della Luna, quella che da lì non è mai visibile. Un atto simbolico, come un messaggio lanciato da un mondo distante, che riflette la parte nascosta, quella che sfugge alla vista e che solo chi è lontano può percepire. Un gesto che parla di ciò che resta fuori dall’orizzonte, ma che, pur rimanendo invisibile, continua a influenzarci e a darci forma.
