Articolo di Marzia Picciano (14/09) | Foto di Federico Buonanno (06/09)
Meno male che il 6 settembre ha piovuto, perché penso che il recupero del concerto di Fulminacci, nome d’arte per il giovanissimo Filippo Uttinacci, al Magnolia, non sarebbe stato lo stesso. Forse proprio perchè non ci si prospettava una piccola Waterworld (pare che l’area di accanimento sia stata proprio quella del circolo e io e la mia collega no, non avevamo branchie), c’è stato un supplemento di riflessione, e ci si è presentati con uno show che è stato un crescendo di iperattività, quello che io, ormai da due anni fuori dalla Capitale, volevo vedere a fine di una grigia, insipida, giornata meneghina. Un momento, non blasonato, sincero e mai forzato, di amarcord romano per un’altra vittima del capitalismo italiano che ci spinge sempre a nord.
Fulminacci si è presentato su un palco in stile un po’ retro’, pronto per un programma RAI con Pippo Baudo, in una mise a metà tra un Beatles sbarbatello e un maitre, aprendo con Suona La Banda anticipata dagli accordi di Here Comes The Sun dei baronetti inglesi. Se il primo tempo del concerto è stato un pianobar (questa vera tradizione romana che altre parti d’Italia non concepiscono nemmeno) intimista, con cori da accendino su Resistenza, La Vita Veramente e Al Giusto Momento, intervallati dal momento di “denuncia culturale” di Borghese in Borghese, nella seconda parte l’artista che canta del freddo sull’Aurelia, dall’alto dei suoi 25 anni è stato in grado di guidare il parterre di fan, con una maturità artistica impressionante sempre fresca e divertente, verso ritmi più da serata. Complice una mise en place da Ritorno al Futuro, ha convinto a ballare e saltare anche il bimbo, un po’ stanco, della mia collega (anche lei fiduciosa nel recupero).
Alcune variazioni alla scaletta hanno arricchito uno show che pur nella sua impostazione, nelle mini coreografie e posizioni delle chitarre sul palco, non hanno compromesso l’idea di fondo che fossimo in un ritrovo di amici da venerdì sera. Prima di tutto, la partecipazione, assolutamente non scontata, di Willie Peyote (con drink in mano da vero gaudente) su Aglio e Olio che ha scatenato una folla che benedice questa unione da alta velocità Roma Milano. La cover di Stavo Pensando a te di Fabri Fibra, eseguita con il frontman dei Canova, Matteo Mobrici al piano, ha riportato l’attenzione del pubblico meneghino su groove più incalzanti, incanalando benissimo dopo I Nostri Corpi e Le Biciclette la sessione dedicata ai pezzi più rap (in Un Fatto Tuo Personale) o funk come Miss Mondo Africa, Tattica e Canguro, su cui il pubblico si è letteralmente scatenato, o synth, come La Grande Bugia, pezzo ancora più eighties nell’esibizione che prende in giro (o consola?) la generazione dei boomer (o per me, quella di Tommaso Paradiso).
Il bello di Fulminacci è proprio questo: la leggerezza, anche davanti all’assurdo. A 25 anni, il Daniele Silvestri della generazione del Game Cube, quella che ha maturato solo nell’arco di un quarto di secolo, ricordi, esperienze e aspirazioni non scritti in nessun programma politico, porta a livelli quasi poetici, senza mai essere pesante, quel modo un po’ beffardo che il mondo romano ha di guardare un mondo, o una Capitale, che crolla, da una postazione privilegiata di balconi costellati di antenne paraboliche e palazzi gialli. Per me, che pure sono dell’Adriatico, i palazzi di Roma sono tutti gialli, anche quando sono grigi, e sono gialli soprattutto nella notte che sembra sera a San Giovanni, quando dovresti andare via e invece no, ti giochi il tutto e per tutto con la persona con cui stai da ore a parlare, anche perchè il giorno dopo comunque non lavori o chissà se il capo ti licenzia, ma comunque c’hai qualcosa davvero grande da perdere? C’è sempre un po’ di amarezza sorniona nelle parole di Fulminacci, quella che viene da una città tanto viva quanto piena di distanze vuote inconsolabili, soprattutto dall’ATAC, e un po’ tanto paracula. E’ una sensazioni di non detti che si trascinano per il giorno, nei reparti di superalcolici, di dilemmi esistenziali che in realtà non sono dilemmi, siamo solo noi che, inguaribili testardi, ci trastulliamo nel tirare quanto più a lungo il romanticismo (nel senso goethiano del termine) di una serie di giornate che altrimenti sarebbero numeri che si susseguono senza particolare fantasia.
Nell’esibizione di ieri Fulminacci, vuoi per l’ansia da recupero di una data che era affollatissima, vuoi perche ci stiamo avvicinando all’ottobrata che non avremo mai a Milano, ha dato forza reale ai suoi pezzi, ci ha distratto e fatto pensare al bello di guardare in maniera scanzonata al mainagioia dei giorni nostri – di incasinarceli con problemi che ci fanno rabbia, ci tengono svegli, ma senza perderci mai la possibilità di farci una risata con spensieratezza, come quando citofoni e poi scappi. Sembra questo il principio che guida l’abuso, mai troppo serio, di sigarette nella scanzonatissima e cantatissima Brutte Compagnie, o la gestione di triangoli come in Tommaso, grande classico da encore, suonato anche qui con un arrangiamento (pazzesco) di chitarre che echeggiavano Holiday dei Green Day. Che dire: estasi del pubblico (inclusa la sottoscritta), quello della suddetta generazione Nintendo che vive di rimandi citazioni e riferimenti storici, e che se c’è qualcosa che ama è il sincretismo della cultura pop.
Quindi: grazie diluvio universale del 6 settembre. Parlando di pioggia, una cosa nota, ma che pochi realmente sanno, è che Roma ha un peculiare rapporto con l’acqua, da ovunque essa arrivi, mare o cielo, non è mai poca e si è sempre impreparatissimi a gestirla. Ne ho avuto la concreta prova qualche anno fa, quando con la mia piccola Micra, compagna di tante avventure e buche, attraversavo la Pontina in direzione Pomezia in un atipico 1mo novembre di allerta meteo, e a un certo punto mi sono trovata in mezzo metro di pozza, in una strada semi deserta. Ecco, ieri non ho potuto non pensare a episodio abbastanza epifanico della mia esistenza (in quel giorno scoprii anche che i Vigili del Fuoco non verranno a salvarti da acque refluee che ti circondano a meno che tu non abbia disabilità o sia incinta), che oggi ricordo ridendoci, e non ascoltavo Fuminacci, ma si, ora lo confermo: Roma è una città di mare.
Clicca qui per vedere le foto di Fulminacci in concerto a Milano o sfoglia la gallery
FULMINACCI – la scaletta del concerto di Milano
Forte La Banda
Resistenza
La Vita Veramente
Al Giusto Momento
Una Sera
Chitarre Blu
Borghese in Borghese
San Giovanni
Sembra Quasi
I Nostri Corpi + Le Biciclette
Aglio e Olio
Miss Mondo Africa
Meglio di cosi
Santa Marinella
Brutte Compagnie
Un Fatto Tuo Personale
Canguro
Le Ruote e i Motori
La Grande Bugia
Tattica
Tommaso
