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Reportage Live

NICK CAVE: più maestoso del dio è colui che ne canta la messa

A Milano l’unica tappa italiana del Wild God tour, che ha riportato sul palco il cantautore (e molto di più) australiano con i suoi Bad Seeds dopo sette anni dall’ultimo tour europeo. Il bardo del rock contemporaneo ha celebrato una funzione che ci ha portato sulla strada di una redenzione collettiva. Spiegandoci, con le canzoni del suo ultimo album, che la vita è dolore e gioia insieme, e non possiamo fare altro che accettarlo. Ancora meglio, che possiamo amarlo.

Nick Cave
Nick Cave in concerto all'Unipol Forum di Milano foto di Marco Arici per www.rockon.it

Articolo di Silvia Cravotta | Foto di Marco Arici

Rapiti, posseduti e infine liberati in una esplosione vibrante di gioia. È una esperienza che sarà difficile dimenticare, quella vissuta ieri all’Unipol Forum di Milano, per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di assistere all’unica data italiana del Wild God tour di Nick Cave and the Bad Seeds, che li ha riportati insieme in giro per il Vecchio Continente dopo l’uscita dell’album omonimo, il numero 18 di una discografia lunga quarant’anni.

A metà strada tra un predicatore e uno showman, con inattesi spunti comici e una voce che non cede di un millimetro neppure dopo due ore e mezza di performance, il Nick Cave che sale sul palco nell’Anno Domini 2024 sembra essere venuto a patti con il dio selvaggio che dà il titolo all’album e condivide, come ha sempre fatto, con il suo pubblico le emozioni che riesce così perfettamente a mettere in musica. Una esperienza totalizzante e catartica, difficile da descrivere solo a parole.

Nick Cave & The Bad Seeds in concerto all’Unipol Forum di Milano, foto di Marco Arici per www.rockon.it

Nonostante le innumerevoli esperienze professionali, che lo hanno portato a sperimentare su più terreni artistici, e una vita che definire intensa sarebbe riduttivo anche nelle sue parti più dolorose, Nick Cave sul palco sembra essere vicino a ogni singola persona arrivata lì per lui. Le braccia che dal basso si protendono verso di lui – donandogli un’aura divina -, che lo circondano e lo toccano, sono solo la rappresentazione fisica di un profondo legame spirituale.

Ed è la sua musica a creare questo legame, anche grazie al prezioso contributo di una band ferocemente brava come solo i Bad Seeds possono essere, accompagnata per l’occasione dal basso di Colin Greenwod dei Radiohead. Alla destra del palco, inamovibile, il fidato Warren Ellis, braccio destro musicale di Cave ma anche insuperabile spalla nel momento live. L’esibizione è lirica e corale, e quel sentimento di rinascita e di positività che permea l’ultimo album (dopo i difficili momenti del lutto e della sua elaborazione dei precedenti Skeleton Tree e Ghostseen) è perfettamente condiviso da tutta la band, e il tutto risulta estremamente coinvolgente dal vivo.

Prima di loro, però, era toccato ai The Murder Capital. Opening act prestigiosissimo, affidato nelle mani della band irlandese, on stage dal 2018 con il suo rock post-punk cupo e incalzante. Costretti in un certo senso ad affrancarsi dal ruolo di fratelli minori dei Fountaines D.C., con i quali condividono lo stretto e riconoscibilissimo accento dublinese, i cinque hanno portato sul palco milanese una personalità e un repertorio che spiegano il successo rapidamente raggiunto in questi anni. Tre quarti d’ora per presentare le canzoni dei loro primi due album, da The Stars Will Leave Their Stage, alla splendida Ethel, da Slowdance I e II, Love, Love, Love, fino all’ultima uscita, Can’t Pretend to Know, il loro singolo 2024. Il riscontro dal parterre conferma la sensazione che li rivedremo ancora.

Sono le 21 spaccate quando l’intro di Frogs apre il concerto con l’ingresso della band al completo. Non poteva esserci scelta migliore di questa canzone, cupa e suggestiva ma in fondo profondamente gioiosa, il ritmo scandito da chitarre distorte e una batteria quasi ossessiva. Siamo solo all’inizio ma la voce baritonale di questo bluesman moderno riempie già tutto il Forum: ad accompagnarla nell’esibizione il corpo giovanile del sessantasettenne Nick Cave, che farà avanti e indietro sul palco per tutto il concerto. Alle sue spalle le scritte nello stesso font della copertina dell’album che, con frasi e parole scelte, saranno un efficace supporto per la gran parte dei pezzi.

Nick Cave & The Bad Seeds in concerto all’Unipol Forum di Milano, foto di Marco Arici per www.rockon.it

Si va in crescendo con la title track del nuovo album, Wild God, dal sapore gospel e con un emozionante dialogo tra il cantante quasi supplice e il coro. Sulla stessa linea prosegue Song of the Lake, con il suo refrain “nevermind” ripetuto ossessivamente come una preghiera a ricordarci di imparare a lasciare andare le cose che non vanno nella nostra vita. Per presentare O Children (cosa che farà per quasi tutti i pezzi), Cave racconta come l’ispirazione gli sia venuta guardando i suoi figli al parco e chiedendosi quale mondo stessimo costruendo per loro. Questa canzone, dice, “lo segue tristemente da 22 anni”. L’esibizione dilania il cuore, il pensiero non può che andare a tutto quello siamo costretti a sentire da due anni a questa parte almeno.

Dal vivo Jubilee Street è travolgente e quando raggiunge il suo climax lo fa un pubblico già entusiasta. Al punto che, mentre cerca di presentare From Her to Eternity, è costretto a interrompersi perché le mani della prima fila continuano ad afferrargli le gambe. Cave scherza continuamente col pubblico, ha un feeling e una capacità di interazione giocosa dettata non solo dalla lunga esperienza di palchi in tanti decenni. Questo è talento, signori e signore.

Nick Cave & The Bad Seeds in concerto all’Unipol Forum di Milano, foto di Marco Arici per www.rockon.it

From Her to Eternity è un piccolo capolavoro di desiderio ossessivo e voce rauca, che riporta – con piacere ma senza nostalgia – agli esordi. Long Dark Night parte con solo piano e chitarre, prima cupa poi rischiarata da un coro rassicurante. Cinnamon Horse dal vivo è molto più struggente rispetto a quando si ascolta su Spotify. Con Tupelo si finisce nel bel mezzo di uno storm, dove le luci sono i lampi e la batteria il tuono, mentre Cave cerca di sovrastarli cantando per ricordare che lì è nato il re, Elvis Presley mentre il coro segue con un ballo ipnotico.

Conversion e Joy sono due dei punti cardine per i temi affrontati nel nuovo album: dalla ricerca di un significato all’accettazione del dolore, che deve cambiare in qualcos’altro. D’altronde lo spirito “in giant sneakers” che incontra in Conversion non può non far pensare ad Arthur, il figlio quindicenne perso tragicamente nel 2015. Ed è proprio il ritornello di questa canzone che gli darà più volte l’occasione di far partecipare il pubblico durante il concerto. “ We’ve all had too much sorrow, now is the time for joy”, dice in Joy (che presenta come “a little word, but a big word”), riassumendo in una sola frase tutto il senso dell’album.  

Dopo I Need You solo al piano, si pesca dal repertorio passato: a parte Carnage (dall’album omonimo del 2019 con Warren Ellis), Final Rescue Attempt, Red Right Hand con le sue campane e The Mercy Seat pescano dal repertorio della band. White Elephant è degna di un finale col botto, con il pubblico scatenato e il coro che lascia la sua postazione sopraelevata per scendere sul palco. Il tempo di presentare tutti e salutare, e le luci si spengono. D’altronde sono le 23 e siamo già a due ore di concerto.

Nick Cave & The Bad Seeds in concerto all’Unipol Forum di Milano, foto di Marco Arici per www.rockon.it

Il dubbio che gli encore possano saltare balena per un attimo. Ma è solo un attimo, perché la band rientra e rilancia con Wow O Wow (How Wonderful She Is), anticipata da una dedica meravigliosa di Cave a Anita Lane, amata musa scomparsa pochi anni fa. Mantenuta anche in versione live la telefonata registrata di lei che scherza al telefono, mentre sugli schermi scorrono le immagini di lei, bellissima.

Papa Won’t Leave You, Henry e The Weeping Song chiudono in bellezza, con l’uscita dal palco della band, dove restano solo Cave e il suo pianoforte per la ben nota ballata Into My Arms, che ci lascia con un dolcissimo sapore in bocca. Alle 23.35 si esce, inconsapevoli del tempo trascorso ma coscienti di averlo vissuto al meglio. E con un gran senso di pace interiore, quasi – oseremmo dire – di gioia.
La messa “caviana” è finita. Ce ne andiamo tutti in pace.

Clicca qui per vedere le foto di Nick Cave and The Bad Seeds all’Unipol Forum di Milano (o scorri la gallery qui sotto)

Nick Cave


NICK CAVE AND THE BAD SEEDS |
La scaletta del concerto di Milano:

Frogs
Wild God
Song of the Lake
O Children
Jubilee Street
From Her to Eternity
Long Dark Night
Cinnamon Horses
Tupelo
Conversion
Bright Horses
Joy
I Need You
Carnage
Final Rescue Attempt
Red Right Hand
The Mercy Seat
White Elephant

Encore:
O Wow O Wow (How Wonderful She Is)
Papa Won’t Leave You, Henry
The Weeping Song
Into My Arms

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