Articolo Silvia Cravotta | Foto di Roberto Finizio
Metti una sera a Bergamo, in una delle estati più calde degli ultimi decenni, con Vinicio Capossela. A guardare uno spettacolo che non sapresti dire se è più un concerto, una esibizione teatrale o piuttosto una lezione di letteratura antica. D’altronde sul palco c’è un artista che è difficile da riassumere in una sola parola. E, a dir la verità, sarebbe difficile farlo anche in poche. Perché anche ieri sera alla rassegna “Lazzaretto estate 2022“, il cantautore (nonché musicista polistrumentista, nonché scrittore, nonché attore) emiliano – classe 1965 – si è portato dietro il suo ricchissimo baule da menestrello colmo di miti antichi, ritmi jazz, gighe, musica folk, sonetti, carmina buriana, canzoni trobadoriche, personaggi fantastici e tradizioni popolari di ogni dove.
L’amore è il filo conduttore, come lo è stato per tutta la sua ultratrentennale carriera, e nel suo instancabile moto alla ricerca della comprensione di un sentimento che comprendere non sarà mai possibile, Capossela è tornato sempre più indietro nel tempo, fino al Medioevo, fino a quel milleduecento in cui viveva il poeta Richart de Fornival, la cui opera “Bestiario d’Amore” ha ispirato l’omonimo EP uscito il 14 febbraio 2020, letteralmente a pochi passi dallo scoppio della pandemia in tutto il mondo. Ma, volendo guardare bene, il tema era già stato anticipato l’anno prima da “Ballate per uomini e bestie”, undicesimo album in studio e contenitore de “La peste”, che ha dato il via al concerto bergamasco. In fondo si era in un lazzaretto, che di sofferenze per questa malattia deve averne viste parecchie. Capossela entra in scena con una maschera da medico della peste, cappuccio nero e becco bianco allungato sopra due cavità nere, ed è solo il primo dei tanti copricapi che cambierà nelle sue oltre due ore di esibizione, iniziata spaccando il secondo. La pandemia che canta non è quella che è stata al centro dei nostri pensieri negli ultimi due anni ma quella meno recente dell’iperconnessione e dell’ossessione social che ormai attanaglia tutti, dai preadolescenti agli ultrasettantenni.

L’attacco a tema con la location lascia però subito spazio alla ricerca del senso dell’amore che parte, appunto, da “Bestiario d’Amore”, introdotto, raccontato e spiegato come ogni singola canzone di questo concerto. E con una richiesta al pubblico di portare pazienza per gli 11 minuti di durata dell’opera, accolta con una risata generale. Richiesta superflua, tra l’altro, visto che il tempo passa in un attimo mentre, seduto al pianoforte, Capossela riprende i paralleli medievali tra i comportamenti animali e quelli degli uomini e delle donne innamorate, uno “zoo interiore” come lo definisce, provocato dal desiderio d’amore. E non manca di ricordare Chiara Frugoni, storica medievalista con forti legami nel territorio bergamasco. Dal Medioevo si fa un salto indietro nel tempo, l’artista indossa un copricapo da Minotauro e campanacci come quelli dei Mamuthones sardi, ma sempre di amore si parla quando canta “Brucia Troia”, dedicata al teatro eterno di una delle relazioni più pericolose nella storia della letteratura mondiale. Su questa linea si prosegue – dopo “Con una rosa” e un cappello con una corona di fiori e “Danza macabra” – con il trobadorico “Canto all’alba” e le sue storie d’amore clandestine e con “Fuggite amanti, amor”, che mette in musica un sonetto di Michelangelo Buonarroti. Capossela non solo dialoga e scherza con il pubblico, intervalla le sue canzoni presentando i musicisti che suonano con lui. E c’è spazio anche per le riflessioni a tema ambientale, partendo dai riferimenti agli uomini che scappano dalle loro responsabilità sentimentali come le balene che si immergono, per arrivare all’emergenza clima, contro quel capitale “che maciulla gli uomini, le bestie, il pianeta”. Il tema e il look di Capossela diventano marinari con i ritmi sfrenati di “Oceano Oilalà” e “Pryntyl”, cantati dalla prua di una nave che occupa una parte del palco. Qualcuno dal pubblico comincia ad alzarsi per ballare e non si risiederà più, anticipando “l’invasione di campo” che ci sarà a fine concerto. Ma niente spoiler. C’è tempo ancora per la trascinante “Marajà”, stavolta con un mega colbacco nero coperto di lacci dorati, e per la raffinata ballata “Il testamento del porco”, cantata ovviamente con un cappello a forma di testa di maiale.

Una menzione speciale tra tutti all’assolo di tamburello di Peppe Leone, che ha accompagnato il concerto insieme agli altri bravissimi musicisti. Nelle sue mani lo strumento sembra prendere vita autonoma e con il suo ritmo incessante e mai uguale lascia per parecchi minuti tutti senza fiato, fino a un improvviso silenzio, salutato da un’esplosione di applausi. È ormai il momento de “Il ballo di San Vito” che toglierà gli ultimi freni alle inibizioni del pubblico seduto, che ha finito il concerto in piedi, ballando scatenato sotto il palco. Il tempo è ormai finito e per questioni di normative, spiega lo stesso Capossela, non si può suonare fino all’una come lui e i suoi musicisti vorrebbero fare. Ma alle ventitré e trenta, c’è ancora tempo per un paio di canzoni e Capossela presta generosamente il palco a Irene Sciacovelli, giovane cantautrice bergamasca, che ha un’occasione davvero speciale per presentare uno dei suoi pezzi. Il palco torna poi al legittimo proprietario, che conclude questa sua serata dedicata all’amore con uno dei suoi pezzi più noti e più belli, “Che coss’è l’amor”. Le luci si spengono e per Vinicio, dopo una serie di esibizioni ravvicinate, è il momento di un po’ di riposo. Si riparte ad agosto, in giro tra Campania, Toscana e Puglia, si spera con un po’ meno caldo.
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VINICIO CAPOSSELA – La scaletta del concerto al Lazzaretto di Bergamo
La peste
Bestiario d’Amore
Brucia Troia
La faccia della terra
Ultimo Amore
Con una rosa
Danza macabra
La lodoletta
Camminante
Canto all’alba
Fuggite amanti, amor
L’Oceano oilalà
I fuochi fatui
Pryntyl
Marajà
Il testamento del porco
Il ballo di San Vito
BIS
Che coss’è l’amor
