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Reportage Live

Siamo andati ad ascoltare con il cuore gli anni ’80 di NINO D’ANGELO all’UNIPOL FORUM

Se é vero che artisti e musica insegnano sempre a capire qualcosa in più di sé stessi, allora siamo giunti alla conclusione che almeno una volta dovete vedere Nino D’Angelo. Anzi, ora che celebra i suoi Meravigliosi Anni ’80 ancor di più. Perché? Semplice. Non tutto si spiega con la teoria. E ha fatto molto di più un caschetto biondo che tanti libri di tecnica della vita.

Nino D'Angelo concerto Unipol Forum Milano
Nino D'Angelo in concerto all'Unipol Forum di Milano foto di Andrea Ripamonti per www.rockon.it

Articolo di Marzia Picciano | Foto di Andrea Ripamonti

Quando ho chiesto a un mio caro amico di Napoli di spiegarmi un pó la figura di Gaetano “Nino” D’Angelo cercavo di figurarmi in breve a cosa sarei andata incontro presentandomi all’Unipol Forum di Assago questo gelido 5 dicembre per il concerto dell’artista napoletano che più ha fatto la storia in questo Paese, dicevamo a Milano, una città che ha imparato ad amare dice, per una data esclusiva almeno qui nel settentrione del suo tour “I MIEI MERAVIGLIOSI ANNI ’80…e non solo!“, beh ecco il mio amico, interpellato, si é limitato ad asserire che pur trattandosi di un’istituzione napoletana c’era assai poco tempo per la dottrina. Mi ha raccomandato di ascoltare con il cuore, anche se probabilmente non avrei capito niente delle canzoni.

A show concluso, se da un lato posso confutare la tesi sull’incomunicabilità di buona parte dei passaggi (su una scaletta di ben 42 canzoni), dall’altra vado peró confermare tutta la questione del cuore: probabilmente non c’é altro modo per intendere Nino D’Angelo se non con il cuore, anzi é l’unico modo.

Nino D’Angelo in concerto all’Unipol Forum di Milano foto di Andrea Ripamonti per www.rockon.it

No, non lascio spazio a sentimentalismi vari, anzi lo show e l’intero immenso repertorio di D’Angelo ne é stracolmo, e quello che ho visto ieri sera é una minima parte (lo sa anche lui, non basterebbe una giornata). Mi sono approcciata all’evento con spirito quasi antropologico, con un certo timore reverenziale e paura di fare passi falsi, da brava neofita dell’artista e della musica neomelodica in generale (dubito che un ascolto compulsivo di Liberato o Nu Genea ci renda esperti di sound partenopeo, al massimo ci fa sembrare ancora più radical chic). Nella mia storia personale non ho avuto tanti contatti con la musica dell’artista, non si metteva a casa, non ci sono cresciuta. Volevo conoscere. Conclusione: per non sbagliare, ho messo da parte le vesti da investigatrice, eccezion fatta che per la curiosità. Del resto, non serve indagare quello che é palese.

Saremmo davvero sciocchi a prendere questo evento con leggerezza, o peggio, con un piglio di divertimento distaccato, appunto un pó da radical. Se c’é una cosa che ho capito del mondo partenopeo ancor prima che Sorrentino venisse a spiegarcelo é che non ha voglia di farsi considerare come una peculiarità da osservare dall’alto verso il basso, e sarebbe anche il minimo. Anche se all’emergere dinanzi alla mia visione, da seduta, di un cellulare in videochiamata per vedere il concerto da un lato, e dall’altro per far vedere i paccheri-in-the-making, beh, ho avuto ceduto per un attimo al luogo comune, quello si. Ma per il resto no: un signor concerto, attualissimo per di più.

Nino D’Angelo in concerto all’Unipol Forum di Milano foto di Andrea Ripamonti per www.rockon.it

Prima di tutto, anche solo a vedere la struttura del palco, il doppio schermo su cui suona la band (sassofonista e corista compresi), il pianoforte a coda che entra ed esce scivolando dice la scaletta, io dico letteralmente comparendo e scomparendo, le luci, le grafiche pop, milanesi quasi, un pó retró come ci piace tanto oggi, mi sono chiesta: ma davvero mi sono innamorata di live scarni all’osso, con gente che neanche mi guarda in faccia mentre suona (si, voi, shoegaze del mio cuore), magari svolti proprio qui ad Assago, e mi sono dimenticata di quanto efficaci sono gli show (o meglio, il one man show di un super geloso del suo pubblico) con cantanti ed artisti in frontale, sfolgoranti (qui nel bianco più totale, di abito e ciuffo) per abbagliarti e lasciarti senza parole? E soprattutto, con quale foga?

Ancora, quanti sold-out dell’indie mi sono pagata, ma nessuno ha chiamato con la stessa foga il nome del cantante tanto quanto ho sentito intonare “Nino, Nino, Nino” ancor prima di vedere lo spettacolo iniziare? Senza parlare dell’opening sugli accenni dell’inno del Napoli, e la super chiusura sfavillante tra santini in caschetto e spume bianco azzurre.

Nino D’Angelo in concerto all’Unipol Forum di Milano foto di Andrea Ripamonti per www.rockon.it

Non avevo aspettative se non il desiderio di capire il fenomeno D’Angelo oggi, guardando agli inizi in Galleria Umberto e nel negozio di scarpe, fino al compimento di un piccolo miracolo sempre a Napoli, in 40mila a giugno di quest’anno allo Stadio Maradona a vederlo, l’ufficializzazione de Quel Ragazzo Della Curva B a canzone ufficiale della squadra del cuore e chissà cos’altro ora che ha portato il suo format dedicato al sé di quegli anni, quelli dell’iconico caschetto biondo e direi che un pó siamo andati avanti. Mi chiedo cosa si aspettassero gli altri. E no, non dico solo il pubblico partenopeo accorso, perché di rappresentanti del nord Italia in delirio estatico ce ne erano davvero tanti, e di tutte le età.

É questo quello che colpisce immediatamente: la trasversalità. Fan delle prime ore, nuove generazioni, madri padri e figli. “La famiglia” che dobbiamo recuperare, dice D’Angelo. Delle fascette sui capi canuti e chiome foltissime. Un concetto concreto di Gemeinschaft tradotto in fan club da battaglia. Ieri sera, ad Assago, alle prime note di Nu Jeans e una maglietta c’erano i presupposti per un colpo di Stato. E ripeto, non eravamo neanche all’encore di alè, oh-oh, alè. “Grazie al pubblico delle mie canzoni” ha ripetuto quasi ossessivamente, quasi con la necessità, e l’orgoglio soddisfatto, di identificare li in quel momento i suoi amantie e ammiratori (e ammiratirci), il suo esercito, la sfida verso chi prima lo snobbava e ora lo apprezza. In una recente intervista ha anche detto di non sentirsi un cantante neomelodico: la sua é una rivendicazione di spazio nel cuore, da Napoli a Napoli e quindi al mondo, andata a buon fine, niente rancori alla Greta Cool.

Nino D’Angelo in concert at Unipol Forum in Milan photo by Andrea Ripamonti

E attenzione, per tutta questa foga, emozionata, ma cosciente, trovate un contrappunto in un altrettanto cosciente ed energicissimo leader. Si, emozonato certo, come lo sarebbe chiunque fosse riuscito  a compiere una piccola grande rivoluzione copernicana nel classismo culturale italiano, e che D’Angelo, a partire dal suo caschetto, deve assolutamente interstarsi. Non tanto portare a rilevanza nazionale la cultura e la musica napoletana, piuttosto una sua espressione, ma l’aver inserito nella Treccani della cultura generale il suo nome, aggredire i professoroni da rottamare.

Mettete da parte il fenomeno Geolier, che segue un contesto e regole, nel suo genere, completamente diverse, anche se siamo nella stessa citta’. D’Angelo é stato il primo, e rivendica con grande orgoglio il suo ruolo, o meglio il sé degli anni 80, il suo essere Nino biondo, ó scugnizzo, che non é un termine negativo, sottolinea, ma qualcuno che vuole fare. Ci dialoga, in una forma di metateatro sorprendente, didascalico a tratti quanto un Maestro Manzi che indica la retta via a una folla che reclama parole e pezzi quali necessari sentimenti da esporre (dacci il dono della parola napoletana Nino! Dicci come comunicare quello che sentiamo).

Nino D’Angelo in concert at Unipol Forum in Milan photo by Andrea Ripamonti

Il suo fantoccio in calzamaglia é una figura marionettistica ma come tutti gli archetipi finisce per passare bene il messaggio: sono un’istituzione, io, quello di anni fa, che ha fatto l’Italian Dream (quello degli spezzoni di film su Stupida Avventura, e quello di Sanremo di Jammo Jà) e permesso a Nino di sperimentare ovunque, letteratura arte cinema, tantissimo cinema, world music. Quel “… e non solo!” é la scusa perfetta per collegare il tutto. Insomma, poche volte ti trovi a una celebrazione di qualcuno che sei tu qualche anno fa. Anche in questo, direi, rivoluzionario tanto da abbattere il concetto di anniversario.

É palese il motivo per cui non hai altro modo di intendere Nino D’Angelo se non con il cuore: semplicemente, senza cuore non esisterebbe né lui, né quello che ha generato. Non puoi applicare nessuna teoria o dottrina, non puoi scoperchiare nessun vaso di Pandora. D’Angelo é stato il primo a rispondere a un istinto naturale di comunità che trova in Napoli e nei suoi interpreti i loro campioni per eccellenza, che non ha troppo bisogno di etichette (anzi ne farebbe a meno) e sgomita ancora per avere un posto a tavola. Il sentimento che il piu delle volte vuoi reprimere. E lui, é dagli anni ’80 che non lo butta giù.

Clicca qui per vedere le foto di Nino D’Angelo a Milano (o scorri la gallery qui sotto).

NINO D’ANGELO – La scaletta del Concerto di Milano

  1. Napoli (Variazione)
  2. Batticuore
  3. Fotoromanzo
  4. Vedrai
  5. Dint’ e mane
  6. Via Torino 3
  7. Pe me tu si
  8. Mio caro pubblico
  9. Che ssi per me
  10. Notte in bianco
  11. Fantasia
  12. Cenere d’amore
  13. Amore e pensiero
  14. Mentecuore
  15. Maledetto treno
  16. Na muntagna e poesia
  17. Il letto degli amanti
  18. Jammo ja’
  19. Jesce sole
  20. Fra cinquant’anne
  21. Nun teng’ ‘o curaggio
  22. Caldo d’inverno
  23. Chesta sera
  24. E’ bello
  25. Si ce staje tu
  26. Stupida avventura
  27. Per sempre tua sarò
  28. Chiara
  29. L’ammiratrice
  30. Senza giacca e cravaRa
  31. ‘O pate
  32. Marì
  33. Nu jeans e una maglietta
  34. Sott‘ e stelle
  35. Sogno d’estate
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Dall’Adriatico centrale (quello forte e gentile), trapiantata a Milano passando per anni di casa spirituale, a Roma. Di giorno mi occupo di relazioni e istituzioni, la sera dormo poco, nel frattempo ascolto un sacco di musica. Da fan scatenata della trasparenza a tutti i costi, ho accettato da tempo il fatto di essere prolissa, chiacchierona e soprattutto una pessima interprete della sintassi italiana. Se potessi sposerei Bill Murray.

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