Articolo di Marzia Picciano | Foto di Luca Moschini
“I never realized these artists thought so much about dying/But truth be told we all have the same end” non l’ho detto io, l’ha detto James Murphy nei primi versi di tonite (volutamente in minuscolo, tutto), pezzo del 2017 della band di cui é frontman, LCD Soundsystem, arrivato alle nostre orecchie dopo che gli stessi, a mio umile avviso una delle band più emblematiche della rivoluzione degli anni 2000, quella interiore, in cui ci siamo tutti accorti che siamo mortali, aveva deciso di sciogliersi, sette anni prima. É una banale verità , eppure é di nuovo così illuminante risentirla, questa volta dal vivo, ieri 26 agosto all’apertura dei big concerts della nuova versione del TODAYS Festival, che ha visto la band made in New York esibirsi sul palco del Parco della Confluenza.
Lo ammetto: non ero entusiasta del cambio del gestione dell’iconico festival torinese di fine estate ed é davvero troppo presto per tirare le somme, ma come sono comparsi loro sulla line up non ho potuto esimermi dal riprendere la macchina pur venendo da un ritorno post vacanze di sei ore di autostrada e avventurarmi in Barriera di Milano per loro. Non me ne sono pentita, anzi: sono riusciti a lasciarmi senza parole, lo dici senza senza preoccuparmi di eccedere nell’estasi della fan livello swifties, anche nel giorno dell’annuncio della reunion del secolo (ci siamo capiti). Vedere il Murphy e soci (ovvero: Pat Mahoney, Nancy Wang, Al Doyle, Tyler Pope, Korey Richey, tutti eccezionali e quasi complementari al loro frontman) é qualcosa che va fatto nella vita, anche se non si é fan, anche se non si é amanti del genere (del resto, quanti conoscete che fanno dance-punk, tralasciando le svolte elettroniche degli IDLES?), semplicemente perché di concerti belli e fatti cosi bene ne fanno pochi, che ti fanno emozionare e andare oltre l’emotività da streaming. Attaccano nel profondo del midollo, e danno una scossa che ci ricorda di essere vivi. Purtroppo, aggiungerebbero.
Il pezzo che ha portato gli LCD Soundsystem nell’ideale underground tra il faceto e il terribilmente serio (presentissimo nella scaletta di ieri) non era altro che un arrabbiato (ma direi più disperato) monologo sul venir sorpassati, roba da nostalgici un pó boomer e simpatici come i comitati hipster antingentrificazione dei sobborghi presi d’assedio dai nuovi hipster. C’é dell’ironia autocommiseratoria negli LCD, di chi é troppo bravo o lo é stato. Viene da chiedersi se non si possa trovare un contrappunto in chi ha di fatto aperto o accompagnato il concerto dei nostri eroi, gli altrettanto newyorkesissimi Nation Of Language che chiedono molto retoricamente chi ha voglia di un pó di LCD Soundsystem e che la sottoscritta ha avuto modo di ammirare già all’Ypsigrock a inizio mese (due volte in trenta giorni, é un richiamo vaccinale). C’é da dire che nulla mi delizia di più di Ian Richard Devaney che improvvisa una Broadway su tutta l’interezza del palco mentre canta Weak In Your Light, é chiaramente l’alter ego della me quattordicenne che ballava con le cuffie del lettore mp3 al buio di notte nel salone di casa, ovviamente per occupare più spazio e non sbattere con tavoli che avrebbero costretto i miei ad alzarsi e scoprire di avere una figlia con desideri ballerini nottambuli. Ora a sentirli prima degli LCD Soundsystem é ancora più evidente la somiglianza (newyorkesità?) del suono tutto legato a vibrantissime rimembranze sintentiche, più Spandau Ballet qui peró, a parte qualche esprit puramente neworderiano.
É quindi il momento di Murphy e band, anticipata da un rapido cambio palco che già anticipa a noi trepidanti spettatori la complessità dello show. Due batterie, due piani/tastiere, campionatori, sintetizzatori una navicella spaziale. L’unica certezza, presente già dai Nation of Language: l’enorme palla stroboscopica appena in alto, un trademark per eccellenza, che urla I Can Change I Can Change I Can Change mentre lancia luci sulla nostra pateticità. Si, perche quello che gli LCD ci insegnano con ogni loro pezzo é proprio questo: ma quanto siamo belli e patetici nelle nostre velleità ? E lo fanno con un suoni ossessivi, con una lirica che poco si piega alle logiche delle canzoni commerciali, pezzi lunghi ben oltre il diktat radiofonico (la scaletta non é eccessivamente intensa, ma se si considera che ogni track supera i sette minuti come minimo beh, é presto detto), melodie circolari che ci fanno chiedere ogni volta: ma come diavolo hanno fatto a propinarcele e farcele amare, come é possibile che le trovi geniali e ora suonate davanti a me rischi di caderci ancora più dentro?
Del resto, basta guardare Murphy che arriva sulle note di (una sarcasticissima) Real Good Time Together di Lou Ree con l’aplomb di un carismatico maestro estremamente serio e allo stesso tempo, neanche per un pó, che si muove tra le sue creature (band e attrezzatura, tutte insieme) osservando, correggendo, aiutando, complimentandosi, lasciando la scena, ritornandoci, prendendo il suo microfono palmare che pare una ricetrasmittente da ufficiale in trincea su cui accanirsi, mentre salta sulle casse, sul gobbo, si dispera (sempre con grande compostezza), fa i gargarismi prima di attaccare I Can Change.
Ma noi lo adoriamo, li adoriamo cosi come sono. You Wanted A Hit scatena davvero il pubblico proseguendo in un continue su quella danza satanica priva di pathos, perché troppo carica di sagacia che é Tribulations, e ora stiamo ballando davvero. Non peccano nel live anzi: sono evidentemente nel loro elemento puro pur non essendo animali da palcoscenico nel senso comune del termine e no, non li vedrete arrampicarsi come Vedder o Albano sulle impalcature, neanche farsi le corse da un lato all’altro del palco, al massimo beccherete Murphy in una ponderatissima passeggiata per andare a trovare un amico, Pat Mahoney, che in quel momento si sta piegando sulla batterie, prendere le bacchette, e dare dei colpi agli stessi piatti e rullante, o a puntare Nancy Wang mentre si sposta dal sintetizzatore al piano e intonare New York I Love You, But Yoùre Bringing Me Down quando ancora i tecnici stanno lasciando il palco.
tonite alza il tiro sul sarcasmo, Home lo dissipa nelle luci allucinanti della palla stroboscopica e nei cori che anticipano Dance Yrslf Clean, uno di quei pezzi che la band costruisce cosi bene in un crescendo che si ripete sempre e mai, in un tempo di sviluppo che é infinito, un’attesa devastante dell’esplosione come solo lo sono certi orgasmi particolarmente desiderati. Un sole rossissimo di alba o tramonto si staglia mentre pensiamo a Someone Great che ci ha lasciato, nel momento di lucidità che incontriamo quando sperimentiamo il vuoto di certe assenze, o il senso di crescere, nel senso reale di invecchiare e scoprirsi meno fighi magari, e per di più con la paura di essersi persi grandi occasioni o qualche grande amico. All My Friends é la canzone perfetta per eccellenza: non un ritornello, una melodia in chiave di A maggiore ripetuta allo sfinimento con la stessa veemenza di una lite in Morse, quasi a dirci che é la musica stessa il messaggio e vuole dirci qualcosa (l’ansia esistenziale che ci attacca quando meno ce lo aspettiamo), un volume sempre più alto a ogni giro infernale, alla fine finiamo dentro il pezzo e rimaniamo lì, estasiati, assorti, crucciati, diversi.
C’é un senso quasi di svogliatezza, di noncuranza eppure niente é lasciato al caso (neanche gli easter eggs di Yazoo, Daft Punk e Suicide che spuntano come cameo nell’esecuzione), l’esecuzione é perfetta, la resa impossibile da pensare se non studiata attentissimamente: siamo fagocitato dallo show, eppure gli LCD Soundsystem vogliono intrattenerci mentre mettono a nudo le nostre ridicole esistenze. Esiste qualcosa di più interessante che preoccuparci di noi? Forse riderne. Un riso amaro. Ma estremamente ballabile, e no, non é la solita trovata commerciale. Perché alla fine si, pensiamo sempre a quello (alla morte, non solo chi la canta lo fa), ma nel frattempo proviamo a darci una chance.
Clicca qui per le foto del concerto di LCD Soundsystem e di Nation of Language o sfoglia la gallery qui sotto
LCD Soundsystem – La scaletta del concerto di Torino
Real Good Time Together (Lou Reed)
Us v Them
I Can Change (cameo di “Computer Love” dei Kraftwerk)
You Wanted a Hit
Tribulations
Movement
Tonite
Someone Great
Losing My Edge (camei di Suicide “Ghost Rider”, Daft Punk “Robot Rock” e Yazoo “Don’t Go”)
Home
Dance Yrself Clean
New York, I Love You but You’re Bringing Me Down
All My Friends
Head Over Heels (Tears for Fears)
Nation of Language – La scaletta del concerto di Torino
Spare Me the Decision
On Division St
Sole Obsession
Surely I Can’t Wait
The Grey Commute
September Again
Weak in Your Light
This Fractured Mind
The Wall & I
A New Goodbye
Too Much, Enough
Across That Fine Line