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Dave Matthews e Tim Reynolds: reportage e scaletta del concerto di Milano

Si è chiuso con la data milanese al Teatro degli Arcimboldi il mini tour italiano di Dave Matthews, accompagnato nell’occasione dal fraterno amico Tim Reynolds, a distanza di dieci anni esatti dalla precedente esibizione italiana, come coppia, andata in scena al teatro Dal Verme nel 2007.
Un mini tour di tre date che ha visto il duo esibirsi, anche, a Torino e Padova, per la felicità di un pubblico appagato dall’aver assistito ad una sorta di unico show diviso in tre atti nel quale sono state proposte, nell’arco di tre serate, ben 45 canzoni differenti, 51 se si considerano le canzoni strumentali acustiche del solo Tim.
Quello di Milano, come immagino i precedenti, è stato un concerto dal sapore fortemente internazionale grazie ai moltissimi fan accorsi da Europa e Stati Uniti.

Dave Matthews è l’emblema, al pari di altri artisti altrettanto meritevoli, che il successo non è fatto di sole, ottime, canzoni, ma passa per un processo di fidelizzazione che tocca gli aspetti più disparati. Così come accade per Springsteen e Pearl Jam anche l’artista di origini sudafricane può infatti vantare una fan base leale, partecipe e molto coinvolta, rappresentata in Italia dall’attività di un fan club che affonda le radici in un passato ormai lontano e che perdura tutt’oggi (belle le magliette create per l’occasione).
La scaletta di Milano è stata, al pari delle altre due, ricca di gradite sorprese. Sono state infatti suonate ben quattro canzoni al loro esordio nel tour (“Seek up”, “The Maker”, “Mercy” e “Sister”). Per il resto una setlist molto equilibrata che è andata a toccare quasi tutte le produzioni Dave Matthews/Dave Matthews Band, salvo l’esclusione integrale del controverso “Stand Up” e quella, più sorprendente, dell’album solista “Some Devil”, del quale vengono spesso proposte canzoni dal duo.

Il tour con Tim è sempre stato per Dave un momento di riflessione e ricerca di nuovi stimoli. Un recupero di essenziale spontaneità, un ritorno ai posti piccoli alla ricerca del contatto con la gente, viatico per trovare spunti per nuove composizioni e perfezionare ciò che non è più una novità ma che potrebbe finire un domani su disco (“Samurai Cop” o la dedica ai figli di “Virginia in the rain”).

Il timore che le atmosfere live “complesse” della Dave Matthews Band potessero alla lunga mancare è stato spazzato via da una prova maiuscola del duo che, forte di un’intesa ormai perfettamente affinata e una varietà di dinamiche e suoni estremamente godibili, ha riempito l’aria del teatro saturando ogni fessura, grazie ad uno show che non stanca mai, che avanza incessante un cambio di chitarra dopo l’altro, per esigenze di accordatura (vedi il drop-d di “Crush” e “Don’t drink the water”) o suono (la dodici corde di “Grey Street”).

C’è stato tempo anche per qualche timida chiacchiera (Tim non ha proferito parola). 
Sono così arrivate le scuse di Dave (in italiano) per “aver messo quell’uomo alla casa bianca”, proseguendo così nel discorso recentemente affrontato con la stampa, parole proferite (non a caso) come ideale introduzione alle tematiche di “Don’t Drink the water”.
“#41” e “The space between” hanno entusiasmato grazie a delle esecuzioni precise ed emozionanti, vibranti quanto gli intensi finali di “Two step” (autentica ovazione) e “Ants Marching”, per il quale il pubblico della platea bassa è balzato in piedi riversandosi sotto palco in attesa del finale di serata con un primo bis composto dalle energiche “Rapunzel” e “Dancing Nancies” alle quali ha fatto seguito l’inno “Crash into me”.
Va segnalata, tra le altre, una sentita esecuzione di “Sister”, dedicata questa sera a Corsina Andriano, presidentessa del fan club italiano prematuramente scomparsa un paio di anni fa.

Non è un caso che sul poster ufficiale delle date italiane capeggi una ricercata tazza di caffè, una tazza che sembra richiamare la pausa dell’artista dalla sua band, lontana dai clamori degli stadi, una prelibata tazza ricca di quell’aroma del quale, sebbene ogni dieci anni, abbiamo la fortuna di poterci inebriare.

Dave Matthews e Tim Reynolds – scaletta concerto di Milano

Seek Up
Where Are You Going
Fool to Think
Don’t Drink the Water
When the World Ends
Grey Street
The Space Between
Minarets
Crush
Grab the Horns by the Bull (Tim solo)
Virginia in the Rain
The Maker (Daniel Lanois cover)
#41
Corn Bread
Mercy
You & Me
Two Step
Manfood (Tim solo)
Sister
Samurai Cop
Warehouse
Ants Marching
– – – – – – – – – – –
Rapunzel
Dancing Nancies
Crash into Me

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Nasco il giorno di San Valentino del 1978, e forse proprio per questo sono, da sempre, un nostalgico romantico. Apro per la prima volta gli occhi a Genova, ma non riesco a definirmi Genovese a tutti gli effetti pur essendole visceralmente legato. La mia vita è stata vissuta al confine tra la provincia ligure e quella Alessandrina, mi piace considerarmi un apolide della collina. Appassionato di musica sin dalla giovanissima età, cresciuto tra i dischi dei miei, diviso tra Black Sabbath e Led Zeppelin, seguo la musica da sempre. Sono ormai più di vent'anni che coltivo la passione dei concerti, una delle poche a non essere mai calata nel tempo. Sono un Vespista e un Jammer, chi ha una di queste due passioni sa cosa esse significhino. Nella vita lavorativa mi occupo di tutt'altro, le mie passioni sono la mia linfa e la mia energia, sono ciò che riempiono quel bicchiere che, per mia fortuna, riesco sempre a vedere mezzo pieno.

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