Fuori da lunedì 31 gennaio il nuovo disco dei Granelli, già anticipato dal singolo Radiatori. L’EP Cani, stelle e videotape è la prima pubblicazione dei Granelli come band a quattro elementi. Alla storica collaborazione tra Giorgio e Davide Capoferri alle chitarre, si sono aggiunti Lorenzo al basso e Zenk alla batteria. Segno di continuità con il passato, il produttore e tastierista dei brani è Luca Balduzzi.
Sul piano tematico, le cinque tracce dell’EP sono scene distinte di un film corale, in cui personaggi diversi mettono tutti al centro il proprio viaggio verso il cambiamento.
Per l’occasione, abbiamo chiesto ai ragazzi di parlarci dei loro brani preferiti:
Giorgio: “Autunno dolciastro” di Carmen Consoli.
È la canzone della cantantessa che sento più affine alla mia emotività: la noia, l’attesa, la nostalgia, l’introspezione, l’insofferenza. Una melodia elegante, parole intime e una sana distorsione di chitarre sull’outro del pezzo. Probabilmente, quando scrivo, ricalco alcune caratteristiche di brani come questo. Vi raccomando di ascoltarla nella versione rimasterizzata, ma originale, di “Mediamente Isterica” (1999).
Davide: “Sindrome” di Venerus.
È un brano che unisce l’R’n’B e l’elettronica come pochi altri. Ha un mood talmente incalzante che è difficile non lasciarsi trasportare.
Zenk: “Miglioramento” dei Verdena.
Ho sempre amato questo brano, mi piace pensarlo come un vecchio carillon che sotto ha gli ingranaggi (rappresentati dalla ritmica) e sopra l’ascoltatore viaggia guidato dalla voce. Un po’ lo stesso concetto che viene rappresentato nel video con i Verdena appesi ai fili come marionette.
Lorenzo: “La Verità” di Brunori Sas.
Mi piacciono le canzoni che oltre a farti viaggiare ti fanno anche pensare, e questo brano ne è un esempio.mi piace molto l’utilizzo di strumenti folk tradizionali come chitarra acustica e violino, ma allo stesso tempo un arrangiamento moderno che valorizza la voce. Questo pezzo mi ha fatto capire che il cambiamento è una parte fondamentale della vita e non bisogna averne paura ma accettarlo e farlo proprio.
Tutti: “Giardino comunale” di Maria Antonietta.
Ci mette d’accordo tutti. Amiamo l’immagine che come piante, senza nulla da dimostrare, ci si possa sentire liberi di essere se stessi nello spazio e nel tempo.
