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Interviste

Il mondo in fiamme: intervista a PHILL REYNOLDS

Ciao Phill, grazie per questa intervista… cominciamo chiedendoti come stai vivendo questo periodo così strano per il mondo?
Ciao RockOn! Beh, è cosa assai complessa. Appena esplosa ho passato un paio di settimane orribili per poi man mano inventarmi una routine settimanale che onestamente un po’ mi mancava, avendo trascorso i 5 anni precedenti on the road. Routine che mi ha permesso di stabilizzare la mia forma fisica e renderla soddisfacente (mandata a puttane in 3 settimane di birra a giugno, chiaro) e soprattutto di stendere e finalizzare un album, A Sudden Nowhere, uscito nel gennaio 2021. Ora, essendo stata la seconda metà dello scorso anno piuttosto soddisfacente, la prendo diciamo con maggior filosofia, con pacatezza, quasi con distacco. Mi risulta pesantissimo però gestire questa folle polarizzazione tra no e pro vax. Parossismo estremamente pericoloso.

Quando hai capito che avresti fatto della musica il tuo lavoro?
Me ne sono reso conto durante il secondo anno di insegnamento – credo fosse il 2011, quando ho realizzato che arrivavo a fine mese trasmettendo le mie conoscenze musicali 5 pomeriggi a settimana e che arrotondavo con una media di altrettante date mensili. Vivevo effettivamente di musica, anche se nei sogni di adolescente vivere di musica significava tour bus, palchi da stadio, finire su copertine di riviste e altre cazzate.  La folgorazione però è arrivata qualche giorno prima dell’inizio del liceo, quando in una mezz’ora stesi testo, melodia ed armonia di un brano che tuttora eseguo. Epifania. 

Come mai ha deciso di suonare in questo modo davvero particolare?
È tutta colpa del blues, che ti insegna ad esaltare l’intensità emotiva e a togliere, levare, levigare. Si rompe una corda? Puoi pure farne a meno. Pensi che in quel settore del brano ci stia un assolo? Fallo con la voce, magari sporcando un falsetto. Vorresti avere un batterista ma ami suonare da solo? Percuoti la chitarra, scarnifica l’ipotetico drumset e arrangiati con cassa e cembalo. Chiaro: tutto questo richiede molto lavoro, molto impegno.

Quanto tempo hai impiegato per coordinare questi suoni e riuscire nel ruolo di “one man band”?
Possiamo quantificare il periodo di gestazione e perfezionamento (sempre in atto, peraltro) in circa un anno e mezzo, durante il quale ho riarrangiato una ventina di brani che adoravo durante l’adolescenza – dai Beatles ai Bad Religion passando per De Andrè o i Rage Against The Machine – in chiave folk blues e ho imparato a farli miei e a suonarli senza fare troppa brutta figura. Il progetto si chiamava Lord Walkman, esistito il tempo di impratichirmi con il set che porto tuttora in giro grazie a una trentina di date tra 2009 e 2010.

World on Fire” è un EP notevole, alcuni brani li hai presentati sul palco di xFactor. Che esperienza è stata e com’è nato l’inedito?
X Factor è stata un’esperienza più positiva di quel che credessi, data la mole di buone persone incontrate e alla totale assenza di ripercussioni negative. Sono stato molto soddisfatto soprattutto di aver preso per i capelli la mia comfort zone e di esserne uscito più forte, in qualche modo migliore, più positivo e propositivo. La trasmissione mi ha dato una buona visibilità a livello nazionale, senza che ciò che propongo musicalmente si snaturasse: le persone che sono state colpite dai brani, visti allo schermo sono state poi entusiaste di scoprire il resto delle mie canzoni disponibili on line. 

World on Fire” è nata mettendo le dita su un piano in un’aula dove stavo aspettando un allievo in ritardo. Nell’immediato ci canticchiai sopra quella che sarebbe poi rimasta come melodia definitiva, mentre le parole – e le meravigliose tracce aggiunte da Iosonouncane – sarebbero arrivate due anni dopo, inserendo il brano nel contesto del concept album del quale farà parte. È un pezzo al quale tengo parecchio, molto distante dalle mie corde indie folk/americana.

Come crei una canzone? Da dove arriva l’ispirazione?
La grande maggioranza dei brani mi si affacciano nella mente viaggiando, prevalentemente in auto, spesso tra un concerto e l’altro. Gli spunti mi appaiono da davanti al lunotto, che essi siano una scritta su di un muro, un passante o un paesaggio. Sono poi particolarmente legato all’attualità, che cerco però di descrivere attraverso storie individuali e mai con slogan, che aborro. 

Sono parecchio fortunato: sovente mi basta mettere le dita su una delle mie chitarre e ne esce qualcosa che poi finisce per fare parte di una canzone, anche se vorrei sperimentare maggiormente con la tecnologia. Di certo non parto mai dal testo ma sempre da uno spunto suonato, e a seconda del mood che una sequenza di accordi mi ispira capisco quale tipo di sapore o tematica potrebbero avere le parole.

Ci racconti il ricordo più bello e quello più brutto legato alla tua carriera?
Fortunatamente ho molti ricordi positivi e davvero pochi bui, vuoi anche per il fatto che tendo a dimenticare le parti negative di ciò che ho vissuto, credo per autodifesa. 

Non saprei bene cosa scegliere. Di certo mi hanno fatto estremamente piacere i complimenti da parte di Taylor Kirk dei Timber Timbre, quando aprii un loro (magnifico) concerto nell’anfiteatro del Venda. Ma anche aver potuto incontrare Billy Bragg, durante l’ultimo tour americano di Miss Chain & the Broken Heels, e assorbire un suo meraviglioso discorso sul motivo che spinge noi musicisti a fare la vita che facciamo. Cito anche un clamoroso mio concerto in un gigantesco fienile di fine anni ‘50 a Maquoketa, Iowa, colmo di persone gasatissime e organizzato in maniera impeccabile, nel quale ero stato invitato a suonare mentre già ero nel mezzo del mio tour americano del 2015. 

Probabilmente il ricordo più brutto riguarda quelle prime settimane di lockdown nel marzo 2020, quella sensazione di vuoto totale, di impotenza, di abbandono e solitudine, e la sconvolgente consapevolezza che non avrei potuto tornare a lavorare (e a proseguire la mia personale terapia sui palchi) in chissà quanto tempo. 

Prossimi progetti all’orizzonte?
Sto ultimando il lavoro che concluderà A Ride, mio prossimo album in uscita quest’anno, forse già in primavera. Si tratta di un concept di 11 brani sugli ipotetici ultimi tre giorni di vita di un fuggiasco statunitense.  Pian piano poi sto riprendendo la stesura di brani in italiano, con la volontà di farli uscire però l’anno prossimo. Ho ricominciato a scrivere poesie, vorrei prima o poi pubblicarne una raccolta (probabilmente saranno 40, una per ogni ora lavorativa settimanale) ispirata ai tre mesi da metalmeccanico fatti la scorsa primavera. Uscirà durante l’anno anche il prossimo EP degli Hearts Apart, band punk rock’n’roll dove canto e suono, nonché l’album dei già citati Miss Chain. Un po’ di cosucce insomma!

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