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Reportage Live

INmusic 2022: il racconto e le foto del festival di Zagabria

Articolo di Gloria Abbondi | Foto di Matteo Scalet

Zagabria 20 giugno ore 16:30, sulle isole del lago Jarun, si aprono le porte alla 15° edizione dell’INmusic Festival, il più grande spettacolo all’aperto della Croazia e uno dei 20 migliori Festival al mondo scelti dal britannico New Musical Express (un’istituzione tra le riviste musicali inglesi).

Il paesaggio è stupendo e le acque cristalline del lago Jarun, oltre ad ospitare gare di canottaggio e sport acquatici, vengono considerate un’oasi di pace e un piacevole ritrovo balneare.

INmusic ospiterà per quattro memorabili giorni una line-up da restare senza fiato: The Killers, IDLES, Nick Cave & The Bad Seeds, Royal Blood, Deftones, Róisín Murphy, Kasabian e molti altri.

Day 1

Sul Main Stage, a dare uno scossone al primo giorno di Festival ci pensano le Hinds, una band spagnola indie Pop-Rock/Garage tutta al femminile. Tra saltelli e urletti Punk, hanno dimostrato con grande grinta la loro padronanza artistica a livello sia umano che musicale.

A seguire, quasi in concomitanza sul World Stage, i KOIKOI si fanno notare con il loro pop alternativo contemporaneo, dalle forti radici folcloristiche.

Prima che finisca di suonare la band mi allontano rapidamente, sta per arrivare il post Punk “Bristoliano” degli IDLES sul Main Stage. 

Mi trovo sotto la gonna di Mark Bowen, mentre esce con un vestito da donna rosa a fiori e il pubblico è già in delirio o per lo meno io di sicuro. Poche note di basso ad aprire le danze seguite da un crescendo serrato di suoni ritmati, ed è un attimo che il Pogo più teso del Festival prende vita sotto le melodie distorte di Colossus. Il meccanismo è il classico. Joe Talbot (il cantante) divide la folla come Mosè con le acque e al segnale “ONE-TWO-GG”, la gente si riversa su sé stessa in un muro di spallate a vortice, che danzano e si spintonano, sotto l’imperativo “DO” di Adam Devonshire, il bassista della band. Che pacca. Il coinvolgimento è stato totale. Ad un certo punto Mark compare suonando la chitarra in piedi sulla folla, sorretto semplicemente dalle mani della gente. Cose punk d’altri tempi, quelli d’oro. Un concerto senza effetti speciali, solo corpi sudati, frenesia e musica dura. Feroci al punto giusto, semplicemente iconici.

Idles

Ad esibirsi subito dopo sul World Stage, sono stati i Fontaines D.C., una band da tenere d’occhio per la loro grande forza creativa. Suoni e testi ripetitivi come mantra, accompagnati da un’atmosfera fatta di fasci stroboscopici, luci sommesse e una grande scritta gotica stagliata alle spalle della band che pulsa ad intermittenza. Il palco è loro e lo sanno gestire bene.

Ore 23:15 Main Stage, arrivano i The Killers, gruppo storico Rock Alternativo statunitense nato a Las Vegas. La Band capitanata dalla grande personalità di Brandon Flowers, apre le danze con stile sulle note di “My Own Soul’s Warning”. Il palco quasi trema e tutto si trasforma in un set spettacolare pieno di luci, video proiezioni ed effetti pirotecnici a cascata. I musicisti impeccabili sia a livello musicale che di eleganza, regalano un tiro coinvolgente alla serata. Flowers, dal canto suo, è un vero attore Holliwoodiano dall’innegabile fascino alla Elvis. Il concerto prosegue tra le note di “Somebody Told Me”, “All These Things I’ve Done”, “Caution”, “The Man” e infine “Mr. Brightside”. I Killers sono travolgenti e il pubblico ricambia con cori e sorrisi fino a far rimbombare tutta Zagabria. Ma mentre pensavamo che la pioggia di coriandoli sparata dal palco, coronasse la serata tutta effetti speciali, ecco che tra le luci della serata zampillano e fluttuano finte banconote da un milione di dollari. I bigliettoni verdi raggiungono fino all’ultima fila del pubblico incredulo, che salta e si spintona per accaparrarsi l’iconico dollaro con impresso il volto del cantante e il suo occhiolino. Idea presa forse nel concerto fatto a Rho nel 2018, quando un fan italiano gli regala 20 euro per aver suonato la sua canzone preferita? Non lo sapremo mai ma certo è che, anche se falso il milione di dollari, alla fine del concerto non ne è rimasto nemmeno uno a terra.

Spettacolare, travolgente, spiazzante, emozionante. 

Day 2

Alle 18:40 del Day 2, i miei occhi tornano a brillare sotto l’influsso verde sgargiante degli abiti di Amadou & Mariam. Minaccia pioggia e la gente sotto il palco non è moltissima, ma la carica della band è tanta e anche grazie al sorriso del bassista, il pubblico viene ben presto catturato. La voce di Amadou unita a quella di Mariam hanno un’impronta unica e potente, che impone sacralità alla loro presenza iconica e statuaria.

Sull’Hidden Stage suonano nel frattempo i Freaktion. Nelle retrovie dei tendoni si vocifera siano le giovani promesse croate del Rock alternativo. Mai dire mai.

Subito dopo ad esibirsi sul World Stage i Šumski, tra le band più longeve della scena alternativa croata.

In un attimo scoccano le 20:30 i White Lies iniziano timidi e incuranti delle gocce che cadono sull’erba e promettono brutto. Sono in quattro: batteria, voce/chitarra, basso, tastiera. distribuiti troppo distanti sul Main Stage per poter comunicare qualsiasi tipo di energia tra di loro.  

Poco light Design, nessun visual ad accompagnarli, ma a compensare la scenografia ci pensa Harry McVeigh, con la scelta che ogni chitarrista almeno una volta nella vita ha sognato di poter fare. Il cambio chitarra ad ogni brano. Goliardia?… Necessità? Qualunque sia la risposta evidentemente c’è chi può e c’è chi (non potendo fare altrimenti) sorride compiaciuto.

Le nuvole si diradano e il pubblico risponde a gran voce al loro Rock distorto, pulito ed impeccabile. Del resto a mio avviso, i White Lies, sono la band più umile e diretta di tutto il Festival.

Nick Cave and the Bad Seeds

Mi catapulto sul World Stage dove spuntano dal palco capelli di plastica sgargianti, tute bianche con schizzi colorati, suoni pop-rock-elettronici e ragazzi che pestano sugli strumenti come macchine. Così si sono presentati i Porto Morto. Sicuramente suggestivi, sono definiti una delle sorprese della scena musicale croata. Hanno una presenza scenica ad alto impatto visivo/sonoro e un repertorio per la maggior parte inglese. Non c’è che dire, hanno tutte le carte in regola per diventare una band internazionale.

Si sono fatte le 22:15 in un attimo, i fotografi iniziano a spostarsi verso il Main Stage, che è già gremito di gente, per la vera superstar del Festival. Ore 22:30 Nick Cave & The Bad Seeds salgono sul palco elegantissimi, tra le urla dei fan già in delirio. L’aria diventa rarefatta, tutti aspettano un minimo cenno degli artisti. È “Get Ready for Love” ad aprire il sipario ad uno dei live più straordinari che la scena musicale mondiale possa offrire. Il pubblico si incendia, dando il via a quello che si può considerare un miracolo della musica. Nick Cave & The Bad Seeds sono energia pura, così potente che la gente non può fare a meno di provare a raggiungere il palco a mani in alto. Ragazze portate sulle spalle verso Nick sembrano volersi immolare. Lui accoglie tutti con un un sorriso paterno, come fossero figlie e figli persi, “io ho capito chi sei, sei una Borderline” dice sorridendo ad una fan che forse lo aveva stretto un po’ troppo. E poi carezze, sorrisi vicini e distanti, salti, corse tra il palco e la folla. Tutti lo acclamano e intonano le sue canzoni. La musica si confonde a preghiera e la preghiera entra negli occhi della gente che piange, sorride, lo ama. 

Nick Cave suona dolce “The Ship Song” accompagnandosi con il pianoforte. Note meravigliose e pesanti come macigni, come un’anima nera, come il cielo che sta notte non cadrà, perché è Nick Cave stesso a reggerlo. Ma la sua voce non cede e non trema, è ferma e salda. Ogni parola ha importanza e tutti quegli occhi che stanno a guardare, cantano e credono che tutto possa accadere accanto a lui. Elegante come un Lord inglese, potente come un reverendo, questa notte Nick Cave  & The Bad Seeds hanno fatto sognare anche me.

Dopo due ore e mezza di concerto passate velocissime, era come aver fatto il giro della terra. Ancora stravolta, vado a dare un’ultima occhiata all’ultimo concetto dell’Hidden Stage . Mi avvicino sotto al palco e ascolto attentamente, la band è piacevole. 

All’ 01:00 di notte ho scoperto i Dry Cleaning. Per chi fosse all’oscuro della loro esistenza, come lo era la sottoscritta, sono una Band che consiglio di andare ad ascoltare e vedere. Ottimi musicisti e la cantante, beh, una donna uscita da un’altra dimensione. 

InMUSIC Festival 2022 – People

Day3

I Gogol Bordello fanno la loro entrata trionfale sul Main Stage in forma smagliante, tra bandiere, calze a rete e baffi col ricciolo. Guidati dal carismatico cantante Eugene Hütz, la band balza sul palco con il loro sound unico e inconfondibile. I musicisti esuberanti, si rapportano con il pubblico energicamente, alternano influenze Rom e dell’Europa orientale al Punk-Dub . Coinvolgenti e scatenati, i Gogol Bordello hanno regalato, al pubblico e ai fedelissimi del genere, uno spettacolo da Ricordare. 

A distanza di qualche ora, salgono sul Main Stage i Royal Blood: batteria, voce e basso distorto. Mike Kerr e Ben Thatcher che portano il loro Garage-Rock da Brighton si presentano con un palco in mezzo ad un palco. Un enorme costruzione nera a conchiglia, dove sulla parte superiore è posizionato il “trono” del batterista con alle spalle uno Zildjian di bronzo. Grande Presenza scenica e nonostante suonino in due, sembrano una band di 4 componenti. Le aspettative hanno confermato di gran lunga la loro reputazione e si sono rivelati un vero spettacolo dal vivo.

Sul World Stage ho scoperto gli Sleaford Mods di Nottingham. Quello a cui ho assistito è un genere Brutal Post Punk minimal dal sapore ‘80s. Aggressivo e violento con i testi e gli atteggiamenti Jason Williamson canta, mentre Simon Parfrement fa partire le basi e balla completamente fuori controllo. Ma non c’è spazio per le critiche, tengono il pubblico completamente in pugno. Flippati e cattivi, propongono quello che potrebbe anche essere interpretato come un “elettro dirty Rap ” dall’inglese serrato, biascicato, sputato, affamato, di grande effetto.

Ore 23:15 si tirano le somme e ci si sposta in massa al Main Stage per vedere finalmente i Deftones, protagonisti indiscussi del terzo giorno di Festival. La Band statunitense, è considerata una leggenda del nu metal assieme ai Korn. Davanti al palco migliaia di persone, ed è immediatamente chiaro quanto tutti li aspettassero con impazienza.

Non appena sono apparsi sul palco, Chino Moreno e il resto della band, hanno salutato con entusiasmo Zagabria che ha ricambiato con urla e ovazioni. 

Deftones

Cupi e coinvolgenti aprono il concerto con “Genesis” e il pubblico si infiamma. Durante il Live, le immagini sullo schermo gigante alle loro spalle, ritraggono scene apocalittiche, tra colombe salvifiche, acque in tempesta, silhuette di donne che si contorcono.

Con uno spettacolo degno di nota, hanno mantenuto il tiro dal primo all’ultimo riff, portando il pubblico ad acclamarli per un bis finale. Quella dei Deftones è stata una performance dalla spiccata intensità, che ha tenuto tutti con lo sguardo incollato sul palco fino all’ultima nota.

Il concerto si conclude con “7 Words” e il pubblico si dissolve lentamente. Per molti la serata è finita, ma non per me.

Incuriosita dall’unico gruppo Italiano dell’ INmusic Festival, mi affaccio all’Hidden Stage.  Gli A/lpaca sono una band di Mantova fondata nel 2018. Voce distorta, accompagnata da un sound ipnotico psychedelic Punk. I ragazzi mi sono piaciuti parecchio e mi auguro di sentire ancora parlare di loro. Vale veramente la pena di vederli ed ascoltarli.


Day 4

The Comet is Coming, è il nome della Band che ha dato il via alla quarta ed ultima giornata del Festival. Capitanati dal vertiginoso sassofono di King Shabaka, la loro musica non annuncia uno dei più felici presagi, però hey, nel caso accadesse l’inevitabile avremmo la colonna sonora da ascoltare. Al centro della scena si trova tutta la potenza del batterista, che con i suoi occhialini tondi alla Lennon e la sua faccia da bravo ragazzo, fa sprofondare nel palco l’intera band assieme ad un vortice di ritmiche e di melodie perfettamente incastonate tra loro. Nel corso della performance il suono del Sassofono sembra mutare in un vocalizzo psychedelic Jazz e il tastierista con la sua Roland a due livelli, suona e sorride con gli occhi bianchi completamente in trans. Alla fine dell’esibizione, il concetto del loro messaggio si rivela. La cometa a cui si riferisce il nome della band, non viene dal cielo, ma è lì di fronte al pubblico, sul palco. La cometa, è quello che tutti hanno appena ascoltato.

Sul World Stage delle 18:00 arrivano i Šiza, un duo post Punk-Rock. I ragazzi picchiano giù duro e hanno un bel tiro compatto, non mi stupisce che abbiano già uno spazio di spessore nella scena indipendente locale.   

Finito di guardare il live dei Šiza, compiaciuta mi sposto verso il Main stage ad aspettare la nuova band.

Kasabian

Róisín Murphy non è un’artista, ma un opera d’arte vivente, infatti il suo show è caratterizzato da vere e proprie performance corporali. Pittoresca ed elegantissima, Róisín fa spettacolo sin dai primi minuti di “Fun for Me”, che la vede protagonista di una proiezione su grande schermo. Lei canta e la band suona, solo che sono ancora nel camerino. La canzone che recita “voglio qualcosa di più”, si sviluppa lungo il percorso del backstage, fino all’applauso sbalordito del pubblico quando salgono sul palco trionfanti. Róisín si conquista così lo spazio di protagonista femminile del Festival. Il suo repertorio propone un mix ricercato di Elettro-Pop-Disco-Funk-Minimale, sembra di assistere ad una serata dello Studio 54, il leggendario club di New York amato da Warhol e Jagger. Outfit sgargianti, cappelli e parrucche vengono rigorosamente cambiati ad ogni canzone. Tutto sul palco urla Pop Art, dai Visual proiettati alle spalle della band alle sue movenze provocanti e sensualmente criptiche. Vocalmente molto precisa, incentra su di sé tutte le attenzioni tra salti e tuffi sul palco, finendo perfino a gambe all’aria. L’artista lascia il pubblico in delirio con il suo ultimo brano “Familiar Feeling”.

Ore 22:15 i Rival Sons salgono sul palco del World Stage, esibendosi nella performance più Rock della serata. I “figli rivali” sanno esattamente quello che fanno e reggono il palco abbastanza bene sia a livello musicale che scenico. Degni figli del Rock, hanno incantato il loro pubblico con canzoni come  “Open My Eyes” , “Electric Man”, “Pressure and Time” e molto altro.

Già mezz’ora prima dell’inizio dell’ultima band del 15° INmusic Festival, i fan più fedeli ai Kasabian li attendono alle transenne. Si respira un’aria carica ma emozionata, ed ecco che alle 23:15, con il parco sotto al Main stage gremito, si affacciano Sergio Pizzorno e i suoi musicisti. Subito scoppiano le urla fragorose tra la folla accalcata. I Kasabian sono acclamati come una delle band più amate in Gran Bretagna e le loro esibizioni da Headliner sono famose in tutto il mondo. Il palco si presenta con delle installazioni di fari inscatolati tra griglie cubiche di Led blu che pulsano a tempo di musica. Sergio salta con il microfono dritto sempre in mano, tranne quando suona la chitarra. Si muove svelto da una parte all’altra dallo stage, come se fosse su un ring, fin dal primo “Club Foot”. Snocciola canzone dopo canzone il suo repertorio, da “Ill Ray (The King)” a “L.S.F. (Lost Souls Forever)”, la band è impeccabile e tutti sotto al palco conoscono a memoria le parole, tanto che spesso Sergio lascia cantare il pubblico al suo posto. Stringe velocemente un rapporto di complicità con la folla, tanto che alle parole “get down, get down” l’intera distesa di persone si accovaccia aspettando il momento del “one, two, three, jump!” per  scatenarsi e saltare ancora più in alto sulle note di “Fire”. La gente sotto al palco sogna e guarda emozionata la fine di quello che è stato un Festival sicuramente indimenticabile.

Grazie Zagabria, è stato speciale davvero.

Clicca qui per vedere tutte le foto dell’IN Music Festival 2022 (o sfoglia la gallery qui sotto)

20 - Nick Cave & The Bad Seeds

Articolo di Gloria Abbondi | Foto di Matteo Scalet

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