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Reportage Live

Il sapore salato delle lacrime: gli SNOW PATROL a Milano

Articolo di Serena Lotti | Foto di Davide Merli

The cure for pain is in the pain diceva il poeta persiano Gialal al-Din Rum. Parafrasando a modo nostro: scendere il fondo e poi risalirlo? Non serve chiedere a Gary Lightbody, frontman degli Snow Patrol, cosa ne pensa. Ieri sera, in un Fabrique strapieno, ce lo ha spiegato eloquentemente seppur tra sussurri e grida, lasciandoci cogliere con grande trasporto il profondo senso di uno show che è andato oltre un’esecuzione magistrale di pezzi. E abbiamo capito cosa significa curare il dolore con il dolore.

Ma facciamo un passo indietro. Qualcuno aveva messo in stand by gli Snow Patrol, diciamoci la verità. Anche la passione più viscerale dopo sette anni si raffredda e poi finisce per svanire. Perchè è dal 2012 che nessuno sentiva parlare più di loro, dopo Fallen Empires per intenderci. Ci siamo chiesti…ma gli Snow Patrol hanno deciso di fermarsi e di diventare una one-hit wonder? Allora pareva di sì dato che la band si stava dedicando oltretutto a progetti solisti.

Ma non Gary Lightbody che nel frattempo scivolava. Sette anni durissimi in cui il leader degli Snow Patrol ha portato avanti una sua personale guerra contro se stesso. L’abuso di droghe, l’alcolismo, la depressione, il blocco dello scrittore ed in ultimo la demenza del padre. Ma come nel più auspicabile degli happy ending Gary quel fondo lo ha risalito, aiutato da un deus ex machina che stava in attesa lì sotto con lui, nel baratro. Da sempre. La musica. E alla fine di questo tortuoso percorso ad aspettarlo c’era Wildness.

Wildness, ultimo lavoro dalle sonorità britpop ma dalla natura riflessiva e sofisticata è un autentico viaggio nelle pieghe del dolore di Gary ma nel contempo capace di celebrarne la difficile risalita. E’ una rinascita, un riscatto, un tributo alla sopravvivenza, capace di restituire un messaggio di speranza, evitando magistralmente di impantanarsi nel sentimentalismo scontato e retorico. E’ un dialogo malinconico, ma aperto. Ancora in ongoing.

Un dialogo per noi iniziato ieri sera, tra ogni singolo pagante e Gary, durante l’unico live italiano da headliner della band irlandese, e consumatosi nell’intimità dei 2.000 mq della venue lombarda e solo tra migliaia di discretissimi astanti. Gary ha trasformato un live in un personale ed unico dialogo con ogni singolo uomo e donna abbattendo poeticamente ogni distanza.

Dopo un attacco in pieno back in the days con Take Back the City, Chocolate e Crack the Shutters, giusto per verificare quanto il pubblico milanese avesse ancora in memoria Final Straw e A Hundred Million Suns, Gary Lightboy inizia il lungo ed emozionante storytelling di Wildness con la coinvolgente Empress, un brano guidato da una vigorosa linea di basso e sviluppatasi nel pieno rispetto del sound tradizionale degli Snow Patrol, e con la malinconica seppur trascinante Don’t Give In in cui il messaggio potentissimo “Non arrenderti” pesca nel passato doloroso di Gary che ha lottato lungamente anche contro la depressione.

Planiamo leggeri sulla bellissima Open Your Eyes, pezzo dove il pubblico si infiamma e canta a squarciagola “Tell me that you’ll open your eyes Tell me that you’ll open your eyes” all’infinito, in un loop meravigliosamente ipnotico. Vorremo restare lì, sospesi nel tempo e nello spazio e continuare infinitamente a dondolarci l’uno verso l’altro mentre Gary fa del parterre l’unico ostacolo che ci separa da lui. Non c’è il pit, nè gli omoni della security, spazzate vie le transenne, il palco, la quarta parete: siamo tutti stretti in un abbraccio immaginario, l’uni agli altri mentre Gary ci trasporta su, in una dimensione dove il suono prende forma.

Ma è con Run che diventiamo una cosa omogenea, un unicum di sudore, fiati corti, occhi che tremano. Ne riconosciamo l’odore dalla prima nota. Pezzo eseguito magistralmente con una chitarra muscolare e potentissima e un Gary in stato di grazia che sente il bisogno di abbracciare Johnny McDaid durante l’esecuzione riuscendo malamente a trattenere qualche risata. (alla fine si scuserà per una technical issue che probabilmente ha sentito solo la band.)

Con la cupissima Life on Earth è veramente il momento di tirare su col naso, stropicciarci gli occhi lucidi. Ci trasformiamo in un’accozzaglia umana che frigna senza sosta.  “This shouldn’t need to be so fucking hard this is life on earth” ci ferisce nel profondo per poi farci risalire lentamente cullati da un laconico “È solo vita sulla terra”. Gary qui non si commisera ma fa trasparire tra le note cupe e tremolanti di un pezzo che riceverà applausi a pezzo aperto, un messaggio di pura gioia, una celebrazione della vita stessa.


Su Make This Go On Forever torniamo a piagnucolare come vitelli, praticamente non facciamo altro. Un cantato che è simile ad un sussurro, una litania che sembra annullare la struttura quadridimensionale dell’universo e ci tiene sospesi lassù in alto, in un tempo infinito. E a fine pezzo vogliamo salire tutti sul palco ad abbracciare Gary. Ci rilassiamo un attimo sul groove suadente di Shut Your Eyes, con un basso e una batteria che pestano fino ad esplodere e sull’ipnotica Dark Roman Wine cantiamo, cantiamo, cantiamo e siamo trasportati dentro scenari sonori ipnotici e suadenti.

Siamo alle battute finali, è il momento della stupenda The Lightning Strike (What If This Storm Ends?) e dell’attesissima Chasing Cars. E’ la catarsi. Due ragazzi affianco a me limonano duro dopo essersi plausibilmente conosciuti mezz’ora prima, una ragazza irlandese mi si avventa al collo e mi abbraccia vigorosamente, urlandomi nelle orecchie “that’s my favorite song!!”, si aggroviglia a me e mi fa dondolare da una parte all’altra, mentre cerco di scavallare i due limonatori seriali per non perdermi nemmeno un secondo di ogni movimento di Gary (dopo avere deciso di sposarlo nonostante lui non lo sappia ancora). E’ stupendo anche così. Siamo tutti uniti dalla musica, uno sopra all’altro, tutti i fianchi presenti, morbidi o secchi che siano,  si muovono all’unisono e mille e variegate braccia, tatuate, pelose, disidratate, depilate, puntano verso di lui.

Siamo un tutt’uno incredibilmente connesso e meravigliosamente liquido. Un encore degno e richiesto a gran voce con la ballad What If This Is All the Love You Ever Get? cantata da tutto il pubblico e la dolcissima Just Say Yes. Lo show è finito. Siamo bagnati di vita, di sudore e di lacrime. Questa è la traduzione, in sintesi, di quella complicatissima formula alchemica chiamata musica. Musica come senso di appartenenza, empatia, condivisione, connessione viscerale. Musica che trasporta, che sfinisce, che trascina, che connette. Musica che riscatta, che libera. Musica che solleva e che eleva. Musica che ricorda quanto salato sia il sapore delle lacrime.

Clicca qui per vedere le foto dei Snow Patrol a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto).

SNOW PATROL – La Scaletta del Concerto di Milano

1. Take Back the City
2. Chocolate
3. Crack the Shutters
4. Empress
5. Don’t Give In
6. Open Your Eyes
7. Run
8. You Could Be Happy
9. Life on Earth
10. Make This Go On Forever
11. Shut Your Eyes
12. Dark Roman Wine
13. Heal Me
14. What if this storm ends
15. Chasing Cars
16. You’re All I Have

Encore
17. What If This Is All the Love You Ever Get? / Wildness
18. Just say yes

Written By

Milanese, soffro di disordini musicali e morbosità compulsiva verso qualsiasi forma artistica. Cerco insieme il contrasto e il suo opposto e sono attratta da tutto quello che ha in se follia e inquietudine. Incredibilmente entusiasta della vita, con quell’attitudine schizofrenica che mi contraddistingue, amo le persone, ascoltare storie e cercare la via verso l’infinito, ma senza esagerare. In fondo un grande uomo una volta ha detto “Ognuno ha l’infinito che si merita”.

1 Comment

1 Comment

  1. Marina

    25/02/2019 at 14:24

    E quanto è stato meraviglioso Gary a dedicare Dark roman wine a mia figlia che da un’ora reggeva il cartellone in cui gli chiedeva di poter cantare con loro Called out in the dark?? Quando si è scusato perché ,dati i problemi di salute, non l’avrebbero fatta e le ha detto che per farsi perdonare le dedicava la canzone successiva a momenti ci mettiamo a piangere!

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