Articolo di Marzia Picciano | Foto di Cesare Veronesi (a Bologna)
Capita poche volte di trovarsi in un concerto veramente intimo, ma quando succede come reagiamo? La diciamo in breve: dipende, soprattutto dall’artista. Quindi trovarsi davanti a Douglas Dare in una fumogenatissima palestra Visconti questo gelido 19 novembre per la Milano Music Week 2024 è un bene, perché hai la rara occasione di sentire un artista come dice lui, così teatrale, solo per te.
Per chi non lo sapesse, Douglas Samuel Charles Dare, inglese del Dorset classe ’90 (eh si), cantante (bravissimo), pianista (altrettanto), vanta nella sua carriera l’apertura di diversi tour di artisti di un certo calibro sotto l’etichetta Erased Tapes, tra cui Nihls Frahm, e quindi Ólafur Arnalds e in Italia i Wild Beasts, di cui ricorda Milano come la sua primissima data italiana. Ed ecco che l’altro ieri si palesa per noi nel suo primo solo show, quello con cui porta a Milano e poi a Torino (il 20 novembre) la sua terza fatica, Omni. Nella palestra Visconti del Bellezza, non affollatissima, chi c’era questo martedi sera non era assolutamente capitato lì per caso.

Perché Douglas Dare, nella sua tenerezza vagamente intimidita, assolutamente emozionata e felice come un bambino il giorno di Natale, attrae immediatamente l’attenzione non solo per l’estrema eleganza divina che si porta dietro ed emana con sinuosa grazia una volta tolto il cappotto e scioltosi davanti al piano a coda montato sui tappeti arabeggianti. Attrae la nostra simpatia e ci lasciamo travolgere dalla sua musicalità, nell’intenso ritmo che caratterizza ogni suo pezzo, dal più lirico (Red Arrows, ad esempio, seguita da una chiusura a cappella quasi del pubblico) al più movimentato (Painter). Esiste una leggerissima estasi che promana dalla sua figura mentre si piega ora sul piano, ora sulla tastiera, una sorta di sapore giovanile e di gioventù, che quindi non si trova a essere necessariamente un dato concreto, un fisico, un’età anagrafica legata a un concetto di invecchiamento. Piuttosto, é un momento, una sensazione, una frattura spazio tempo, un desiderio di fuga. Non a caso tre suoi pezzi sono finiti nella serie Prisma di Amazon Prime e che ha scoperto essere il motivo per cui é conosciuto in Italia. Ovviamente li ha fatti tutti, in un crescendo di intensità che é imploso in The Joy In Sarah’s Eyes, dove si é lasciato andare in lunghe code, tanto quanto quelle del pianoforte, catartiche quanto basta per pulire tutti i nostri peccati.
Doveva presentarci presentarci Omni, una sterzata elettronica che sembra allontanarlo dalla purezza del pianoforte che invece ha caratterizzato i primi lavori di Douglas (come l’ode all’infanzia e alla tenerezza di Milkteeth) e che invece ieri sera più che mai sono emersi con una forza incredibile, aggiungendo un velo di mistero alla sfrontata malinconia di un passato dorato. No, non ci riesce a stare alla tastiera e contorcersi sul ritmo delle basi al PC. L’aveva fatto in un club, é un disco per club, ci dice. Ma, semplicemente, di fronte a quell’elefante nella stanza lì, enorme, ha dovuto prendere atto di una grande banale verità – non c’é tentazione che ci stimoli di più che un vecchio amore. Ci dice Douglas che ha scoperto nell’Arci Bellezza questo pianoforte a coda dalla storia eroica. E ora nonostante la sua volontà di cambiare lo abbia portato a basi e synth per il suo nuovo disco, sente che non può che fare altro che sedersi e suonare quel piano. Lo dice: sento che ora é tornata quella connessione. Morale della favola: io e un gruppo di fortunati fan ci sentiamo tutto il suo ultimo disco in formato pianoforte. Spiace per chi sperava di ballare, siamo nell’oniricità totale del mondo del signor Dare. But dont tell Bologna! Perché no, loro questo ben di Dio non lo avranno. Troppo tardi.

Dicevo già in un altra occasione che il pianoforte porta di per sé una grandissima sfida: puó essere una grandissima croce per un artista (basta riprender la storia di Tori Amos) o un cavallo di battaglia senza precedenti. Sta com’è, come riempie l’aria la musica di tutti quei tasti pigiati non lo fa nessun altro. É un altro artista sul palco, un collega a sé. Ora, se a questo protagonista aggiungete una voce da dolente soprano, a metà tra gli influssi di un James Blake perso nel chamber-pop e una lirica psicanalitica, gli fate indossare una maglia nera brillantata monospalla che non fa che evidenziare le braccia diafane di Douglas che volteggiano sulla tastiera, ci troviamo di fronte un cigno che ci accoglie con la sua storia armoniosa e nera. Quando Douglas canta sembra di trovarsi in una campagna inglese o su una cliff a strapiombo sul mare e sentirsi schiacciati amabilmente dalla propria coscienza, come in un inevitabile torpore, lo stesso che ci gratifica nello splendore di una giornata di nulla incastrata nel divano, dove la percezione del vuoto è proprio lì in attesa di piombarti addosso.
Quello che peró mi rimane, al di là del pop piano carico di ritmo di Absentia (certo uno dei brani più riusciti di Omni), dell’art music e dell’incredibile magnetismo di Douglas, é lì, quell’indissolubile legame tra l’artista e il pianoforte. Ci racconta, c’é stato un momento di stop, di necessità di cambiare. Ma poi, è stato come ritrovarsi faccia a faccia con qualcuno che pensavi di aver spinto fuori dalla propria porta, e poi rimane lì, al primo sguardo parte un guizzo e subito si, si è esattamente dove si era prima del collasso – quando si ignoravano i burroni e si percorrevano agilmente le creste. Solo che tra Douglas e il principe di tutti gli strumenti insiste una storia d’amore non finito e non concludibile con una banalissima parola fine. Ho seguito le sue mani muoversi sui tasti, nella controluce bluastra, per tutto il concerto. L’ho osservato “domare” lo strumento o meglio, farlo suonare, farsi rispondere e tutto. C’è un vibrarsi addosso, tra piano e pianista che è tutto, è una comunicazione che non conosce rischi perché accetta l’altro in quanto proprio specchio. Quanti amori saremmo in grado di riprenderci a un tintinnare così forte delle nostre anime? E il buon Douglas Dare potrebbe risponderci che riprendersi, tornare a vedersi in quella luce di grazia che ci ha illuminato nei giorni di gioia, non é altro che un atto che già conosciamo, e non serve nessuna strategia. Even if we don’t know how to swim/we’re going in. Troveremo la via, naturalmente, per tornare da chi, o da noi, che ci ha reso così gloriosi.
Clicca qui per vedere le foto di Douglas Dare all’Estragon di Bologna per la data del 20 novembre (o scorri la gallery qui sotto).
DOUGLAS DARE – La scaletta del concerto di Milano
Omni
Sailor
Absentia
Painter
Red Arrows
The Joy In Sarah’s Eyes
Wherever You Are
Teach me
8w9zeros (Piano version)
Mouth to Mouth
Swim

Fabrizio
22/11/2024 at 04:05
Complimenti Marzia, hai colto perfettamente l’essenza delle sensazioni che che ci ha trasmesso questo meraviglioso artista. Hai detto bene: non eravamo lì per caso. Pochi fortunati che hanno condiviso un concerto così intenso, così intimo. Una sensazione così non l’avevo mai provata.