Articolo: Lorenzo Marchi | Foto: Matteo Scalet
Allo SmartLab di Rovereto è la volta dei The Fleshtones, storico gruppo garage newyorkese con carriera ultradecennale ed ancora in attività e in tour per l’Italia al momento.
Keith Streng (chitarra, voce), Peter Zaremba (voce principale, armonica organo), Bill Milhizer (batteria, voce) e Ken Fox (basso, voce) appaiono subito in grande spolvero,nonostante i sicuri acciacchi dettati dall’età non proprio delle più giovani e da molti certi esuberi da rockstar: Keith, camicia sbottonata, chitarra argento brillantinata e movenza di bacino alla Keith Richards; Peter, camicia sbottonata, stramba collana con medaglione dorato che ricorda vagamente quello militare d’onore dato ad un veterano reduce dal Vietnam, spavaldo ciuffo bianco che pare un misto tra quelli di Warhol, Roberto Mancini e Thurston Moore dei Sonic Youth, e attitudine istrionica da frontman; Bill, ingobbito sulla batteria, che tra i quattro sembra di certo quello più aver patito le scorribande lungo gli anni tra rock,alcool e droghe; Ken, stiloso quanto basta con il suo basso immancabile di adesivi e il suo arpeggio leggero e preciso.
Il primo brano è “Bigger&Better”, che mi fa intuire già il mood della serata: party selvaggio a suon di garage,rock’n’roll,surf,psichedelia e teatralità. Sembra un pezzo degli Stooges, energia dirompente, riff semplici ma graffianti e presenza scenica incredibile per Dei “vecchietti”. Neanche il tempo di iniziare a muovermi un po’ che Peter imbocca l’armonica e fa partire “Goin’Back to School”. Atmosfera surfeggiante e giustamente si scende tra il pubblico ad incitare l’avvicinamento al palco e la liberazione dell’energia. Che la danza abbia inizio. Peter e Keith invitano il pubblico (150 persone circa) a ruotare su se stessi per trovare la giusta carica. Riffone rock’n’roll dei più classici e siamo già a “Feels good to Feel”; ma sono i Fleshtones o una copia geneticamente modificata dei Rolling Stones, magari mischiati in un cross-over ai The Sonics? Era da un po’ che non vedevo così tanta energia in un live set nel freddo Trentino Alto Adige. Prima pausa birra per i nostri e primo siparietto con la gente. E poi…”Let’s go!” E qua i rimandi ed i richiami ai Ramones si possono sprecare. Il set di luci è essenziale e puro, proprio come i Fleshtones,basato su azzurro e giallo paglierino. Tutto il gruppo continua a divertirsi come dei ragazzini a spronare la gente a ruotare su loro stessi per perdere cognizione spazio/tempo e mollare i freni inibitori. E come per incanto,questo folle girotondo rock funziona,eccome se funziona!
Sotto il palco si balla, e alla grande. “Suburban Roulette” scorre via liscia, così come “Gotta get away”, brani in cui si fa principalmente notare la finezza tecnica del bassista Ken. Con “Haunted Hipster” cambiamo decisamente sonorità: più rockabilly, più psych’n’roll, più ritmo,più cripta, più Cramps. Peter simula degli amplessi con la sua tastiera Hammond e limona con passione la sua armonica. Fantastico. Peter,Ken e Keith si divertono a giocare pure con la macchina fotografica di Teo. Dei ragazzini. Parte con una dedica “Dominique Laboubee”, quasi una ballata tra surf e country. “Gasser” è il modo di godere della tecnica esibizionista alla chitarra di Keith, che mi ricorda sempre più in movenze il suo omonimo più quotato. Un autentico animale da palco. La successiva “I surrender” fa rivivere davvero il sound della New York anni ’80, tra Warhol,Basquiat, eroina ,donne e promiscuità di ogni genere. Il pubblico è scatenato. “Remember Ramones” non ha bisogno di nessuna parola. S’abbozza pure un flebile pogo. “My Kinda Lovin’” e via, si continua con riff vicini al punkrock: mi piace immaginare Ben Weasel,Social distorsion e Rancid come a dei loro Fans. Forse esagero, forse no. “Alright”,e oltre ai continui teatrini improvvisati si continua a ballare sfrenati. é un tuffo nel passato; il pubblico, molto eterogeneo(dai 20 anni ai 70!), gradisce, e non poco. Purtroppo viene annunciato l’ultimo brano: una sorta di grottesca delirante cavalcata psichedelica dal titolo spagnolo; ascoltando questa traccia,il Terry Gilliam che girava Fear and Loathin’ in Las Vegas avrebbe sicuramente girato il pollice in alto per i Fleshtones e forse gli avrebbe inseriti nella O.s.t.
Escono dal palco, e ovviamente è immancabile il bis chiamato a suon del più classico “One more song” ( l’inglese parlato dal trentino medio non va molto oltre a questo). E bis sia. Peter pronuncia al microfono tre parole in italiano: “Corrente di Talento”. Quello che vuol dire lo sa solo lui, ma di certo l’elettricità in sala non manca .Scendono tra il pubblico, rockkeggiano e si sdraiano sul pavimento. Connubio estasiante tra puro delirio,tecnica e trance spirituale. Sfoderano tre pezzi da 90, il primo rimanda direttamente a qualche primo film pulp di Tarantino, il secondo è un lungo trip da mattanza mistica newyorkese tra Television e Velvet underground, e terza una “Pretty, Pretty, Pretty” da lacrime tanto è sentita negli acuti e negli assoli di Keith. Spettacolo vero.
It’s Show time, Folks! Purtroppo duri soltanto un’ora. Dopo essere rientrati nei ranghi nel canonico palco, Il tenente Peter e la sua compagnia ci congeda a tutti. Sono le 23. E i Fleshtones escono di scena. A testa altissima, i vecchietti. Lunga vita ai The Fleshtones!
FLESHTONES – Scaletta concerto
Bigger&Better
Goin’ back to school
Feels Good to feel
Let’s go!
Suburban Roulette
Gotta get away
Haunted hipster
Domique laboubee
Gasser
I surrender
Remember Ramones
My kinda lovin’
Alright
Ama como un hombre
Pretty,Pretty,Pretty
