I concerti del lunedì sera meriterebbero una categoria dello spirito: sicuramente quella del coraggio, per iniziare la settimana con un evento, di fatto, piacevole, che ricorda il divertimento del weekend, ma arrivano a fine di una giornata, che poi è l’inizio di una vorticosissima routine. Ieri, quando lo spleen in questa Milano del 6 marzo un po’ incolore è al suo massimo splendore, l’occasione si è presentata con una ventata di malinconico, rauco e graffiato country firmata da Micah P. Hinson, sul palco del Circolo Arci Bellezza per presentare il suo ultimo lavoro del 2022, I Lie To You, a quattro anni da When I Shoot At You With Arrows, I Will Shoot To Destroy You. E allora la catarsi è immediata.
Hinson è uno dei pochi (ultimi?) grandi interpreti di un genere che da sempre evoca immagini di un luogo fisicamente e temporalmente estremamente distante dal nostro. Texano eclettico – o davvero autentico texano -, lo noti dalla schiettezza con cui si rivolge al pubblico, quello di un Italia che con Capossela e la Ponderosa ha offerto un rifugio per quella che lui stessa definiva un anima in pena, trasformata e rigenerata in un disco che sottintende una chiara voglia di ritornare a vivere. Si sa che il Belpaese nel coniugare tristezza e bellezza riesce sempre a creare bolle da cui osservare, pieni di grazia, la grandezza e gli abissi delle nostre anime.
La nota di positività ha caratterizzato anche il live di ieri, nell’intimità di un sold out e della cappa di calore della sala del Bellezza. Un concerto aperto da un ancora più graffiante e disperato di Silva Martino Cantele, in arte Phill Reynolds, giovane cantautore italiano con storie di vita vissuta negli States che aprirà anche i prossimi live di Hinson (e che alla sottoscritta ha ricordato non poco il rocker di Labrusco e Pop Corn nelle sue rese in madrelingua), a cui ha fatto da contrarltare l’introspettività di Micah spiattellata a suon di banjo e chitarre e sferzate lesinate dalla batteria. A distogliere l’attenzione da quella che è stata una ballad di 2 ore negli antri delle nostre anticamere emozionali ci sono stati solo gli incontrollati “fucking” intercalari dell’artista in ogni sua espressione, i siparietti con i soliti simpaticoni del pubblico che hanno invitato alla stessa sorte Bob Dylan e John Denver (no lui no, e poi non si scherza con i morti) e gli stop all’esecuzione dei pezzi in scaletta perchè non convinto della chitarre (ci ricorda però che non era garantito nel biglietto che gli ascoltatori avrebbero avuto a che fare con un professionista).

Nel buio della sala dell’Arci l’atmosfera è onirica. Ci dondoliamo dall’attacco di I Lie To You con le dolcissime e spietate Wasted Days, Ignore The Days e dalla devastante Carelessly, che arriva dritta come una rauca ninnananna di fine giornata, una carezza materna che ci manca nell’afa fastidiosa al sapore di birra del Bellezza. Dimentichiamoci dello streaming: quello che suona da Spotify come anche più commercialmente blues scompare dal vivo, ora è come se i pezzi rivivessero della loro origine country, nella teatrale cavernosità di Micah in Beneath The Rose. Walking on Eggshells è un tuffo indietro, a sonorità più propriamente americane come in The Way Home; così come la cover di John Denver Please, Daddy (Don’t Get Drunk This Christmas) e l’encore con Sleepyhead, There’s Only One Name (con la sua lunga coda di duetto in assolo di banjo e chitarra, se mai si può chiamare così) e la chiusura festosa di Digging A Grave, unica nota veramente caciarona di un concerto suonato sull’orlo del sentimentale.
Sono convinta che la musica country sia una dimensione dello spirito accessibile a pochi amanti, e per chi non lo è forse un varco si apre il lunedi sera. E’ un pianeta per pochi artisti con passati controversi e, secondo quanto ci suggerisce il gioco degli archetipi a cui siamo sottoposti da quando siamo bambini, anche una serie di sterminate praterie nel cuore, arse dagli stessi passati di cui sopra. Ma ieri, per un secondo, mi è parso molto più simile al mio deserto, mentre piano piano, nell’insofferenza di decine di persone accaldate che mi passavano addosso ho identificato, in un particolare stato di grazia, i limiti nauseanti delle situazioni che vediamo, e la voglia invece di rinascere dall’erba secca, anche se un po’ ammaccate, e magari dire anche di no a qualche birra. Che se non andiamo in fondo a tutta questa sofferenza, finiremo sempre per ripensarci, come nelle relazioni in cui è poi sempre un gioco di posizionamento su dove sono io e ci sei tu, lo dice lo stesso Hinson in You and Me: we’re always second-guessing. Grazie Micah, non hai risolto le rogne della mia settimana, ma hai aiutato a esorcizzare lo sconforto che le circonda. Ed è già qualcosa.
MICAH P. HINSON – le prossime date
07-03 ROMA @ MONK
09-03 TORINO @ SPAZIO 211
10-03 CAGLIARI @ FABRIK
11-03 RAVENNA @ BRONSON
22-03 PESARO @ TEATRO SPERIMENTALE
MICAH P. HINSON – la scaletta del concerto di Milano
Wasted Days And Wasted Nights
Ignore The Days
Carelessly
Walking on Eggshells
Seems Almost Impossible
I don’t know God
Beneath the Rose
The days of my youth
What Does It Matter Now?
Please, Daddy (Don’t Get Drunk This Christmas) (John Denver cover)
People
On the Way Home (to Abilene)
500 Miles Away From Home (Bobby Bare cover)
You and me
Sleepy head
There’s Only One Name
Diggin’ a Grave
