Articolo di Andrea Forti | Foto di Oriana Spadaro
Uno dei refrain che di tanto in tanto spuntano fuori tra chi si diletta a parlare di musica è la domanda “quali sono i brani che si distinguono al giorno d’oggi come inni generazionali di sinistra?”. Un dubbio che lascia poco spazio all’immaginazione: attualmente è impossibile ritrovare band che hanno lasciato il segno quanto anni fa fecero pezzi di Modena City Ramblers o Ska-P, vuoi perché il rock e il punk hanno perso lo smalto di un tempo, vuoi perché oramai chi si prende la briga di fare critica sociale si è spostato su binari diversi, uno su tutti l’hip-hop.
Per i presenti di giovedì 22 novembre al Magnolia di Milano, gremito e sold-out per il secondo arrivo in Italia degli Idles, probabilmente non è così. Giunti per presentare l’ultimo Joy As An Act Of Resistance, poco dopo il loro ingresso in punta di piedi coinciso coi primi due brani dal succitato album, Colossus (suonata downtempo quasi a darne un’aura più sacrale e possente) e Never Fight A Man With A Perm, arriva il primo proclama: la band bristoliana si dichiara apertamente antifascista e proveniente dalla working class, dimostrandolo nei fatti con proposte affilatissime come Mother (My mother worked fifteen hours five days a week/My mother worked sixteen hours six days a week/My mother worked seventeen hours seven days a week) ed I’m Scum (I sing at fascists ‘til my head comes off).
Il palco è il loro ambiente naturale dove il quintetto si diverte e fa divertire, in piena simbiosi con l’energia del pubblico: il continuo pogo, il frequente crowdsurfing e le puntuali repliche ai ritornelli cantati da Joe Talbot si susseguono per tutta la durata dello show al punto da costringerci ad abbandonare esausti le prime file a tre quarti d’esibizione. Tra balletti dissacranti di Talbot, frequenti botta e risposta col pubblico, stage diving della band a rotazione e addirittura per parte di un brano la sostituzione dei due chitarristi con altrettante ragazze prese tra gli spettatori vi è una continua dimostrazione di come l’arrivare ad un pubblico sempre più grande (anche confrontato col Locomotiv di Bologna, dove qualche mese fa si sono esibiti in un altro sold-out) non ne abbia intaccato la loro essenza di club band.
Un altro punto a favore che ci ha fatto apprezzare l’esibizione è stato il continuo storytelling ad inizio di ogni brano, capace di dare una connotazione precisa al contenuto di ognuno senza doversi affidare a libere interpretazioni, oltre ad introdurre chi è capitato lì per caso convinto da amici senza sapere il contenuto dei brani alla spiccata identità progressista del combo: Great è dunque un ringraziamento agli immigrati che hanno reso grande la Gran Bretagna e Love è un brano che ne fa risaltare il loro fervente femminismo, mentre il loro saluto rivolto a “men and women and everyone in the middle” è un invito all’assistere e partecipare allo show senza discriminazione alcuna.
Il finale arriva dopo un’ora e mezza con Rottweiler, che captiamo (salvo smentita per errata interpretazione) essere annunciata per scherno come una “fascist song” ma che ovviamente non è: notiamo che il pubblico è ancora attivo come se il tutto fosse solo iniziato, magari solo un po’ più madido di sudore e con qualche scarpa in meno addosso visto che vengono continuamente recuperate e sollevate a fine moshpit.
Se dovessimo scegliere un momento per ripartire col rock e il punk attivista, alla faccia delle solite dichiarazioni del loro requiem (l’ennesima di Gino Castaldo è arrivata puntualissima questa settimana) sceglieremmo ciò che vi abbiamo appena raccontato.
IDLES – La scaletta del concerto di Milano
Colossus
Never Fight a Man With a Perm
Mother
Faith in the City
I’m Scum
Danny Nedelko
Divide & Conquer
1049 Gotho
Samaritans
Television
Great
Love Song
White Privilege
Gram Rock
Benzocaine
Exeter
Cry To Me (Solomon Burke cover)
Well Done
Rottweiler
