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Interviste

Viaggio senza fine: intervista a SIMONE GALASSI

”Viaggio senza fine” (Rinascimento/ Distrokid) è l’album d’esordio del cantautore toscano Simone Galassi. Dallo stesso giorno è in rotazione radiofonica il singolo “Milano senza soldi”. “Viaggio Senza Fine” è un’esperienza sonica, grazie alla quale l’artista ci trasporta in molteplici strati d’ascolto attraverso sintetizzatori vulcanici, chitarre sporche e trascinanti temi di fiati. Ecco cosa ci ha raccontato in merito alla sua nuova uscita e al suo percorso artistico.

Ciao Simone! Raccontaci il tuo percorso artistico e come nasce il tuo progetto solista.

Ciao a tutti! Farò il possibile per essere breve ma è un buon pezzo di vita che vi devo raccontare. Il mio percorso inizia da adolescente con una band pop-punk. Poi finito il liceo la band si è sciolta e io ho iniziato a sentire l’esigenza di andare via dall’Italia, quindi poco dopo l’inizio dell’università ho deciso di andare a vivere a Londra per fare il musicista di strada con in mano un disco in inglese stampato indipendentemente, da vendere sotto il nome d’arte di “Young Shoes”. Dopo Londra mi sono poi spostato a Melbourne, replicando lo stesso schema, suonavo per strada e nei locali della zona vendendo i miei dischi a mano. Arricchito da tutte le collaborazioni e le esperienze di questi anni, ho deciso di tornare a Livorno e trasformare “Young Shoes” in un progetto stabile e non più itinerante. Ho registrato, così, un nuovo disco che purtroppo, per vari motivi, si è trasformato nella fine del progetto ed è rimasto nel cassetto. 

La fine di un’era, della vita nomade, delle avventure e degli eccessi. 

Ero affranto e avevo bisogno di una nuova partenza, così mi sono trasferito a Milano dove ho concretizzato il mio progetto solista insieme a Luca Bossi (produttore di Edda) che sin dai primi provini delle canzoni in italiano ha creduto nella mia scrittura più di quanto ci credessi io. Da quel momento in poi grazie alle sue dritte e ai suoi incoraggiamenti ho iniziato a prendere consapevolezza dei miei mezzi. Nel mio percorso di vita e nel mio percorso artistico ci sono state tante tappe e tanta sofferenza, ma grazie a questo disco ora posso dire di aver trovato una casa sicura dove sentirmi davvero me stesso. 

Di cosa parla “Viaggio senza fine”? C’è un filo conduttore che unisce tutti i brani?

“Viaggio senza fine” ritrae le paure, le glorie, le ansie, i rimpianti di un essere umano così fragile da sentirsi sempre appeso ad una realtà parallela, mentre la vita scorre su un altro binario. È un disco che mentre si interroga sull’aldilà e sulle cause del dolore, prova a spiegare come ci si sente ad accettare le condizioni della vita che ci viene assegnata e a capire i meccanismi di cui siamo in controllo per poterla cambiare nel bene o nel male. Il filo conduttore è la voce che ci parla da dentro per suggerire la strada migliore.

Quali sono i professionisti che hanno collaborato con te alla realizzazione di questo disco? 

Ho creato questo disco insieme a Luca Bossi, persona con la quale ho dato vita a un collettivo: Rinascimento.

All’interno del nostro collettivo Claudio Di Pietro è la figura del manager tuttofare, per me ha rappresentato una roccia luccicante a cui potersi aggrappare in questi anni di sviluppo del progetto. Andrea Kabo invece si è occupato della parte fotografica e del racconto video. Il mixing è sempre di Luca Bossi, mentre il mastering è a cura di Andrea DeBernardi.

Hai avuto un percorso travagliato. Oggi come ti senti di essere? Il bicchiere è mezzo pieno, mezzo vuoto o realisticamente “a metà”?

Anni fa iniziai a ripetermi questa frase come un mantra: “chi smette di crescere inizia a morire”. Da quel momento in poi ho cercato l’evoluzione attraverso la spiritualità, la meditazione e lo sviluppo di abitudini sane come scrivere un diario tutte le mattine, andare a correre e mangiare bene; ho iniziato a volermi un poco più bene e questo mi ha permesso di camminare sulla linea del bene e del male con consapevolezza. 

Per quanto mi riguarda questa adesso è l’unica via per restare in equilibrio. Quindi ti direi che, seppur con grande fatica, riesco a tenere il bicchiere realisticamente a metà. Non mi definirei ancora felice ma sicuramente sono sereno.

C’è differenza tra ciò che ascolti e ciò che in realtà componi e canti?

Direi di sì perché ascolto molte cose differenti, la musica mi emoziona su tanti livelli, c’è la musica che apre il cuore, la musica che innesca riflessioni, la musica che aiuta a tirar fuori le lacrime, la musica che mi connette alle frequenze dell’universo, la musica che mi mette nel vibe di godimento… e quando scrivo non so mai quale sia la fonte. 

Io chiamo la scrittura delle canzoni “download”, perché spesso mi capita che le cose arrivino già in una forma compiuta che mi svela la via da seguire per arrivare al risultato finale, quindi raramente tento di scrivere per identificarmi con un genere o sound preciso. Forse questa cosa accade un po’ di più quando mi approccio alla co-scrittura o alla produzione di brani altrui.

Quali sono le tue fonti di ispirazione?

Amo artisti del calibro di Nick Cave, Tom Waits, Leonard Cohen, David Bowie. Amo i Libertines e gli Strokes, da buon millennial! Amo l’elettronica dei Daft-Punk, degli Air fino a Paul Kalkbrenner. L’ambient di Brian Eno e Fred Again, amo il Folk dei Neutral Milk Hotel e dei Beirut amo la musica sciamanica e amo tutto il cantautorato italiano che mi ha cresciuto. Sicuramente tutti questi input vengono mescolati in maniera randomica e inconscia dalla mia mente quando arriva l’urgenza di scrivere.

Concludi l’intervista con un messaggio!

A chiunque stia leggendo Rockon consiglio dal profondo del cuore di non perdere l’innocenza per strada, di continuare a stupirsi per l’incredibile realtà che possiamo vivere nel tempo di una vita umana e di non dare mai per scontata la libertà… è un bene prezioso da custodire. È nostra responsabilità.

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