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Interviste

“Bentornati nei nostri Anni ‘80”. Intervista ai THE PUBLIC RADAR.

Neon Rain è il titolo del nuovo album della formazione romana The Public Radar, pubblicato il 25 gennaio in tutte le piattaforme digitali pubblicato da Pop Up Records.

La band nata nel 2012 composta da Max Alto (voce e chitarra) e Francesco Conte (chitarra e synth), torna oggi a quasi 10 anni dal precedente “A new sunrise” con un lavoro che conferma lo stile e la visione che ha sviluppato negli anni.

Il frontman Max ci racconta cosa c’è dentro questa macchina del tempo. 

Per chi ancora non vi conosce, che cosa significa il vostro nome The Public Radar?

Il termine Public Radar deriva da un articolo che lesse Claudio del Proposto, all’epoca parte integrante della band, e dal quale rimase colpito non solo per il nome, appunto the public radar, ma anche per il significato, cioè vivere sotto osservazione costantemente, perché se non erro si riferiva al fatto di quanto ognuno di noi fosse “Under” the public radar. Insomma, diciamo che era il solo nome ad aver messo tutti d’accordo, così lo scegliemmo.

Come si è evoluto il vostro sound dal primo EP del 2013 a questo ultimo album Neon Rain?

Come succede spesso, trovo che abbia avuto un processo del tutto naturale. All’inizio è stato un po’ un confrontarsi con i nostri gusti, cercando di mettere d’accordo 5 persone, tutte di forte personalità, quindi non è stato semplice trovare un vestito perfettamente idoneo a quello che volevamo. Il tutto suonava molto più “indie”, il che non era un male, ma forse non prettamente ciò che cercavamo. Con A New Sunrise, il sound ha cominciato a prendere una strada più synthpop, con anche più elettronica, una sorta di miscela tra quello che già ci apparteneva e quello che è stato un apporto più audace, diciamo così, da parte di Giuseppe Colavolpe che ci ha aiutati a uniformare il tutto attraverso suoni più moderni e collaborando anche al mix dell’album. Con Neon Rain abbiamo raggiunto senza dubbio un sound più definito e rappresentativo di ciò che vogliamo essere, e per ora ci sembra un traguardo del quale siamo contenti.

I cambiamenti di formazione come hanno influito sulla vostra produzione artistica?

Inizialmente è sempre difficile gestire delle separazioni, perché conducono inevitabilmente a gettare la spugna con più facilità; tra l’altro non abbiamo più vent’anni e far coincidere impegni musicali con impegni quotidiani, quali lavoro, figli, o qualsiasi altra cosa, può creare demotivazione. In questo caso, però, snellire i membri della band è come se avesse giovato al progetto, permettendoci (Max e Francesco) di avere confronti musicali immediati senza troppi giri di parole. Tutto si è svolto con naturalezza, senza mai uno screzio o un dissapore, nessuna forma di permalosità; se il pezzo fosse stato buono sarebbe piaciuto a tutti, sennò si scartava, senza mai lasciare delusione in ognuno di noi. 

Il vostro genere non così comune almeno nel nostro Paese. Quali sono i vostri riferimenti italiani e internazionali?

In realtà, fa tristezza constatare che non sia più così comune, quando anche nel nostro paese abbiamo avuto ottimi artisti di questo genere. Se pensiamo a Gazebo, Mike Francis, Gary Low e perché no, anche il primissimo Raf con Self Control, sono stati all’altezza di grandi artisti anche non italiani. Purtroppo l’Italia sembra sempre dimenticare il passato, persino quello più vicino, non ho mai capito il perché. Per il resto, i nostri riferimenti internazionali sono tanti, c’è sempre e solo da imparare da tutti. Tanto per citarne qualcuno direi Depeche Mode, Duran Duran, Talk Talk, Tears For Fears, Dead Or Alive… Ma la lista sarebbe ancora lunga.

Come siete venuti in contatto con un nome del calibro di Steve Lyon e come lo avete convito a collaborare con voi?

È stato Francesco, che dopo aver collaborato con Steve per il mix dell’album degli Spiritual Front “The Queen Is Not Dead”, ha pensato di contattarlo, questa volta, in veste di fonico/produttore per realizzare il nostro nuovo progetto. L’entusiasmo era alle stelle, ma c’era comunque un po’ il timore che potessero non piacergli i brani e che magari rifiutasse di lavorare con noi. Dopo il primo appuntamento, gli sono stati mandati i demo dei brani, composti da Max, con un arrangiamento provvisorio e un cantato senza testo; la paura che non apprezzasse, era tanta. Quando poi ci siamo sentiti per sapere cosa ne pensasse, lui disse: “Questo è il disco che avrebbe voluto fare Martin Gore da solo!” Ovviamente, dopo questa affermazione, niente è stato più come prima!

L’immaginario 80s che rielaborate e riportate in vita: più nostalgia generazionale o un retaggio artistico a volte incompreso e sottovalutato?

Tutti posso provare nostalgia per un periodo che ha significato molto nella propria vita. Potrebbero essere gli anni ‘50 con il sogno americano, gli anni ‘60 e il boom economico italiano, o gli anni ‘70 con i figli dei fiori, dove tutto è pace e amore, ma anche anni di piombo. Gli anni ‘80 sono stati un periodo di esagerazioni con una sorta di revanscismo ingenuo verso un nuovo paragrafo essenziale nella storia, per non parlare della musica, un punto fermo da cui tutti hanno appreso qualcosa. Io non credo che ci sia stato mai un aspetto sottovalutato, perché qualunque cosa uscisse da quegli anni ha dettato legge in ogni settore, nel cinema, nella musica, nella radio, nei videogiochi. Quindi mi riesce difficile pensare che Prince o Michael Jackson, insieme a film come Ritorno al futuro, Ghostbusters o indiana Jones, per poi arrivare alla tecnologia dell’Atari con la sua console 2600, che oggi ripropongono sul mercato, o alla Nintendo (più viva che mai) possano essere episodi sottovalutati. Noi consideriamo quegli anni il fulcro di ciò che ancora adesso ci emoziona e che stimola a osservare attentamente cosa si fosse capaci di creare, perché come sempre la storia è maestra di vita.

Quanto conta la componente estetica di quel periodo rispetto a quella sonora?

Sinceramente, sembra che il problema dell’estetica sia più odierno. L’estetica è sempre parte integrante dello show, quindi non si può far finta che non fosse importante anche all’epoca, ma ritengo che la musica avesse la meglio su tutto il resto. Prendiamo come esempio Mark Hollis che ha scritto capolavori assoluti con i Talk Talk, sembrava quasi nascondersi il più delle volte; nel video di Such a Shame, per sua stessa ammissione era a disagio, eppure quel brano è incredibile e lo sarà per sempre. Certo, esistono realtà come i Duran Duran che erano belli da togliere il fiato, ma la loro musica non era da meno, un album come Rio rimane tra in più grandi dischi di tutti i tempi. Pensiamo che la musica sia sempre stata e sarà per sempre un’arte da ascoltare, non da vedere.

Featuring nel cassetto del passato e del presente?

Bella domanda! Del passato, direi che è quasi impossibile rispondere. La lista sarebbe talmente lunga da perdersi. Del presente, per me Max Alto, sarebbe un sogno poter duettare o comporre un brano con Martin Gore, che è sempre del passato; ma il vero sogno nel cassetto sarebbe trovarsi faccia a faccia con Paul Mccartney, nessuna collaborazione, diventerebbe irrispettoso anche fantasticarci troppo sopra. 

Dove vi porterà la vostra macchina del tempo?

Speriamo ovunque viva ancora dell’emozione, e dove tutto risulti ancora autentico. Certi suoni non sono solo un espediente per rievocare un effetto nostalgico, ma un veicolo evocativo di sensazioni che sono dentro ogni persona e che devono solo essere riscoperte senza etichettarle. “Anni 80” è un termine che non vuol dire nulla, è stato un decennio ricco di cambiamenti, di esplorazioni, di rivoluzione elettronica, di neoliberismo e di eventi storici che hanno cambiato tanto in noi e di noi. Quindi non assocerei mai gli anni 80 a una superficiale descrizione di tute con colori improponibili, capelli cotonati o spalline su giacche dalle misure clownesche. La nostra macchina del tempo ci porterà dove ci sentiremo più umani e in sintonia con tutto ciò che ci ruota intorno.

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