Articolo di Adriana Panico | Foto di Claudia Mazza
Si scrive “croon”, dall’Inglese parlare o cantare dolcemente, si legge MT JONES, cantautore e polistrumentista tutto guizzo e ispirazione, che approda per la prima volta in Italia, sul palco del Blue Note di Milano, in una serata di pioggia. Cadono gocce piccole che lavano via piano le polveri sottili dell’aria, forse anche quelle dell’anima, e un po’ alla volta si trascinano via la confusione della settimana più effervescente dell’anno, merito del noto Festival, che si tiene in terra ligure con tutto il portato di costume e società che lo contraddistingue.
Il Blue Note ha l’aria di uno speakeasy stasera. Sembra siamo tutti pronti per assistere a una jam session, manca il fumo nell’aria ma l’atmosfera di brio e impaziente fame di musica è la stessa e quando sale sul palco quel trio – MT Jones con Ben Wall alla batteria e Adam Lewis al basso- sfoggiando sorrisi ammiccanti e gioiosi diventiamo complici nella reciproca promessa targata “enjoy” per questa sera.
Cominciamo. Anzi, comincia MT Jones con un brano r&b sbarazzino pieno di soul addiction, I’d Be Lying, sottile cenno all’immortale “I caught you in a lie” di Robert Parker (sì, quello della one-hit wonder “Barefootin’”). Siamo a New Orleans, sono gli Anni 60 oltreoceano: Motown e Stax on air, Ray Charles scelto come padrino spirituale che si fa largo nell’immaginazione. Con vocalizzi leggeri e freschi, una voce che sembra la sintesi di Paolo Nutini e Stevie Wonder, MT Jones ci accompagna al pianoforte per I won’t ever say goodbye, secondo brano per apparizione e primo per composizione. Una ballata piena di sentimento che porta alle origini: sembra quasi di vederlo questo bambino che a otto anni inizia a muovere le dita su un tappeto di tasti di avorio ed ebano in bianco e nero mentre il padre mette su vinili de Beatles in quel di Liverpool (data la città, viene da dire “e certo”). A tredici anni scrive la sua prima canzone spaziando nel territorio dell’ispirazione dove possibile e impossibile si plasmano a vicenda. Saluta Milano, il pubblico, il Blue Note, lasciando intendere quale sarà la struttura della serata: un alternarsi simmetrico di ballate lente, come Don’t know why, My foolish heart, Heavy on My mind (i titoli sono abbastanza rivelatori), a brani più ritmati e incalzanti, quali All I do, I don’t understand, Put me through. I singoli più famosi sono incastonati nella seconda parte della serata. Citiamoli: Wasting My Time, una canzone quasi estiva per leggerezza e arrangiamento che celebra l’importanza del momento, in quanto “presente” evidentemente un dono. Una tazza di qualcosa, una persona, il cielo là fuori o qualunque altra cosa semplice che ci consenta di raggiungere la zona franca delle preoccupazioni. La No Time No Space di noialtri, insomma.
Made Up Your Mind, ultima creatura appena uscita nel 2024, storia di crepacuore comune democraticamente a tutti e del vuoto cosmico con disperazione annessa tipico della perdita di qualcuno, quel limbo tutto horror vacui che sta nello spazio del cambiamento quando qualcosa che significava tanto non c’è più. In my Arms, un pezzo compulsivo di musica soul che nel 2023 gli è valso il titolo di supporter ai “Live in The UK” dei Mamas Gun. Di mezzo ci mette un bel po’ di sorprese: le cover. E che cover! Jimmy Cliff, uno dei suoi preferiti, on stage nella sua interpretazione di Piece of My Pie; a seguire il soul e il blues sfrenato con Bill Whiters in Grandma’s Hands, l’incontenibile e universale At Last con Etta James, sua madrina spirituale.
La vediamo salire sul palco, iconica al solito, accomodarsi sullo sgabello accanto a lui al pianoforte e cantare insieme “over” a tutti i nostri lonely days. Poteva fare di più? Difficile, ma non si è risparmiato mai e ha proposto Don’t let me down, i Fab Four, per forza.
Chiude la serata che l’ha visto esibirsi in ben 24 brani, con Feeling Lonely, una canzone romantica sull’amore e sull’incontro, registrata un po’ per caso ma non a caso. Questo trionfo di dolcezza restituisce l’immagine quasi cinematografica del salone di casa dei suoi genitori in cui è stata registrata mentre loro erano via per una settimana. La luce offuscata dalle tende, gli strumenti intorno al divano, il suo primo pianoforte, proprio quello di quando era bambino. Ed eccolo lì a suonare, improvvisare, registrare con i suoi compagni d’avventura, si vede anche Jake, il suo cane, che preso dal guizzo della gioia va a mettersi accanto a loro. Perché MT Jones è proprio questo: la composizione di un’atmosfera da speakeasy con quella del salone di casa, la combinazione di passato e presente in una musica sempre serena e mai sotto sforzo, prologo di balli scatenati e preludio di dolci sogni, quelli da sdraiarsi a guardare il cielo e fare giochi con le stelle. Anche se fuori continua a piovere.
Il suo primo EP sarà lanciato nella primavera di quest’anno. Aspettiamo con gioia la fioritura (e la distribuzione).
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MT JONES – La scaletta del concerto di MILANO
I’d be lying
I won’t ever say goodbye
Blue moon
All I do
Fly
Piece of my pie
Lay down
Don’t know why
Ain’t so good alone
Grandmas hands
My foolish heart
I don’t understand
Rocking my boat
At last
Wasting my time
Heavy on my mind
Tough love
Hold on
Time of my life
Made up your mind
Don’t let me down
In my arms
Put me through
Feeling lonely