Articolo di Davide Anzaldi | Foto di Andrea Ripamonti
16 novembre 2021, mentre Milano propone una serata novembrina non troppo fredda ma molto uggiosa, il Blue Note ospita una leggenda del jazz internazionale: il sassofonista Kenny Garrett.
Le sue collaborazioni e il suo contributo nel mondo del modern jazz sono talmente tante, e importanti, che è impossibile elencarle in questa sede: dall’orchestra di Duke Ellington a Miles Davis, da Chic Corea a Herbie Hancock passando da innumerevoli altri protagonisti del jazz contemporaneo.
Come altre stelle del jazz in transito in Italia a Novembre (Mike Stern, Bill Evans, Tom Kennedy, Bob Franceschini) anche Kenny Garrett è giunto a Milano arrivando dal Culture Festival di Mogoro (Sardegna), in cui si è esibito nella serata di chiusura Domenica 14 Novembre.
The gig: al primo spettacolo delle 20:30 l’inossidabile Nick “The Nightfly” presenta la serata -trasmessa in diretta anche su radio Montecarlo – al pubblico che riempie il locale in sold out.
Dopo una rapida occhiata al palco dall’alto del piano rialzato, nel quale si può ancora fruire della mostra fotografica “High-Key on Jazz” di Roberto Cifarelli, appare subito chiaro che Kenny si presenta con la line up consolidata in formazione quintetto, che da molti anni lo accompagna. Sulla front line del palco troviamo, infatti, in bella mostra l’elegante e variegato setup di Rudy Bird lo storico percussionista della band di Kenny Garrett che resiste, imperterrito e fondamentale, ai vari ricambi generazionali che hanno coinvolto gli altri strumentisti.


Sul palco abbiamo quindi:
- Kenny Garrett al sax
- Corcoran Holt al basso
- Ronald Bruner alla batteria
- Rudy Bird alle percussioni
- Vernell Brown Jr. al piano
La serata parte con un approccio molto funky con il funambolico batterista Ronald Bruner – che già ebbi modo di vedere una decina di anni fa durante un “Groove day” al LIVE di Trezzo – che mette subito in chiaro quale sarà il main groove della serata e soprattutto il volume (spoiler: alto).
Il primo brano scorre liscio con un giro armonico molto semplice tipicamente usato dai combo di questo tipo per “scaldarsi” e durante il quale Kenny espone il suo fraseggio senza indugio.
Si nota subito un approccio “casual” e sempre in modalità “jam session”; non ci sono veri e propri “intro”, stacchi, oppure obbligati all’unisono. Non c’è nemmeno lo schema “tema ->solos -> tema -> end” tipico del classic jazz da quartetto/quintetto.
I brani partono e si evolvono in modo molto estemporaneo, affidandosi totalmente alla sensibilità e capacità di ascolto reciproco fra i musicisti.
Anche il secondo brano parte dalla batteria, di nuovo con attitudine funky, già ad alto volume. Ronnie ha 3 rullanti di cui 2 piccoli ed è determinato a usarli tutti. Questa volta però gira su metrica dispari e si evolve in un groove ritmicamente “disorientante” anche da parte di basso e piano. Qui c’è proprio sfoggio di tecnica con “volo a vista” totalmente senza schema. Si culmina con un “fortissimo”, con solo di batteria e finalmente si scende verso volumi più consoni al jazz club col brano che va verso un finale liscio e sommesso, fino al fade-out completo.


Molto d’effetto, applausi.
Si riprende: lo spirito di Mongo Santamaria si materializza improvvisamente sul palco e ispira un brano squisitamente afro. La clave africana non è esposta, non è esplicita ma è una presenza costante nell’accompagnamento di contrabbasso e piano durante tutto il pezzo. Armonia semplice e afrobeat sono terreno fertile per i virtuosismi al sax di Kenny; il brano prosegue prepotentemente in direzione Africa con un solo di RudyBird alle percussioni che si accompagna, come da suo marchio di fabbrica, con i suoi meravigliosi fraseggi vocali tipici dei cori africani.
Occhi chiusi, mani sulle pelli, danza nel sangue e voce. Ispirato, bellissimo.
Il biglietto di ritorno dall’Africa verso gli stati uniti lo stacca Kenny lanciando un fast a bomba.
La band lo va a prendere in corsa e mentre lo sostiene questi ha spazio per sfoggiare il suo monumentale background tecnico di fraseggio hard bop. Frasi estemporanee ricorrenti vengono trasposte con soluzioni armoniche clamorose fino a un “fortissimo” con confronto diretto fra sax e batteria in un crescendo alle stelle. Poi, tutti in silenzio: Kenny fa un “solo” veramente solo.
Sax, tempo col piede e lui che ondeggia avanti e indietro quasi in trance. Tutti in silenzio: musicisti, pubblico, forse anche la pioggia fuori ha fatto una pausa. Tutti travolti da quello che può essere considerato l’archetipo dell’assolo di sax in senso stretto.
Il brano poi riparte col ritmo serratissimo da cui era partito, e con il contrabbassista CorcoranHolt che porta un “walkingbass” spaventosamente preciso e nitido con la rilassatezza di un pediluvio davanti alla TV.
Nessun territorio del jazz deve rimanere inesplorato: il quinto brano si presenza come un jazz waltz e arriva la prima improvvisazione di contrabbasso su un registro di note molto gravi mentre RudyBird ci ricorda quanta poliritmia può stare in un waltz con un piccolo strumento a sonagliera. Un lungo ostinato dà poi spazio a Ronald Bruner per un solo di batteria, che però viene eseguito sempre nell’unico modo che sembra conoscere: fortissimo, velocissimo e purtroppo spesso esagerato, fuori contesto a scapito della musicalità.
Non si vedono ballads all’orizzonte, e purtroppo Kenny non propone alcun brano col sax soprano. Il concerto prosegue con un tenore sempre funky e Garrett si diverte un po’ anche al piano elettrico.
Come di consueto, nel finale di concerto la band propone “Happy People”, il tema più orecchiabile di KennyGarrett con il quale coinvolge ogni volta il pubblico con cori e battimani.
Le orecchie più fini avranno notato durante esposizione del primo tema iniziale una piccola citazione di “Jean-Pierre” di Miles Davis, doverosa e sempre ben accetta.
“Happy people” porta al finalone con la consueta struttura a 3 “reprise” per incitare il pubblico.
Concerto divertente, godibilissimo e all’altezza delle aspettative

