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La playlist delle colonne sonora immaginarie | settimana 5

Anche questa settimana torniamo qui, a parlare di film e nuove uscite discografiche come probabilmente nessun altro fa: questo perchè ogni volta che saliamo in metropolitana con le cuffie al massimo, non facciamo altro che sentirci in un videoclip musicale, ed associare immagini e musica, ci sembra uno dei modi più semplici ed universali per farvi scoprire musica nuova, per farvi entrare in un mondo visivo e senziente, vibrante e vivo dove tutto è una cosa sola. Da Brian De Palma a Sofia Coppola, passando anche per Tim Burton, ecco cinque nuovi brani e cinque nuovi film per voi. 

Preparate i pop corn. 

CARRIE con “Verdena” di Casx

Il merito di Arianna Puccio (o Casx) sicuramente non è quello dell’aver fatto un disco quasi di nascosto, senza far troppo clamore e quasi nascondendosi da quella scena milanese che tanto chiasseggia nei due o tre locali della città meneghina che sembrano rimasti attivi (se si escludono ovviamente quelli dedicato alla musica mainstream simil Alcatraz), quella dove si conoscono tutti e tutti sembrano fare le stesse cose. Arianna Puccio emerge dall’underground milanese con un disco insolito, che va a toccare quella parte di noi più intima e nascosta: quella di chi, in fondo in fondo, è sempre convinta di non avere amici, di non meritarseli, e la stessa di chi, sempre in fondo in fondo, non vede l’ora di fare una strage di compagni nella palestra della scuola. Viene naturale quindi affiancare Carrie, quel piccolo capolavoro di Brian De Palma che andrebbe visto, e non solo come un fenomeno culturale, ma anche manifesto generazionale di chi è cresciuto senza sentimenti e con genitori un po’ sciroccati, noi Millenials che se facciamo schifo ci sarà anche un motivo. Un film che ci fa tornare arrabbiati, che ci fa tornare quelle liceali con le felpone e i corpi sbagliati. Il tutto viene ricondotto, romanticamente a quel periodo in cui i Verdena scrivevano ancora (e probabilmente questo pezzo è stato scritto prima del loro ritorno), e da quando non ci sono più i Verdena, siamo diventati anche grandi, e non sogniamo con colpevolezza più stragi scolastiche nelle palestre. 

ED WOOD con “Autocad” di Forse Danzica

Ed è naturale scivolare da Casx al progetto di Forse Danzica, due nomi intrecciati non solo come immaginario ma anche da una stretta collaborazione che li vede spesso insieme, uno come produttore dell’altra. Singolo più recente del progetto solista di Matteo Rizzi, è “Autocad”, criptico singolo emo-pop, autotune e tristezza che ci riporta in qualche modo ad un film in bianco e nero, non un film vecchio, un film in bianco e nero di proposito, con un’estetica volutamente retrò come “Ed Wood”, il film più sottovalutato di Tim Burton, ed è giusto così, e ora capirete anche il perchè. Ed Wood che è conosciuto per essere il peggior regista di tutti i tempi, così come questo film ricordato per essere il più dimenticabile di Tim Burton, così come questo brano (in realtà bellissimo) che rimanda la felicità ad un futuro non definito. Forse Danzica, un po’ come un Ed Wood urbano che si aggira per Milano, si apre a sogni e debolezze, come in un film in bianco e nero per un puro vezzo artistico, dedicando questo pezzo agli ultimi romantici, ai sentimentali di città, a chi continua a fare le cinque di mattina ma in realtà sognano di vivere on the road. E così, come Ed Wood continua a persistere nella sua carriera di cineasta nonostante tutti i traumi produttivi del caso, Forse Danzica ci invita a insistere nella nostra storia d’amore più improbabile, perchè ne varrà la pena, e quando ne usciremo vivi sarà il giorno più bello, ci dice Forse Danzica. 

MEMENTO con “Questi giorni tutti uguali dei Soloperisoci

C’è una cosa di cui siamo convinti, e che “Memento” quel titolo ormai lontano firmato da Christopher Nolan, non un film triste, al massimo rassegnato, di quelli dolci-amari e in fondo un po’ ironici: metafora di un loop infinito di giorni tutti uguali, quelli di tutti, che può essere spezzato solo da una buona dose d’azione e adrenalina (e forse anche qualche polaroid). Se non l’avete mai visto: un uomo si sveglia ogni giorno con la memoria a zero, costretto a districarsi tra una sparizione e qualche casino. E una volta capita questa cosa, viene naturale anche trovare la giusta colonna sonora, che nel nostro caso riteniamo essere “Questi giorni tutti uguali” dei Soloperisoci, band di Roma che da pochissimo ha esordito spavaldamente con l’ambizioso album d’esordio “Ingresso riservato”. Il disco porta alla luce le contraddizioni dell’esistenza, con la scusa di un piglio à la Arctic Monkeys e il retaggio dei Ministri:  la distorsione dell’amore che arriva a diventare odio, la tragicità della dipendenza da sostanze o persone. Un grosso casino connesso ai piani temporali di Nolan, sempre metafora di una quotidianità quasi provinciale come può essere quella delle sigarette e dei localini di Roma di questa band. Non perdetevela, e organizzate quanto prima una serata cinema e pop corn per rivedere “Memento”. 

LOST IN TRANSLATION con “Texas Ravioli” di Nebbia

Possiamo spiegare. La solitudine estrema in un paese asiatico, uno di quelli dove ci sembra tutto strano, tutto lontano, tutto diverso. Un’amicizia ambigua, legata magari anche al cibo, un’amicizia improbabile che probabilmente non sarebbe mai sbocciata se non in un contesto così lontano, così improbabile. Ci piace pensare che questa sia la storia non solo “Lost in translation”, eterno capolavoro improbabile di Sofia Coppola, ma anche di “Texas ravioli”, il singolo d’esordio di Nebbia che racconta una storia d’amore ad un generico all you can eat di Milano, a sperare che la ragazza dei sogni (ma che poi non è la ragazza dei sogni, solo un ragazza che ci ha dato buca, e che ora ci appare la più bella mondo). Mischiando sapientemente sentimenti, post-punk, il retaggio di band quali Interpol, Editor e White Lies, cibo spazzatura e culturalmente contaminato, luminarie al neon che frizzano in città, un match riuscito male su Tinder, e una tristezza generale. Sofia Coppola avrebbe amato questo ragazzo e questo suo disco dal titolo “Altrove”, così triste e così a tratti ironico, di quell’ironia di cui solo chi è stato abbandonato ad un ristorante giapponese è capace. Se vi è stato mai dato buca almeno una volta, alzate il volume. 

MOON con “Cosmonauti” di CASTELLI

Rimaniamo in quel territorio conosciuto dove imperano synth anni Ottanta, un dancefloor praticamente abbandonato, e le luci al neon. Di recente siamo rimasti scossi e ossessionati dal nuovo album di Castelli, “Anni Venti”, dove non è possibile non rimanere conquistato dal singolo “Cosmonauti”: come se i Baustelle andassero nello spazio, come se i White Lies facessero una crociera nel Mediterraneo, come se dovessimo ascoltare i nostri genitori di ritorno dal cinema, che ci raccontano, a modo loro naturalmente, il nuovo capitolo di Dune. Prodotto da Luca Urbani, il disco combina i suoni analogici del pop e della new-wave, adattandosi e raccontando molto anche della scena underground contemporanea. “Cosmonauti” è la colonna sonora alternativa per “Moon, film di fantascienza semi-sconosciuto del 2009 dove un solitario Sam Rockwell regge da solo la tensione della solitudine nello spazio: scordatevi le navicelle scintillanti e la tecnologia avanzata, qui ci sono solo sporcizia, desiderio di tornare a casa al termine di un contratto, tute logore e discorsi in solitudine, come quando rimaniamo da soli in un locale al termine di una serata, quando tutti i nostri amici tornano da ragazze, mogli e figli, e noi rimaniamo lì, a battere i piedi seguendo i synth. Castelli è lì con noi. 

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