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Reportage Live

Se innamorarsi perdutamente non è mai un affare, allora YPSIGROCK cos’è?

La 27sima edizione del Festival alt rock nato e cresciuto in Castelbuono conferma la formula magica che gli ha permesso di vincere cuori e menti dei suoi frequentatori, conquistando anche le neofite alle prime armi come la sottoscritta. E lo ha fatto a colpi del più scomodato dei sentimenti: la nostalgia. Soprattutto se la tirano fuori, in tutte le sue complessità, Colapesce Di Martino, Explosions in The Sky, bdrmm, Royel Otis, Jadu Heart e Kae Tempest.

Articolo di Marzia Picciano | Foto di Riccardo Giori

A ormai una settimana dalla conclusione della ventisettesima edizione dell’Ypsigrock Festival, quello che il The Guardian ha definito tra i più bei boutique festival europei tanto da far impennare l’italico orgoglio perchè qualcuno, straniero, ce lo ha detto con piglio entusiasta – lo stesso che avrebbe davanti un piatto di linguine allo scoglio – dubito di poter aggiungere qualcosa in più a chi questo festival lo ha vissuto dagli albori (dal ’97, o poco più) e raccontato anno per anno. In primis perchè si trattava della mia prima esperienza all’evento internazionale nato e cresciuto tra i risvolti montagnosi di Castelbuono, provincia di Palermo, a trenta minuti diritti sul mare di Cefalù, che ogni anno accoglie una line-up assolutamente non scontata di artisti, noti o meno noti al mainstream di tutte le correnti di pensiero dell’industria musicale alt-rock, in uno scenario che più di altri sembra centrare il concetto di locus amoenus, lasciando sempre stupiti tutti, artisti, abituée, etc, ovviamente inclusa la sottoscritta.

La domanda sorge spontanea: come ha fatto un festival nato dalla ‘folle’ idea di un gruppo di persone, amici, a prosperare (quest’anno sancito da un sold out delle prime giornate) fino a raggiungere uno status symbol che gli permette di attirare nomi di un certo livello e soprattutto, proprio i desiderata degli organizzatori stessi (Flaming Lips, The National, Slowdive, e oggi Beach Fossils e Kae Tempest)? Tra l’altro con risorse non infinite – nonostante la progettualità di SMA! cofinanziata da Europa Creativa che vede l’Associazione Culturale Glenn Gould, la promotrice di Ypisgrock, capofila. E, tenuto conto di tutto ciò, riuscendo a creare fuori dal nulla qualcosa di unico, un esempio pratico del concetto di Gemeinshaft che non ha pari in Italia, ma neanche tanto in Europa?

Detto onestamente: tra me e lo straniero entusiasta davanti un piatto di linguine c’è poca differenza. Ero venuta con l’intento empirico di un qualunque San Tommaso, forse un filo meno scettico e un tantino più idealista, di vedere, provare l’esistenza di un festival che si facesse comunità, e guess what: non sono stata delusa. Questa eldorado delle anime che cercano appartenenza e comprensione in una rassegna musicale esiste, e si trova dove meno ce lo aspettiamo. In un paese di poco meno di novemila anime, aumentate di altre diecimila nelle giornate tra l’9 e l’11 agosto (dati edizione 2024), un mondo a festa senza un cenno di fastidio (pare) o riluttanza ad accogliere i vari pellegrini in marcia. Me ne accorgo dal giorno uno, quando vengo accreditata in sala consiliare e scortata all’aperitivo della stampa proprio dalla gestione de Il Giardino Di Venere. Sul terrazzo che ridà sull’interno dei tetti di Castelbuono, passando tra le eleganti sale da cena mi aspetta la community stampa che altri non è che un concentrato di persone, non solo italiani, che hanno inserito l’appuntamento come recurrent nei loro Outlook e che diventano immediatamente le mie guide. Lo saranno dalla mattina all’Ypsicamping nel Parco delle Madonie, o nell’indolente siesta cittadina dopo pranzo, mentre osservi qualche headliner ancora stupito, certo dai 40 gradi all’ombra, o ancora, alla sera tra i tavolini del Don Jon a parlarmi di come quel posto abbia ispirato la scrittura di una prossima autobiografia. Insomma, basta pochissimo per capire che Castelbuono e Ypsigrock non sono altro che un perfetto escamotage di fuga dalla realtà, e come tutte le cose veramente belle e divertenti che ti trovi a sperimentare resta difficile da ignorare, una volta che ci sei dentro.

Poteva essere più azzeccato il payoff dell’edizione 2024: “il futuro è già nostalgia”? Si sposa bene con gli animi degli abituée del festival che tra un drink al Chicas e un pezzo di panettone di Fiasconaro corrono innumerevoli vasche tra Via Sant’Anna, il centro, il Chiostro di San Francesco e quindi il Castello e il suo main stage. Se la nostalgia è etimologicamente, visceralmente legata all’idea di ritorno, ecco: cosa spinge a tornare? Sarà che Castelbuono evoca un sentimento di nostos troppo ignorato ai tempi delle memorie corte da stories di 24 ore scarse? Che, anche se ci affidiamo a un cellulare per conservare i nostri ricordi, la memoria è selettiva e pur non essendo un critico, sa valutare quando sta bene/quando sta male (cit)?

Bando ai sofismi. Una prova di questa “beatitudine” risiede nel pubblico, balza subito all’occhio la bellezza dei partecipanti. Ok, un concentrato di Birkenstock e Vans, ovvio, e di magliette band-fan che ben identificano chi le indossa (a proposito, mai ricevuto cosi tanti complimenti per una t-shirt come per quella dei Nine Inch Nails, mai), e soprattutto di orecchie attente. La proposta del 2024 aveva una serie di nomi magari non immediati. Eppure Ypsigrock ha saputo mettere in atto una forma di educazione attiva dell’ascoltatore (così ha suggerito una validissima rappresentante della stampa) tanto da essere in grado di guidare chi partecipa nella sua programmazione senza che questo causi sbuffi o insoddisfazione. Cosa (o sforzo) che i grandi eventi internazionali cercano di evitare allestendo time table impossibili da gestire senza il dono dell’ubiquità. Ma rischiare oggi si sa, è un atto di coraggio a cui pochi sono interessati. Ancora più interessante la ricezione dei locali: più volte mi sono fermata ad osservare i castelbuonesi affacciati sui balconi di Piazza Castello con le loro sedie di plastica fronte ora Colapesce Di Martino, ora i Royel Otis, ora (un indomito) Model/Actriz, e quindi i bassi da Prodigy di Chalk. In ventisette anni di Ypsigrock i castelbuonesi dovrebbero essere i nuovi Lester Bangs – o più probabilmente, hanno elevato allo status zen quello dei genitori estremamente pazienti.

Parliamo quindi della line up. Densa, e intensa. Sognante e scavatrice. La new wave picchiettata di solide vie di fuga verso divertissement meno tetri. Qual’è il collegamento tra Colapesce Di Martino e Kae Tempest? Forse una profonda idea di cosa sia l’anima umana e dei suoi angoli grigi, che poi basta a denigrarli, sono bellissimi. Sicuramente la scaletta di quest’anno è stata ambiziosa, e ha puntato tanto anche sul nuovo. Ha visto uno dei primi concerti dei britannici Jadu Heart in Italia dopo Sexto Unplugged e forse una delle poche mancanze nella performance di una delle band che più bramavo di vedere dal vivo, ovvero, la chitarra troppo bassa, anche da sotto palco era veramente difficile sentire quegli slide distorti che mi mandano in estasi in I Shimmer e l’estatica malinconia dei bassi e della voce di Diva in Shame. Di fatto, i quattro giorni si sono snodati in una sorta di crescendo dall’onirico al nostalgico più pop (perché la nostalgia è un sentimento popolare, ricordatevelo) che ha trovato il suo picco estatico nella giornata del venerdì, passando da Marta Del Grandi e una ispiratissima Julie Byrne che non riusciva a superare i controlli delle sessioni pomeridiane al Chiostro a quella conclusione di sentimenti convulsi quanto i cieli pienamente stellati di Castelbuono con gli Explosions In The Sky.

Ovviamente alla domenica, ultima serata, è toccata la programmazione più muscolare dove incentrare le (a mio avviso) migliori performance, a partire da quella del pre-cena degli olandesi Yīn Yīn (ma perchè stiamo ancora a sentire i Tame Impala? Chiedo, eh), passando per la rapper zimbawese australiana Tkay Maidza che ha aperto le danze serali (purtroppo troppo in concorrenza con l’orario di cena, quindi in tanti si sono persi l’opportunità di sentire una delle cover piu interessanti del pezzo più celebre dei Pixies) e quindi i Nation Of Language che con i movimenti a tutto palco di Ian Richard Devaney mi hanno spedita diritta nell’iperuranio della sindrome da abbandono dei New Order tanto da farmi decretare il mio fav act del festival. Si sono fatti perdonare, suppongo, il forfait da malattia dell’anno scorso.

Foto di Riccardo Giori

Special mention poi per i bdrmm, band di Kingston Upon Hull che vorrei si smettesse di definire come shoegaze e non solo perchè loro stessi non lo approvano ma anche perchè, anzi soprattutto perchè ci troviamo di fronte qualcosa che è molto, decisamente di più. Ma di questo ne parleremo nell’intervista che sono riuscita a rubargli tra il Pampero pre show di sabato sera (coming sooon!) e una performance che ha fatto capire a tutti i presenti che Ryan, Joe, Jordan e Conor lo shoegaze più che altro se lo sono mangiati e rigurgitati nella cameretta da cui stanno facendo partire una rivoluzione, primo perchè non accettano etichette, secondo perchè a differenza di quanto il genere ci potrebbe far pensare, qui c’è parecchio sognato, e anche di triste, ma con una nota di inguaribile speranza positiva che si riconcilia bene con la verve assolutamente scanzonata della band. Aggiungiamo alla coda anche green flags come i Royel Otis e la loro cover di Linger dei Cranberriers e il club dei biondissimi Tapir! per i nostalgici dei Radiohead prima della svolta elettronica. 

Sulla sessione delle nuove voci di Avanti Il Prossimo! la talent session di Ypsigrock di primo pomeriggio torneremo più avanti: ma buona la prima, con dei caveat. Un coro di voci diverse tra loro, che spazia dal cantautorato alla Phoebe Bridgers de i Nepobaby, il gusto per la festa di Buckwise, passando per la visionarietà elettronica dei Kyoto, le serate in disco con RIP fino a finire agli archi infiniti del violino di Laura Masotto, all’hyper pop di Emma. Diverse si, magari non troppo da tutto ció che spazia nell’universo della produzione musicale. Ma qui siamo tra i giovani, e grazie a Dio, possono essere sempre contaminati più a fondo degli adulti.

Ah, e un pensiero anche a tutti gli stage diver che si sono fatti trasportare da non so quante mani in Piazza Castello. In breve, un’edizione ricca di voci, input, intensa soprattutto per chi, come la sottoscritta, dalle due di pomeriggio era nell’area camping a sentire i nuovi emergenti e a valutarli per il premio promosso dal nuovo IMAIE. Ma si sa, la Sicilia, soprattutto quella delle aree rurali dell’antica Ypsigro, educa alla resilienza e alla resistenza, almeno fino a fine festival. Ci vediamo nella nostalgia del 2025, Ypsigrock.

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Dall’Adriatico centrale (quello forte e gentile), trapiantata a Milano passando per anni di casa spirituale, a Roma. Di giorno mi occupo di relazioni e istituzioni, la sera dormo poco, nel frattempo ascolto un sacco di musica. Da fan scatenata della trasparenza a tutti i costi, ho accettato da tempo il fatto di essere prolissa, chiacchierona e soprattutto una pessima interprete della sintassi italiana. Se potessi sposerei Bill Murray.

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