Live Report – The Black Keys @ Palaolimpico Torino – 01/12/2012
Articolo di Karen Gammarota | Foto di Marco Cometto
Il live dei Black Keys non è stato un semplice concerto. È iniziato più come un esercizio di problem solving per chi, come la sottoscritta, non era al corrente dello sciopero dei trasporti indetto a Torino e ha iniziato un lungo pellegrinaggio a piedi (con un clima che non definirei clemente) tra le vie del regale capoluogo piemontese. Dopo un percorso tutto sommato piacevole, scandito da pronostici sulla scaletta, sane chiacchiere con gente randomizzata e giochi a indovina-chi-sta-andando-al-Palaolimpico, giungo finalmente all’imponente location di Corso Sebastopoli (contattatemi per indicazioni stradali, ndr) riuscendo, ahimé, ad ascoltare solo gli ultimi (gradevolissimi) pezzi dei Maccabees (come è successo al nostro amico Luca), che mi paiono tutto fuorché intimiditi dall’esigente pubblico che hanno di fronte a sé.
Dopo una mezz’oretta di fremito e ola tra le tribune, durante i quali cerchi di spiegare a chi ti telefona che non sei a un concerto dei Black Eyed Peas, appaiono sullo schermo le due ombre giganti di Daniel Auerbach e Patrick Carney che, in linea con le setlist proposte in giro per il globo, si materializzano sul palco attivando il torello scatenato di Howlin’ For You. Dopo i saltelli a braccetto coi vicini ho bisogno di respirare un po’… ma è un’impresa impossibile: Dan mi lascia davvero senza fiato trascinandomi per mano in un vortice libidico e sensuale con Next Girl e creando un danno non indifferente al mio apparato fonatorio con Run Right Back. La fiamma del blues divampa poi in Same Old Thing, che prelude alla doppietta di El Camino Dead and Gone + Gold on The Ceiling, uno dei momenti di maggior partecipazione delle migliaia di presenti. Un po’ delusa dall’assenza del coro gospel di donnone black presente nel mio immaginario per “Gold”, mi tocca unirmi ai tamarri po’ po’ po’ che seguono l’ormai inconfondibile tastiera del pezzo. Niente fronzoli, poche parole e qualche ringraziamento: in Thick Freakness e Girl is on my Mind sotto i riflettori c’è solo un uomo, schiena curva, che quando suona ci mette l’anima, che se potesse farebbe l’amore con quella chitarra, che quasi non ha più il controllo delle sue dita. Il pathos non perde di intensità con Your Touch, l’elegiaca Little Black Submarines, che ci racchiude tutti in una megabolla magica e luminosa, e un’altra hit del filone garage, Money Maker.
Particolarmente riuscita è Strange Times, pezzo in cui emerge l’inossidabile alchimia tra i due mostri di Akron, che non hanno nemmeno bisogno di uno sguardo per intendersi alla perfezione. Interessante è, inoltre, l’irregolarità ritmica creata da Patrick e volutamente ricercata nelle esecuzioni, che conferisce una personalità soul più sofferta all’insieme della performance. Se le acque si calmano con Sinister Kid, riprendiamo a cantare a squarciagola su Nova Baby, mentre Ten Cent Pistol è una di quelle canzoni che senza sigaretta non rende e in cui vorrei tanto essere una fumatrice convinta. Seguono She’s Long Gone, l’alquanto smollata Tighten Up e, senza dubbio, la più attesa dal pubblico: Lonely Boy, dove con quelle bacchette magiche Patrick fa davvero miracoli. L’encore si apre con due enormi palle a specchi rotanti che gettano luce a trecentosessanta gradi sulle note di Everlasting Light, e si chiude subito dopo sui riff reboanti del capolavoro I Got Mine, in cui si raggiunge l’apice di questa serata.
Più di un semplice concerto, si diceva. Un viaggio per l’Ohio. Surreale, rovente, dannato.
SCALETTA (1 DICEMBRE 2012 – TORINO)
HOWLIN FOR YOU
NEXT GIRL
RUN RIGHT BACK
SAME OLD THING
DEAD AND GONE
GOLD ON THE CEILING
THICK FREAKNESS
GIRLS ON MY MIND
YOUR TOUCH
LITTLE BLACK SUBMARINES
MONEY MAKER
STRANGE TIMES
SINISTER KID
NOVA BABY
10 CENT PISTOL
LONG GONE
TIGHTEN UP
LONELY BOY
EVERLASTING LIGHT
I GOT MINE
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