Articolo di Jennifer Carminati | Foto di Luna La Chimia
Nuovo tour autunnale europeo per i Fear Factory, una delle più importanti metal band degli anni Novanta: guidati da Dino Cazares e con l’italiano Milo Silvestro al microfono dal 2021, si sono esibiti al Santeria Toscana 31 di Milano, ieri sera giovedì 16 novembre 2023, e domenica 19 al New Age Club di Roncade (TV), durante il loro DisrupTour che sta raccogliendo apprezzamenti ad ogni data.
Le serate saranno aperte da Ghosts Of Atlantis, Ignea e Butcher Babies, guidate dalle scatenate Heidi Shepherd e Carla Harvey, unico gruppo che riesco a vedere prima dei nostri, causa impegni personali che non mi hanno permesso di arrivare prima al locale.
Il Santeria, come spesso viene abbreviato, non è solo un locale con bar e cucina e dove si organizzano eventi, ma è un vero e proprio spazio di coworking, dove trovano ragione di esistere un teatro, uno shop e persino un atelier artistico. Zona Porta Romana o Bocconi, dipende quale mezzo preferite, se la metro o il tram, è facilmente raggiungibile coi mezzi, un po’ meno per chi arriva in macchina e deve andare alla caccia di parcheggio, ma per fortuna questo non è mai stato un mio problema. Ovviamente delle tante versioni del locale noi amanti dei concerti preferiamo quella di stasera, con un impianto audio e luci che nulla ha da invidiare ai ben più noti templi della musica live milanese.


Butcher Babies
Dopo una giornata in ufficio piuttosto lunga e impegnativa, arrivo al locale che sono quasi le 20.30, giusto il tempo di prendermi una birra e scambiare quattro chiacchierare coi numerosi amici e conoscenti che ritrovo qui.
Poco dopo il mio arrivo irrompono sul palco le Butcher Babies, definite “la band più sexy del pianeta”, grazie alle due frontwoman Heidi Shepherd e Carla Harvey che hanno da sempre monopolizzato l’attenzione di tutti, chissà come mai.
Stasera però sul palco vediamo solo la bellissima Heidi, e non è stato detto il perché non ci fosse Carla, speriamo sia tutto ok e non ci siano attriti all’interno della band. Nessuna parola spesa riguardo questa assenza fondamentale mi fa pensare, e se il duo scoppia, la band anche, non c’è dubbio.
Dal punto di vista musicale le Butcher Babies sono una miscela, non troppo originale a mio parere, di heavy metal con all’interno molte influenze: si va dal groove al djent, passando per il new metal e persino sfuriate death, nel growling tiratissimo della frontman oltre che nei riff di chitarra di Henry Flury. A proposito, c’è anche la band avete ragione: al basso troviamo l’italiano Ricky Bonazza mentre alla batteria Chrissy Warner, artefici di una più che degna prestazione.


Tutti gli occhi però sono per Heidi, che sul palco è davvero una furia incontenibile: energica, aggressiva ma allo stesso tempo accattivante e sexy, e nulla da dire sulla voce, sia nel growl che nelle parti più pulite ci sa fare eccome, accompagnando il tutto con un headbanging sfrenato. È davvero molto carismatica, risultando spontanea, e non è cosa da poco, oltre che estremamente brava nel coinvolgere il pubblico, grazie anche alla collaborazione dell’amico Francesco chiamato a più riprese, in mosh pit e circle pit sfrenati; uno di questi si viene a creare proprio attorno a lei quando ha persino il coraggio di buttarsi in mezzo ai suoi fan durante Spittin’ Teeth, davvero cazzutissima la ragazza.
L’ esibizione è trascinante, fila via liscia, un brano dietro l’altro a ripercorrere la loro carriera, fatta di brani potenti come Monsters Ball, King Pin, Beaver Cage e It’s Killing time, Baby! o la malinconica Last December, cantata da Heidi nel silenzio quasi totale del pubblico, rispettoso dell’intimità di questa canzone che dedica alla musica e ai loro fan, che le han salvato la vita in più di un’occasione.
I 40 minuti a loro disposizione terminano con Magnolia Blvd, brano che le rappresenta in pieno, perfetto per congedarsi dal pubblico entusiasta che sta via via riempiendo il locale.
La loro prestazione nell’insieme fa capire, come cantava l’altrettanto prorompente Sabrina Salerno, che, “oltre alla gambe c’è di più”, non moltissimo, ma qualcosa di buono va riconosciuto loro.
Resto comunque della mia idea, ovvero che, se questo gruppo fosse composto da soli uomini non avrebbero assolutamente questo successo.
Non per nulla, son state definite le “playmate dell’heavy metal”, e anche se non si esibiscono più con dei copri capezzoli addosso, e questa sera abbiamo visto solo una di loro all’opera, l’aspetto visivo dei loro show e l’avvenenza fisica che hanno non possono essere messi in secondo piano rispetto alla musica, che di fatto, ha gran poco da dire.


Fear Factory
Durante il cambio di strumentazione sul palco mi guardo attorno e vedo un pubblico piuttosto eterogeneo sia in termini di età che di stili. A pensarci bene, ci sta tutta questa situazione, perché gli headliner della serata, ovvero i Fear Factory, sono in giro dal 1990, con il chitarrista Dino Cazares come unico rimasto della formazione originaria, ma pur sempre oltre trent’anni son passati dal seminale Soul of a New Machine (1992).
Con la loro discografia, che vede tra gli altri, Demanufacture (1995) e Obsolete (1998) come pietre miliari imprescindibili per ogni metallaro che si rispetti, sono stati capaci di influenzare il sound di moltissimi gruppi successivi, che a questi signori del metal, devono davvero tanto.
Il gruppo industrial metal statunitense guidati dal grande Dino Cazares, un po’ scazzato questa sera e decisamente poco incline ad incontrare i fan a fine show, e con il nostro Milo Silvestro alla voce da un paio di anni, stanno girando l’Europa, per promuovere direi la rinascita del nome Fear Factory, piuttosto che un’uscita discografica, visto che dall’ultimo album in studio, Aggression Continuum (2021)ci proporranno solo Disruptor, accolta piuttosto sottotono dal pubblico.


Ci colpiscono, senza risparmiarsi un attimo, con una scaletta fatta per i più nostalgici, che ripercorre un po’ tutta la loro carriera, costellata di successi e qualche piccolo scivolone, diciamocelo pure, il disco di remix Remanufacture nel 1997, se lo potevano anche risparmiare.
Appena appresa la notizia che i Fear Factory avrebbero fatto tappa a Milano ho subito segnato la data sul calendario, perché ero davvero curiosa di rivederli dopo tanti anni e soprattutto, con la nuova formazione con Milo Silvestre dietro il microfono e di cui tutti parlano gran bene, sin dall’esordio.
E a tal proposito, diamogli l’alibi di un po’ di inesperienza sul palco, vista la giovane età (classe 1987) e forse anche la tensione e pressione di essere col pubblico di casa, ma il nostro Milo non è stato perfetto nell’intonazione e l’emozione nella sua voce era palpabile. Grandi sorrisi e un continuo contatto con le prime file e, soprattutto, il grande orgoglio ostentato più volte in maniera umile, di far parte di un gruppo che è storia, e questo basta e avanza per amare questo giovane frontman con tanta strada davanti a sé ancora da percorrere e un peso sulle spalle non indifferente da portarsi appresso.
I Fear Factory sono uno di quei gruppi che hanno segnato la vita di molti metalheads, con qualche capello in meno e qualche chilo in più sulla pancia magari, ma fedelmente qui presenti per dare il giusto tributo ad una band che ha fatto la storia del metal e che non hanno di certo deluso le aspettative, a partire come detto dalla scaletta scelta. Certo, la formazione ha subito vari cambiamenti, alcuni più fortunati di altri, ma il loro sound è un marchio di fabbrica inconfondibile che merita tutto l’attaccamento dei fan di vecchia data (e non solo) accorsi questa sera.
Pete Webber è il primo a salire, e si accomoda sul proprio sgabello dietro un drumkit piuttosto imponente, poi il bassista Tony Campos e infine gli acclamatissimi Dino Cazares e, che ve lo dico a fare, l’italiano Milo Silvestro, chiamato a gran voce già da qualche minuto.


Accolti da un tripudio generale e dopo un’intro parlata, iniziano a spron battuto con Shock e Edgecrusher, da Obsolete ed è subito il delirio totale. Da questo capolavoro, che tutti qui abbiamo ancora ben in mente nonostante siano passati molti anni dall’uscita, ripescheranno altri due brani, Freedom or Fire e Descent, accolti nell’entusiasmo generale anche questi, a dimostrazione che il metallaro non dimentica, e la fede nella musica che amiamo è totale e non sente il tempo che scorre.
Il motivo per cui i Fear Factory non sono mai stati tra i miei ascolti frequenti è presto detto: album dopo album la componente orecchiabile e melodica delle loro canzoni è aumentata sempre di più, a discapito della violenta cattiveria e dal sound innovativo che li contraddistingueva all’inizio e che preferisco tutt’ora.
Con Mechanize (2010), dal quale ci propongono solo il thrash furioso di Powershifter, cantata da tutti, un po’ verso questa direzione erano tornati, per poi virare definitivamente verso altri lidi dove personalmente, non li ho seguiti più.
La potenza di canzoni come Linchpin e What Will Become? da Digimortal (2001) è a dir poco deflagrante.
E non c’è limite alla devastazione, quando partono le prime note di Archetype, iniziano all’unisono anche i cori ripetuti ossessivamente di “Open your eyes” urlati a squarciagola da tutto il Santeria quasi colmo e tracotante gioia e coinvolgimento esasperati. In mezzo al pit ho visto abbracci e sorrisi compiaciuti di gente che magari neanche si conosce, ma che la musica come sempre contribuisce ad unire.
Quando arriva il momento di Martyr, purtroppo unico estratto dal loro album di debutto, con il suo inconfondibile thrash/death, si scatena un pogo micidiale tra i presenti ormai esaltatissimi per la prestazione che i nostri ci stanno regalando da oltre un’ora ormai.
Da quel Demanufacture (1995) che tutti qui abbiamo consumato di ascolti, oltre all’immancabile titletrack ci fanno ascoltare Zero Signal, divenuta anche colonna sonora di un videogioco;neanche il tempo di finirla, che dal pubblico si alza unanime un inno: “I don’t want to live that way” e indovinate che brano segue in scaletta? Replica ovviamente, un altro capolavoro indiscusso dei nostri che dal vivo rende sempre tantissimo.
Purtroppo, non fanno Self Bias Resistor, uno dei miei brani loro preferiti in assoluto, e forse il tempo per un paio di pezzi in più lo avevano anche; ma ci accontentiamo di questi 90 minuti tiratissimi all’ennesima potenza, con un coinvolgimento totale e continuo del pubblico che sinceramente non vedevo da parecchio tempo.
Ci salutano con Resurrection, l’ennesimo brano estratto dal loro terzo album già menzionato: dedicato a tutti noi e alle nostre battaglie più o meno quotidiane più o meno gravi e importanti che viviamo e da cui, con l’aiuto della musica “che se cadi ti tira sempre su” cit.Milo Silvestro, possiamo uscirne e risorgere dalle nostre ceneri, come la più bella della fenici.
Un titolo per il brano finale che pare proprio una vera dichiarazione d’intenti per i Fear Fctory che se ne vanno tra gli applausi di un pubblico entusiasta, che pare quasi incredulo per la qualità dello spettacolo al quale abbiamo appena assistito e ci spiace solo sia già finito.
Visionari e sperimentali i Fear Factory sono stati la industrial metal band per eccellenza che oggi ha ripercorso insieme a noi una carriera ultratrentennale fatta di vicissitudini e avvicendamenti vari per quanto riguarda la formazione, mantenendo però un sound del tutto riconoscibile e che li contraddistinguerà sempre.
Semplicemente devastanti.
Clicca qui per vedere le foto dei Fear Factory in concerto alla Santeria Toscana 31 di Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)
Fear Factory: la scaletta del concerto al Santeria Toscana 31 di Milano
Shock
Edgecrusher
Recharger
Dielectric
Disruptor
Powershifter
Freedom or Fire
Descent
Linchpin
What Will Become?
Slave Labor
Archetype
Martyr
Demanufacture
Zero Signal
Replica
Resurrection
Butcher Babies: la scaletta del concerto al Santeria Toscana 31 di Milano
Backstreets of Tennessee
Red Thunder
Monsters Ball
King Pin
Wrong end of the Knife
It’s Killin’ Time, Baby!
Beaver Cage
Spittin’ Teeth
Last December
Magnolia Blvd

