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The Kids Are Alright: 60 anni di THE WHO in mostra a Piacenza

C’è tempo fino al 5 novembre per visitare l’esposizione che raccoglie memorabilia ma anche opere artistiche dedicate all’intramontabile band britannica. Una iniziativa da non perdere per gli appassionati (e non solo), a ingresso gratuito e con una finalità più che lodevole. Ne abbiamo parlato con la curatrice, Eleonora Bagarotti

Dalla Swinging London all’operosa Piacenza il passo può essere molto breve. Per percorrerlo basta fare un salto alla Galleria Biffi Arte e immergersi nei quasi sessant’anni di storia (l’anniversario esatto cadrà infatti nel 2024) dei The Who, una band che non ha bisogno di presentazioni, considerato il posto ricoperto da Pete Townshend, Roger Daltrey, John Entwistle e Keith Moon nel pantheon del rock mondiale. La mostra “The Kids Are Alright” racconta questi sei decenni con immagini inedite e ufficiali concesse dai fotografi e dagli stessi membri del gruppo, insieme a riviste, oggetti da collezione, curiosità e opere di artisti contemporanei, tutti ovviamente amanti della musica degli Who, realizzate espressamente per l’esibizione emiliana: Marco Botti, Francesco Cabras, Francesco Cervelli, Andrea Clanetti, Gianluigi Colin, Mauro Di Silvestre, Matt Dillon (sì, proprio lui), Danilo Filios, Maria Assunta Karini e Francesco Paolo Paladino, Francesca Orelli, Silvia Rastelli, Natalia Resmini, Corrado Sassi, Scimon e Kosmo Vinyl.

Alla mostra si affianca anche un catalogo in doppia lingua (italiano e inglese) con immagini esclusive dei quattro e delle opere artistiche con testi, analisi e racconti: i proventi dalla vendita andranno a favore del Teenage Cancer Trust, progetto benefico sostenuto dalla band. La mostra resterà aperta fino a domenica 5 novembre, a ingresso libero.

The Who in concerto a Firenze Rocks 2023, foto di Roberto Finizio

A ideare e curare l’iniziativa ha pensato Eleonora Bagarotti, vera “rock girl” e fan storica del gruppo, scrittrice appassionata di musica (con all’attivo numerosi libri a tema, tre quelli dedicati solo agli Who) e giornalista del quotidiano Libertà. A lei abbiamo chiesto di raccontarci come una passione è diventata una mostra, che potrebbe presto essere replicata in altre città, e qualche aneddoto della sua lunga liason con i quattro di Londra.

È una mostra che celebra gli Who, di cui lei è notoriamente una grande e appassionata esperta. Come è nata l’idea? Il 60esimo anniversario è stata l’occasione per realizzare un progetto che era in testa già da tempo?

L’idea di celebrare gli Who con la mostra “The kids are alright”, la cui anteprima è a Piacenza con la speranza che diventi una sorta di “format” itinerante, si è concretizzata attraverso l’incontro con amici artisti di vecchia data che amavano e conoscevano profondamente la band. E, definitivamente, incontrando Pete Townshend dietro le quinte del concerto degli Who a Firenze. L’idea nasce per celebrare i 60 del gruppo con un taglio che permetta di far risaltare il rapporto tra Estetica e Arte, da sempre incluso nella produzione degli Who: basti pensare alle copertine di “Tommy” e “Face Dances”.

Con un’esposizione a Piacenza gioca in casa. Come ha accolto la città questa immersione nel mondo della band britannica?

Piacenza ospita l’anteprima quasi per caso. Dopo sei anni a Londra e due negli Stati Uniti, da anni ormai risiedo e lavoro a Piacenza, dove sono nata. La galleria Biffi Arte ha accettato, tra un’esposizione di quadri del Panini o di incisioni di Rembrandt, di ospitare un percorso decisamente più pop. Stiamo avendo visitatori da tutta Italia, alcuni dall’estero – di passaggio a Milano, che si fermano apposta a Piacenza perchè appassionati degli Who -, alcuni piacentini e molte scolaresche, studenti dei licei artistici e musicali in particolare.

È mai riuscita a conoscere di persona Pete & company? Era anche lei una Mod?  

Ho conosciuto Pete Townshend a 14 anni ed è stato l’evento che ha cambiato la mia vita. Lo aspettavo fuori dai suoi studi di registrazione mentre componeva e registrava, l’ho atteso per anni, tutte le estati quando andavo a Londra per studiare al college, incrociando molti altri artisti – da Mick Jagger a Paul McCartney e Jeff Beck… L’ho raccontato anni fa in un libro intitolato “Magic Bus – Diario di una rock girl” (Editori Riuniti) e il programma “Le Ragazze” ha dedicato di recente una puntata alla mia storia.
Non sono mai stata una modette, ma ovviamente conosco il movimento Mod, incluso quello italiano – proprio in questi giorni i torinesi Statuto hanno sfornato un nuovo singolo. Ridurre il genio musicale di Pete Townshend, e l’importanza degli Who, al Mod sarebbe però relativo, anche se per me “Quadrophenia” è una rock-opera meravigliosa, che parla al cuore dei mods e a tutta l’umanità dotata di buone orecchie.

Matt Dillon ha realizzato insieme ad altri artisti contemporanei opere connesse alla mostra. Sappiamo essere tutti intellettuali uniti dall’amore per gli Who, tra cui figura il celebre attore americano, ora anche pittore pop-espressionista. Ci racconta qualcosa in più?

Matt Dillon dipinge da sempre ed io l’ho sempre apprezzato anche come pittore. È appassionato di musica, conosce tanti generi e adora la musica latina. Matt è nominato nel brano del 1985 intitolato “After the fire”, scritto da Townshend e registrato dapprima da Roger Daltrey e poi proposto da Pete e dagli Who in alcuni live. Il riferimento è al suo personaggio in “Rusty il selvaggio”, che soffre per l’abbandono della madre, l’alcolismo del padre e la malattia del fratello. Una fragilità che rimanda a quella di Tommy e, per certi aspetti, Jimmy, sicuramente con tratti autobiografici dell’infanzia di Pete. Dillon si è reso disponibile a venire a Piacenza. Tuttavia, vista la sua agenda attoriale, accadrà dopo la chiusura della mostra. Ma lo accoglieremo ugualmente, nel caso!

The Who in concerto a Firenze Rocks 2023, foto di Roberto Finizio

I proventi dalla vendita del catalogo, che comprende anche immagini esclusive degli Who, saranno devoluti a Teenage Cancer Trust, un’associazione benefica inglese che si occupa di malati di cancro dai 13 ai 24 anni di età e che sta molto a cuore alla band. Una scelta importante, soprattutto in questo momento storico in cui i tumori giovanili sono spaventosamente in aumento. Un buon motivo in più per portarsene una copia a casa?

La gratuità d’ingresso alla mostra e i proventi benefici del catalogo riflettono la filosofia del gruppo, il messaggio che gli Who rappresentano a livello sociale e non solo musicale. Oltre alle foto inedite e alle opere, il catalogo non è affatto didascalico: contiene racconti che ruotano attorno all’amore per il gruppo, miei, di Gabriele e Marco Zatterin, che sono il figlio musicista e il padre giornalista; inoltre, di Francesco Cabras, scrittore, regista e fotografo che segue Townshend da moltissimi anni. Ci sono approfondimenti analitici, ma si tratta di un volume letterario, in cui, secondo me, in tanti potranno riconoscersi attraverso le nostre storie. Ho voluto fortemente – è stata una mia scelta, all’inizio mi era stata proposta un’importante casa editrice – che il catalogo venisse pubblicato per sostenere il Teenage Cancer Trust. Gli Who sostengono, ormai da decenni, alcuni reparti ospedalieri e laboratori di ricerca dedicati agli adolescenti che si ammalano di cancro. Si erano infatti accorti, vedendo alcuni giovani fan ammalarsi, che i ragazzi erano ricoverati insieme agli adulti e alle persone anziane. Dato che gli adolescenti sono da sempre al centro delle loro opere discografiche, hanno avviato questa realtà e devolvono moltissimi soldi a decine di ospedali disseminati in Inghilterra e negli Stati Uniti. Nel nostro piccolo, daremo tutto ciò che raccogliamo.

Qual è, secondo lei, il “pezzo”, o i pezzi più imperdibili della mostra?

 Credo che ogni pezzo della mostra sia emozionante, dipende davvero dalla sensibilità e dall’interesse di chi la visita. Io stessa cambio idea a seconda del giorno! Certo, l’unica vespa originale del film “Quadrophenia”, il cofanetto originale di “Lifehouse” e il flipper dello studio di registrazione a Battersea sono già un bel triplete.

Cosa l’ha fatta appassionare agli Who? Cosa hanno più degli altri e chi sono oggi i loro eredi?

Gli Who sono l’unico gruppo composto da quattro personalità artistiche mastodontiche e ben miscelate: Pete Townshend è tutto anima, rabbia e cuore; Roger Daltrey trasuda carisma, sesso e spiritualità; Keith Moon è una cascata di ritmo, ironia, follia geniale e John Entwistle il più grande bassista rock, un tuono dotato di aplomb. Io credo che Townshend non sia solo un grande songwriter, ma un genio della composizione del Novecento, che altre band non hanno avuto, non così. Eredi? There is no substitute…

Arcana edizioni è stato un pioniere delle biografie musicali. Lei che è una dei suoi autori (anche nel caso degli Who), che esperienza ha avuto con una realtà così amata dagli appassionati?

Con l’editore Arcana sono stata fortunata: la prima persona con cui ho lavorato è stata Chiara Veltri, la mia fantastica editor all’epoca di “Pure and Easy”, un poderoso volume di testi commentati con i contributi di Pete Townshend; la seconda è Gianluca Testani, direttore editoriale che capisce subito se un progetto vale senza bisogno di troppe parole. Sembra un ossimoro, dato che pubblica libri, invece significa avere fiuto, cogliere al volo ciò che neppure una sinossi scritta e ripetuta all’infinito saprebbe spiegare.

La rivista americana Rolling Stones scrisse che “gli Who formano, con i Beatles e i Rolling Stones, la trinità del rock”. In 60 anni la band britannica guidata dal compositore e chitarrista Pete Townshend ha cavalcato la sottocultura mod, definito per la prima volta il genere rock opera con Tommy Quadrophenia e tenuto concerti incredibili – fino al recente tour che ha toccato anche l’Italia con Firenze.

Le canzoni di Pete Townshend, grazie all’interpretazione vocale di Roger Daltrey e alla sezione ritmica più energica della storia, hanno dato voce, più di ogni altra band, alla rabbia e alla disperazione del mondo giovanile. Da “My Generation” a “My Generations”, come suggerisce il racconto di Marco e Gabriele Zatterin, due tra gli autori che hanno contribuito con immagini e scritti a questa iniziativa. Tra loro c’è anche il fotografo e regista Francesco Cabras, che sarà protagonista, insieme a Zatterin e a Bagarotti, di alcuni incontri d’approfondimento non solo musicale, ma sull’impatto artistico e visuale che il gruppo ha avuto nella cultura e nella società degli anni Sessanta e Settanta in particolare. Sono in programma visite guidate e iniziative collaterali con ospiti speciali, le cui date saranno annunciate in futuro. 

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