Long live, long live, long live the king of mercy
Jonathan è tornato dal mondo dei morti ed è di nuovo in tour.
A 25 anni dalla sua uscita discografica Blackie Lawless decide di riportare sul palco le storie della famiglia Steel, il suo capitolo compositivo più riuscito.
È un’occasione da non perdere perché il buon Blackie ha ormai sfondato l’ingresso nei sessanta e, nonostante un’intensa attività live, non è solito variare molto in quanto a repertorio durante i suoi concerti.
Non potevo quindi mancare al Live di Trezzo, seconda di due date nel nostro paese dopo l’esibizione di mercoledì all’Estragon di Bologna, per ascoltare dal vivo alcuni pezzi che sono la spina dorsale di una storia bellissima, una rock opera perfetta, troppo sottovalutata al di fuori dell’ambiente hard rock. Non sono l’unico a pensarla così e il locale è gremito.
Sono da poco passate le 22 quando la band s’impossessa del palco e le note di “The Titanic Overture” iniziano a diffondersi nell’aria circostante.
Blackie indossa una maglietta con un 35 stampato sul retro e passa buona parte dell’intro dandoci le spalle, come a ricordarci che, tra alti e bassi, lui è in giro da ormai quasi quattro decadi e che la pensione è ancora lontana (per i venditori abusivi di magliette gli anni sono 36…).
Quando Blackie inizia a cantare è magia, la voce c’è e sembra più in palla delle ultime apparizioni. Troppo spesso sentiamo cantanti soffrire nelle esibizioni di fine carriera nel tentativo di risultare ancora credibili mentre la sua inconfondibile voce sembra essere rimasta la stessa del 1992.
A completare la formazione di questa sera il batterista Aquiles Priester, noto ai più come drummer degli Angra nel periodo post Matos, e gli ormai stabili Doug Blair e Mike Duda a chitarra e basso.
“The Crimson Idol” viene eseguito front-to-back, con l’aggiunta della narrazione (registrata) da parte dello stesso Blackie e la diffusione integrale su tre schermi del video del 1992 “The Story of Jonathan”. Uno dopo l’altro, canzone dopo canzone, sfilano così i personaggi su cui è imperniata la storia: l’amato fratello Michael (“The One”), il discografico senza scrupoli “Chainsaw Charlie”, la zingara di “The Gypsy Meets the boy”, lo spacciatore “Doctor Rockter”, i protagonisti di una storia che scortano Jonathan nelle varie fasi, dalla vita per strada della periferia cittadina (con la potente “Arena of Pleasure”) sino al raggiungimento dell’agognata ma effimera fama raccontata nel capolavoro “The Idol”, salvo poi prendere consapevolezza del marcio che ha intorno, tentando la ricerca di un conforto nella sua famiglia (“Hold On To My Heart”) che però non arriva e che lo induce al triste, ineluttabile, epilogo finale (“The Great Misconceptions Of Me”, insieme a “The Idol” il pezzo più bello dell’opera).
i 58 minuti di “The Crimson Idol” sfilano così in un attimo, senza quasi accorgesene, tra gli applausi scroscianti di un pubblico convinto e appagato nonostante qualche sbavatura di troppo, in un contesto scenico serio ed essenziale, così lontano da quel mood iniziale che fece la fortuna della band nel 1982.
Nella breve pausa, prima degli inevitabili bis, viene trasmesso un medley registrato (pasticciato ed evitabile a mio parere) contenente brevi snippet delle canzoni sulle quali i W.A.S.P. hanno costruito la loro carriera, un breve intermezzo che è servito come introduzione al ritorno sul palco di Blackie e soci per un mini set di quattro pezzi finali che ci ha regalato le esecuzioni di “L.O.V.E. Machine”, “Wild Child”, della “nuova” “Golgotha” e dello scontato finale con l’immortale “I Wanna Be Somebody”, come al solito quasi interamente cantata dal pubblico.
W.A.S.P. – scaletta del concerto di Trezzo sull’Adda (Milano) – 9 Novembre 2017
The Crimson Idol:
The Titanic Overture
The Invisible Boy
Arena of Pleasure
Chainsaw Charlie (Murders in the New Morgue)
The Gypsy Meets the Boy
Doctor Rockter
I Am One
The Idol
Hold on to My Heart
The Great Misconceptions of Me
Encore:
L.O.V.E. Machine
Wild Child
Golgotha
I Wanna Be Somebody
