Articolo di Silvia Cravotta
Grazie ragazzi. Grazie Brandon, grazie Ronnie, grazie Mark. Grazie ai The Killers tutti per aver portato a Milano una ventata di fresco buon rock nell’afosa calura della prima sera (ufficiale) d’estate, che neppure qualche goccia di pioggia caduta durante il concerto è riuscita a mitigare. Dopo questi due anni difficili, e tanti spettacoli rimandati, fa davvero bene al cuore vedere uno come il supercarismatico frontman (oltretutto Brandon Flowers è sempre un bel vedere!) fare avanti e indietro sul palco, con alle spalle una scenografia superessenziale e indosso un outfit minimal perché, in fondo, la buona musica basta e avanza per fare un grande show. Con i suoi oltre vent’anni di carriera e una lunga esperienza di live alle spalle, la band della fabulous Las Vegas non poteva certo deludere le aspettative del pubblico dell’Ippodromo per la prima e unica data italiana dell’Imploding The Mirage Tour al Milano Summer Festival, mentre tra l’altro a pochi passi di distanza – letteralmente – si esibiva la storia del rock, quelle Pietre Rotolanti che neppure il Covid è riuscito a fermare.
Al centro del palco una struttura luminosa a forma di infinito, che copre la tastiera dove più volte Brandon si fermerà a suonare. Un megaschermo sullo sfondo per proiettare video e immagini live della band e dei fan, tutti tendenzialmente trenta-quarantenni o con qualche anno in più. Tre coriste. Laser colorati ed esplosioni di nastri e/o coriandoli a più riprese durante l’esibizione. È stato questo ad accompagnare i The Killers nella loro esibizione milanese, partita subito bene con “My Own Soul’s Warning”, primo singolo dell’album del 2020 che dà il titolo al tour e decisamente un’ottima scelta con la sua trascinante musicalità, facile da cantare. Basta attendere un breve Enterlude per sentire la prima delle tante hit che in tutti questi anni questa band di rock alternativo, che dice di ispirarsi a U2 e Coldplay ma offre già da tempo una più che valida opzione, ha sparso per il mondo. D’altronde chi non ha mai sentito o cantato “When you were young” o “Jenny was a friend of mine” o “Somebody told me”? Alla fine sono come i riempipista in discoteca ed è quando partono che si alzano le mani, si alzano le voci e tante volte Brandon non ha neppure bisogno di cantare ma solo di ascoltare il pubblico che canta per lui.


Non va molto diversamente quando è il momento di un brano capolavoro come “A Dustland Fairytale”, dove l’accompagnamento non è solo vocale ma anche luminoso grazie ai tanti accendini – pardon, torce del cellulare – mentre tutti gridano a squarciagola di una tale Cinderella in un party dress. L’emozione non si interrompe quando Brandon con un foglio in mano si avvicina a Dave Keuning e comincia a intonare “Ti amo” di Umberto Tozzi in un italiano buffo che fa sorridere tutti, lui compreso, mentre contemporaneamente si canta tutti insieme il grande classico anni Ottanta. Dopo il momento cover, si ricomincia a rockeggiare con “Runaways”, “Read My Mind”, “Dying Breed e “Caution”. Brandon non si risparmia sul palco, sembra un modello con quei pantaloni neri aderenti e il giacchino corto. Corre da una parte all’altra, sale sui blocchi messi lì apposta ogni volta che può per ballare e cantare guardando negli occhi il suo pubblico, a cui si rivolge anche lui – come nei tanti concerti di questo periodo – ricordando tutto quello che abbiamo vissuto negli ultimi due anni e chiedendo pace in una sola parola, senza bisogno di riferimenti espliciti a quello che ci sta accadendo intorno. Il cantante passa così un’ora e mezza, senza allontanarsi mai dal palco, senza risparmiare un momento sulla sua voce, sempre con il sorriso sul volto madido di sudore. Come si fa a non cantargli “Happy birthday” tutti insieme visto che la tappa milanese ha coinciso con il giorno del suo 41esimo compleanno? E allora via al coro senza candeline, mentre qualcuno tra il pubblico alzava i cartelli con gli auguri, dimostrando grande lungimiranza nella preparazione per il concerto.


Accanto a Brandon, il gruppo si muove come un meccanismo perfettamente oliato ma bisogna dare il giusto riconoscimento alla grande performance di Ronnie Vannucci jr. – junior mica tanto, poi – che nei suoi momenti di solo pesta sulla batteria con tutta l’energia che ha in corpo, regalando momenti di eccezionale bellezza alle orecchie di chi lo ascolta. L’ultimo pezzo prima degli encore è un must, “All These Things That I’ve Done”, con quell’attacco riconoscibilissimo anche grazie alla famosa pubblicità di un marchio sportivo che lo ha fatto conoscere in tutto il mondo. I bis sono dei tris, in realtà, cominciando da una bellissima versione di “The Man” cantata a quattro voci con le coriste, e poi le immancabili “Human” e “Mr. Brightside”, decisamente un ottimo modo per salutarsi e dirsi – si spera – arrivederci.
In chiusura, una nota divertente: a fare da supporter band c’erano i The Lathums, gruppo indie proveniente da Wigan, Nord Ovest Inghilterra, come loro stessi hanno ripetuto più volte durante l’esibizione. A vederli sembravano quattro ragazzotti appena usciti da un college americano, anche se suonano insieme dal 2008 come ricorda il cartellone sistemato alle loro spalle, che per grafica e colori ricorda pure quelli delle confraternite di studenti negli States. Partono in sordina ma in poche canzoni esplodono, tirando fuori canzoni niente male, piacevoli virtuosismi con gli strumenti ma soprattutto un’energia che li fa chiudere esausti e sudatissimi, mentre da sotto il palco arrivano reazioni entusiastiche in risposta a una performance proprio interessante.
The KILLERS – la scaletta del concerto di Milano
My Own Soul’s Warning
Enterlude
When You Were Young
Jenny Was a Friend of Mine
Smile Like You Mean It
Shot at the Night
Spaceman
Somebody Told Me
This River is Wild
A Dustland Fairytale
Ti amo (Umberto Tozzi cover)
Runaways
Read My Mind
Dying Breed (with Rut seque)
Caution
All These Things That I’ve Done
ENCORE
The Man
Human (electro)
Mr. Brightside (50/50)
Foto Credits Rob Loud

