Articolo di Matteo Pirovano | Foto di Sonia Santagostino
Ieri pomeriggio sono arrivato in zona Santeria Social Club con ampio margine rispetto all’orario d’inizio previsto per il terzo show italiano dei Mudhoney, inserito in un trittico di date che li ha visti esibirsi nei giorni precedenti a Bologna e a Roma. Lo show di Milano, così come gli altri italiani, è andato sold out e le aspettative intorno alla band di Mark Arm e Steve Turner erano inevitabilmente elevatissime.
OK, la Santeria o il Locomotiv non saranno arene enormi, ma vi assicuro che, nelle otto esperienze precedenti, non mi era mai capitato di dover comprare un biglietto di un loro show con così largo anticipo. Mentre sorseggiavo una birra al bar è entrato dalla porta Mark, vagando per il locale come se fosse l’ultimo dei roadie. Non ho potuto che avvicinarmi a lui e fare le consuete due chiacchiere, ormai di rito visto che negli ultimi anni ho avuto la fortuna di incontrarlo e interagire con lui e gli altri ragazzi dei Mudhoney in più di un’occasione. Oggi Mark è un “ragazzo” che di anni ne ha ben 56 e le sue sembianze sono tutt’altro che “rock’n’roll”, con un occhialino da vista che gli conferisce un aspetto che lo avvicina di più a uno dei personaggi di Big Bang Theory che alla figura canonica della rock star.
Ma è solo apparenza perché quando gli occhiali vengono riposti nel camerino e Mark sale sul palco imbracciando la Telecaster inizia la metamorfosi e Clark Kent si trasforma in Superman.
La band è reduce dalla recente pubblicazione del nuovo disco Digital Garbage e inevitabilmente buona parte della setlist è stata incentrata sul nuovo lavoro.
Con Into the drink si accende la miccia di uno show deflagrante durante il quale vecchio e nuovo materiale si fondono insieme in una colata di note che travolge chiunque si trovi davanti agli amplificatori.
Il pogo si scatena già al primo pezzo e non si fermerà per tutta la durata dello show.
Sospinto da quest’onda di inebriante entusiasmo passo non so nemmeno come da un’anonima decima fila a una terza e in pochi secondi ad appoggiare le mani sul palco dove Mark, Steve, Dan e Guy stanno picchiando come forsennati sui rispettivi strumenti. Passano una dopo l’altra, incessantemente e senza pause, I Like it Small, Judgement, Rage, Retribution and Thyme con il suo riff pazzesco, la nuova bellissima Kill Yourself Live e la sua per nulla velata critica alla moderna società ormai schiava del digitale, l’inno Touch Me I’m Sick, la devastante Suck You Dry, You Got It, F.D.K e moltissime altre. Nel mentre parte del pubblico vola sul palco, fa un giro intorno a Mark e si rituffa nella folla. Il main set dura un’ora e venti minuti e le canzoni suonate sono ben 23! Giusto il tempo per rifiatare e i Mudhoney tornano sul palco per un bis di ben sette pezzi con un finale totalmente dedicato alle band dalle quali hanno tratto ispirazione per essere, ancora oggi, quella palpitante e inesauribile creatura da palco in grado di conferire alla rabbiosa Hate The Police dei Dicks, suonata sin dagli albori, lo stesso ardore di 30 anni fa. Un concerto bellissimo, grezzo, a tratti impreciso ma coinvolgente come pochi altri, a testimonianza del fatto che i Mudhoney danno sempre il meglio di loro nei posti più piccoli. I padrini del Seattle sound, quello primordiale, sono ancora tra noi e spaccano ancora come pochi altri!
MUDHONEY – La scaletta del concerto di Milano
Into the Drink
I Like It Small
Hey Neanderfuck
You Got It
Nerve Attack
The Farther I Go
Judgement, Rage, Retribution and Thyme
No One Has
Kill Yourself Live
Touch Me I’m Sick
If I Think
Next Mass Extinction
Suck You Dry
Please Mr. Gunman
Get Into Yours
Night and Fog
F.D.K. (Fearless Doctor Killers)
Oh Yeah
I’m Now
Paranoid Core
One Bad Actor
The Only Son of the Widow From Nain
21st Century Pharisees
Encore
Here Comes Sickness
Who You Drivin’ Now?
Sweet Young Thing (Ain’t Sweet No More)
Ensam i natt (The Leather Nun cover)
The Money Will Roll Right In (Fang cover)
Hate the Police (The Dicks cover)
Fix Me (Black Flag cover)

