Articolo di Serena Lotti | Foto di Andrea Ripamonti
Se è vero che “Non si diventa Mozart ma ci si nasce” e che il talento musicale è questione di geni, cromosomi e forse anche un pò merito del destino, allora Selah Sue è la perfetta rappresentazione di questo assioma.
Belga, 33 anni, un talento incredibile, una voce unica e potente come un lanciagranate, un’artista tormentata e dal fascino malinconico ed ipnotico. Selah è stata una ragazzina prodigio con all’attivo un disco di enorme successo già a 22 anni: ancora adolescente inizia a scrivere le sue prime canzoni, il suo album di debutto, Selah Sue pubblicato nel 2011 vende oltre 720.000 copie in Europa e la posiziona come l’erede ideale di artiste del calibro di Erykah Badu e Lauryn Hill. Un secondo album, Reason, uscito a tre anni di distanza, replica il buon riscontro dell’esordio. Poi una lunga pausa. Un’ascesa forse troppo vertiginosa per lei, che nel suo ultimo album, arrivato dopo 7 anni di silenzio, Persona non fa mistero della devastante depressione che ha vissuto. Nel frattempo, è diventata mamma di Seth e Mingus, avuti dal suo compagno e collega, il tastierista Joachim Saerens.
La serata è fin troppo fredda, il Circolo Magnolia che ospita il live, in inverno è una desolante location da film di Antonioni. Sale un pò di spleen. Entro e vedo poca gente, troppa poca gente. Una manciata di minuti prima dell’inizio del concerto non mi capacito del fatto che siamo quattro gatti. Il tendone del Magnolia winter version di per sè non è una venue proprio allegrissima e vedere quella desolazione in termini di pubblico mi procura un senso di ingiustizia. Non solo perchè Selah ha macinato 8 sold out in soli 10 giorni di tour e non si spiega perchè in una città come Milano non abbia fatto lo stesso, ma perchè non ti aspetti vedere disertato un concerto simile, di un’artista di quel calibro. Colpa di chi non l’ha sponsorizzata adeguatamente? Responsabile chi ha fatto del cambiamento climatico un fattore su cui pianificare l’agenda?
Non abbiamo tempo di valutare ipotetiche risposte quando una voce calda giunge da fondo palco, tutto è immerso nell’oscurità. Mentre i nostri occhi si abituano al buio Selah Sue arriva come una dea, una sorta di moderna Aurora 2.0 la cui luce si rinnova ogni mattina all’alba. Praticamente di colpo qualcuno accende il sole, una sorta di miracolo biondo in tuta oversize, guarda caso in giallo, la consistency cromatica stasera è un fatto. Chi conosce la cantante belga sa che il suo è un fare musica mixando e condensando più generi, un melting pot tra rock elettrico, hip-hop, soul-funk e reggae. E noi questi ingredienti ce li vogliamo mangiare tutti e Sanne Putseys aka Selah Sue ce li servirà tutti stasera, come una perfetta padrona di casa.
L’apertura con Just Because I Do con le sue elegantissime electro allusioni e gli accenni trip-hop scalda di colpo l’aria e su Black Part Love si libra un groove acchiappantissimo, complice anche la presenza sul palco di tre pazzesche coriste che sembrano uscite da un film di Tarantino. Selah Sue ha una potenza scenica incredibile e ce lo ricorda ancora sull’incendiaria versione di Peace of Mind che travolge con il suo piglio trip-hop uno sparuto pubblico sì, ma in stato di grazia. Con un intro corale echeggiante che si gonfia di atmosfere struggenti prima ma poi ad irrompere è un mood hip-hop, arriviamo tutti ad un livello superiore. Ed è ancora lo storytelling del primo disco con l’attesissima Ragamuffin con la prima parte solo chitarra a cui si aggiunge a metà brano la band (su quel parlato ragga old-school ho dovuto risollervarmi la mascella) e con la crepuscolare Fyah Fyah e la sua anima nu-soul, purissima, cristallina. Sul palco c’è una ragazza, l’amica di tutti, quella che bussa alla tua porta e ti chiede se “Ti va di parlare un pò, ho portato il vino e una chitarra“, Selah è una che si racconta, brano dopo brano, risata dopo risata, groove dopo groove. E lo fa ancora con l’ultimo lavoro, Persona, con le versioni intensissime di All the Way Down, Free Fall, e ancora su Alone, Togheter dove rientra per il secondo set: il palco diventa un perfetto dancehall del lunedì sera, lei con trench animalier e pantaloni in pelle nera, a metà tra Shania Twain e Gwen Stefani, balla. Lei balla, ammicca, ed il suo corpo è un bass drum dal quale escono bassi, colori, armonie, sorrisi contagiosi. Grazie ad un non meglio identificato problema tecnico che zittisce tutti gli strumenti della band (inizialmente pensavo fosse uno scratching acidissimo voluto) il Magnolia si spegne e diventa il salotto di casa della Signora Putseys. The show must go on ed ecco la backliner (una sosia di Selah Sue, anche con la stessa pettinatura ) discutere velocemente con Selah e portarle la chitarra per una versione improvvisata e senza microfono di Explanations. Magic moment. Siamo invitati ad immergerci in un silenzio surreale, mentre lei attacca il pezzo. Noi cantiamo nell’ideale ruolo di coristi “But I need explanations and some fitting solutions”. Stasera è l’unica volta nella vita in cui malediremo il velocissimo problem solving dei tecnici perchè avremmo continuato così fino al giorno dopo. Ci rimettiamo sulla strada del funky groove con Kingdom e Pills, dove sulle note di un pianoforte dolcemente distorto e sui frizzanti intrugli disco-pop parte un ballo collettivo. Dio quanto Selah ci sta rendendo cool stasera. Sui pezzi rappati facciamo le facce da cattivoni e scuotiamo le scapole, lei ci sorride, compiaciuta. La chiusura con un’epica, ipnotica e lunghissima This World.
Selah Sue ci ha regalato inaspettate incursioni r&b, jazz, hip-hop, ci ha aperto le porte del magico e scintillante mondo del pop e, grazie alla sua irresistibile e contagiosa energia e ai suoi angoli di malinconia struggente, ci ha confessato che la terapia del dialogo vocale, terapeutica e curativa, è stata la spinta che ha dato vita alle sue inesauribili idee. Le personali inquietudini, i dolori, le complessità dell’amore e la paura di non avere nulla da meritarsi da questa vita, diventano sul palco suoni, melodie, armonie, refrain, costruzioni sonore complesse. A rappresentare questo multiforme corollario emotivo e questi spaccati di vita vissuta sono stili musicali agli antipodi, dai tiri acchiappanti di funk e dei suoni roots, hip-pop, rap, dalle note acide di sound elettronici e dalla lezione antica e carezzevole del soul fino alla leggerezza della disco-music. L’affidarsi a quei generi nasce dalla sua naturale personalità, eclettica, curiosa, open minded, così come lo è la sua idea musica e le sue esperienze di vita.
Selah Sue ci ha raccontato come la musica si misuri ogni giorno con la consistenza delle cose, come possa essere curativa e come possa rappresentare un dialogo aperto e sincero con se stessi. Perchè la musica ci eleva, ci migliora, ci risolve, ci restituisce fiducia e ci fa capire, sempre e comunque, che ci meritiamo tutto l’amore che cerchiamo.
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SELAH SUE – La scaletta del concerto di Milano
- Just Because I Do
- Black Part Love
- Catch My Drift
- Raggamuffin
- There Comes a Day
- Peace of Mind
- Fyah Fyah
- Twice a Day
- All the Way Down
- Free Fall
- Alone
- Together
- Right Were I Want you
- Explanations
- Kingdom
- Pill
- This World