La serata inizia con i nostrani Dufresne che, supportati da molti di presenti, mettono in piedi una bella mezzora di show, sebbene penalizzati da dei suoni orrendi. La band appare abbastanza in forma con il solito Dominik in prima linea che cerca di far cantare i conosciutissimi ritornelli dei pezzi. Giusto il tempo di sparare qualche cartuccia come “Il Grande Freddo” e “Caffeine” ed è già ora di chiudere con la solita “Alibi Party”, cantata da tutti i presenti. Non di certo il loro miglior concerto, ma li abbiamo visti in azione talmente tante volte da non mettere nemmeno in discussione il loro effettivo valore. Aspettiamo il nuovo “Am:Pm” in uscita fra un mese per rivederli all’opera con anche qualche nuovo pezzo.
Cambio di palco veloce ed è giù tempo per gli Architects, autori di una prestazione pressoché perfetta ed apprezzatissima dai presenti che aumentano progressivamente con passare dei minuti. Poco da dire sulla prestazione del combo inglese, il loro mathcore è una vera e propria macchina da guerra splendidamente comandata da Sam Carter, uno che dal vivo dimostra la sua totale supremazia nei confronti di concorrenti come ad esempio Oliver Sykes dei Bring Me The Horizon sia in quanto a presenza scenica che in doti di screamer. Viene pescato molto materiale dall’ultimo e fortunato “Hollow Crown” come ad esempio le oramai famose “Early Grave”, “Numbers Count for Nothing” e “Follow The Water”, quest’ultima cantata da tutti i presenti. Una prestazione di grande spessore, che conferma definitivamente la sensazione che questi ragazzi nel giro di poco tempo potranno fare il definitivo salto di qualità.Appena gli UnderOath fanno il loro ingresso sul palco il pubblico incomincia subito ad inneggiare il buon vecchio Aaron che, come se fosse un concerto qualsiasi, si siede dietro alla pelli e svolge in silenzio il suo mestiere senza far trapelare più di tanto l’emozione. Il resto della band è come sempre in ottima forma e mette in piedi il classico ottimo show a cui abbiamo assistito in tutti questi anni con una setlist che pesca in maniera eterogenea dai tre dischi della band. Fa abbastanza discutere la scelta di lasciare dietro alla quinte due o tre pezzi cardine come “A Boy Brushed Red…” e “Reinverting Your Exit” a favore di un paio di canzoni d’atmosfera che dal vivo ovviamente rendono meno ma tutto sommato lo show ha retto dignitosamente lo stesso. C’è stato spazio anche per un pacato diverbio tra Spencer Chamberlain ed il solito idiota di turno che ha pagato il prezzo intero del biglietto giusto per manifestare il suo odio verso i cristiani: Spencer per fortuna si è dimostrato pacato e aperto al dialogo, invitando questa persona dietro alle quinte alla fine del concerto per discutere della cosa. Tra i momenti salienti dell’esibizione spuntano senza dubbio “In Regards Of Myself” , “Young And Aspiring” e “You’re Ever So Inviting” che vengono cantate da tutti i presenti a squarciagola. La chiusura è affidata alla splendida “Writing On The Walls” che chiude il concerto di stasera e parte della storia degli UnderOath, che da stasera dovranno cercare di andare avanti senza il loro membro principale.
Da segnalare anche che la band ha regalato a fine concerto parte degli strumenti usati stasera, scatenando battaglie tra i presenti per accaparrarsi questi ambitissimi oggetti.