Arcade Fire, Bologna, I-DAY Festival, 2 Settembre 2010
Facile spendere belle parole per gli Arcade Fire. Fin troppo facile, ora che tutti ne parlano bene. Celebrati dalla critica, osannati dal pubblico e venerati da ben più blasonati colleghi (U2 e Coldplay in primis) gli otto giovani fuoriclasse canadesi, se solo volessero, potrebbero già vivere di gloria sulla scorta di tre promozioni a pieni voti per altrettanti album pubblicati. Ma per nostra fortuna questo non accadrà e per molto tempo ancora la band di Montréal continuerà ad impastare dal nulla sontuose canzoni così come incandescenti esibizioni dal vivo, al pari di quella tenutasi in terra bolognese in occasione della decima edizione dell’I-DAY Festival.
A pieno titolo headliner della serata, esattamente alle 21.30, puntuali come le guerre, Win Butler & Soci rimarcano fin da subito il loro territorio dispensando agli 8000 presenti il frenetico pop-siderale di “Ready To Start”, anticamera ideale per le successive “Month Of May” e “Neighborhood #1”, per nulla inficiate dai temporanei problemi tecnici che ammorbano l’amplificatore del capotribù Butler. A rodaggio avvenuto l’epico incedere del rock onnicomprensivo del supercombo canadese conquista ogni più piccolo pertugio spazio-temporale attraverso l’ormai collaudata alternanza deflagrante di accordi, cori universali, cambi di registro melodici, voli pindarici strumentali e camaleontici mutamenti di formazione in corso d’opera come a voler telegrafare al mondo intero che otto talentuosi polistrumentisti alle prese con il rock te lo raccontano meglio di chiunque altro, senza sterili prefazioni o boriose note bibliografiche. Persino i 16 brani della scaletta riescono a dosare con accuratezza stilistica ed esaustività orchestrale tutti gli episodi migliori del trittico “Funeral/Neon Bible/The Suburbs” all’interno di una scarsissima ora e mezzo di concerto: da “Sprawl II” (monumentale omaggio sonoro alla new-wave di Blondie e Talking Heads) alle magnificenti fluttuazioni di “No Cars Go”, passando attraverso l’isteria-pop di “Haiti” fino al tripudio tribale di “Rebellion” che da par suo chiude gloriosamente la prima parte dello spettacolo.
Dopo appena cinque minuti di pausa il boato animalesco del preparatissimo pubblico dell’Arena Parco Nord accoglie il rientro di questo bizzarro manipolo di artigiani post-atomici del nuovo rock che, all’insegna del “tutti suonano tutto”, imbastisce un prevedibile finale tellurico sulle note di “Keep the Car Running” prima – deliziosamente impreziosita dalle decorazioni di ghironda della maestra cerimoniera Régine Chassagne – e dell’attesissima “Wake up” poi, glorificazione suprema del miglior rock epico da stadio sublimata dal coro liberatorio di pubblico e band in un turbinio orgiastico di luci, decibel e strumenti.
Ma, si sa, ahimé, le cose belle durano poco, e dopo i consueti saluti di rito l’oscura gola profonda del retropalco inghiotte in un sol boccone la band più in forma del momento e la sua verità musicale che per una sera di fine estate è stata provvidenzialmente anche la nostra.
1. Ready to Start
2. Month of May
3. Neighborhood #1 (Tunnels)
4. Crown of Love
5. Sprawl II (Mountains Beyond Mountains)
6. The Suburbs
7. Suburban War
8. Intervention
9. Modern Man
10. No Cars Go
11. Haïti
12. We Used to Wait
13. Neighborhood #3 (Power Out)
14. Rebellion (Lies)
15. Keep the Car Running
16. Wake Up