Articolo di Giulio Taminelli | Foto di Anfrea Ripamonti
Yngwie Malmsteen è uno dei pochi personaggi della storia della chitarra elettrica in grado di creare dibattito e fermento in tutto il mondo musicale. C’è chi lo ritiene un «guitar god», chi un semplice smanettone con manie di grandezza. Tutti però sono concordi su un fatto: Lars Johan Yngve Lannerbäck, questo il suo nome all’anagrafe, con il suo stile ha cambiato per sempre la figura del chitarrista solista.
Il Concerto
Due parole: veloce e ubriacante.
Per quanto Malmsteen sia un cultore della sua immagine, il concerto non lascia spazio per inutili fronzoli. Oltre venti tracce eseguite quasi senza sosta e a velocità altissima si abbattono sui presenti, piacevolmente storditi dalla quantità di note prodotte dalla chitarra dello svedese. Personalmente avrei preferito qualche pausa in più e del dialogo che non si limitasse ad un semplice “grazie” ma, lo sappiamo, questo è il carattere del personaggio. Quella che ho notato è stata piuttosto una certa “povertà” visiva. Nonostante i muri di testate Marshall alle spalle dei musicisti e la voluminosa (oltre che iper microfonata) batteria di Brian Wilson, lo spettacolo visivo si limiterà a qualche mossa classica e a due lanci di chitarra.


Il Gruppo
A supporto dello shredder nordeuropeo, tre musicisti d’eccezione: Nick Marino alle tastiere, Emilio Martinez al basso e il già citato Brian Wilson alla batteria. Tutti e tre membri stabili della band di Malmsteen, dimostrano incredibile affiatamento e dedizione alla causa.
In particolare, credo che Wilson sia il motivo per cui ogni traccia sia stata suonata, esattamente come da gusto di Malmsteen, almeno a venti o trenta bpm in più rispetto alla versione registrata. Un tritacarne dal doppio pedale facile in grado però di non scavalcare con i suoi martelli il protagonista della serata.
Dal canto loro, Marino e Martinez accompagnano egregiamente Malmsteen non solo musicalmente (cosa già di per sé difficile) ma anche nella tenuta di palco. Nei pochi pezzi cantati, spetta a loro la costruzione del coro melodico e, va detto, in questo la voce di Marino si dimostra eccezionale per qualità e forza.


La scaletta
Salvo tre tracce provenienti dall’ultimo album Parabellum, buona parte della scaletta sarà composta da medley o singoli pezzi provenienti dagli album attribuiti a Yngwie J. Malmsteen’s Rising Force, ovvero un numero ristretto di produzioni pubblicate tra il 1984 e il 2005.
Interessante la scelta di posizionare molti dei brani più celebri, tra cui Rising Force, Baroque & Roll e Far Beyond the Sun nella prima metà dell’esibizione, lasciando sul finale momenti come i soli dei vari componenti della band e i pezzi con una maggior componente emotiva ed esecutiva, tra cui una pregevole cover di Red House di Jimi Hendrix.


Lo show proposto da Malmsteen sicuramente non è adatto a tutti. A molte orecchie potrebbe risultare monotono o eccessivamente barocco senza motivo ma, per gli appassionati dello shredding, l’intero spettacolo non può che risultare una vera e propria manna. Peccato solo per la poca interazione vocale e visiva. Mi ripeterò, ma un concerto moderno non è e non deve essere fatto solo di musica. Ovviamente questa deve rimanere al centro dell’attenzione, ma in un’epoca in cui l’ascolto è accessibile a tutti, la vera sfida è quella di creare nel tempo a disposizione una connessione emozionale tra palco e pubblico.
Clicca qui per vedere le foto di Yngwie Malmsteen in concerto all’Alcatraz di Milano o sfoglia la Gallery qui sotto:
Yngwie Malmsteen – La scaletta del concerto di Milano
Rising Force
Top Down, Foot Down / No Rest for the Wicked
Soldier
Into Valhalla / Baroque & Roll
Like an Angel (For April)
Relentless Fury
Now Your Ships Are Burned
Wolves at the Door
(Si Vis Pacem) Parabellum
Badinerie (Johann Sebastian Bach)
Paganini’s 4th / Adagio
Far Beyond the Sun / Bohemian Rhapsody
Seventh Sign
Overture / Arpeggios From Hell
Evil Eye
Smoke on the Water (Deep Purple)
Trilogy (Vengeance)
Guitar Solo
Red House (The Jimi Hendrix Experience)
Fugue
Drum Solo
You Don’t Remember, I’ll Never Forget
Encore:
Black Star

