Foto di Claudia Mazza | Articolo di Nicolò di Berardino
C’è una domanda che mi sono posto spesso, soprattutto in quest’ultimo periodo, che mi tormenta: il punk è davvero morto? Questa domanda riecheggia nella mia mente in particolar modo dalla fermata di Lodi al Lorenzini District, propenso a godermi la serata, pronto per i Sum 41, ma con un occhio di riguardo. Vuoi per l’età dei componenti (la band è stata formata nel ’96), per il passato problematico con l’alcol di Deryck Whibley, per l’interrogativo che mi sono posto precedentemente, non mi aspettavo una performance alla pari dei vecchi live, quando il pop punk era ancora in voga: ma nonostante questi miei infelici pensieri, hanno quasi fatto sold out.
Una volta entrato nel vivo del concerto, l’apertura è degli Zebrahead, gruppo punk con influenze ska e rap fondato un anno prima rispetto agli headliner. Non sono gli ultimi arrivati, e gli spettatori lo sanno: minimo metà delle persone, tra cui molti under 20, ha cantato ogni canzone proposta dalla band californiana. Il loro live di Bologna al Locomotiv Club del giorno prima non sembra aver influito in nessun modo sulla prestazione, anzi, potrebbe aver dato una potenziale motivazione in più per suonare ancora meglio. Hanno lasciato che i presenti li cullassero facendoli sentire a proprio agio, ricambiando con una carica di energia vera e tangibile nell’aria, avvenimento non poi così scontato per i classici gruppi di supporto.
Il concerto effettivo prende vita con un sample di “America, f#ck yeah” (palesemente ironico) e man mano che i minuti passano, la folla è sempre più propensa a seguire le richieste di poghi e circle pit già dal terzo brano in scaletta, The Perfect Crime. In questo frangente di tempo le interazioni tra la band e il pubblico vengono rese ancora più intense quando Ali Tabatabaee fa salire sul palco due ragazzi (Rosalinda e Pablo) offrendo loro una birra dal piccolo bar facente parte della scenografia. Dopo assoli mozzafiato e circle pits non da ridere, verso la fine si assiste anche ad un crowd surf del bodyguard Mike che cavalca un’anguria gonfiabile sulle note di I Will Always Love You. Cala il sipario, e si aspettano con ansia gli headliner.
L’attesa finisce ed entrano prorompenti i Sum 41, che fanno partire un applauso difficile da scordare in tutto il Lorenzini. La reazione della folla alle prime due canzoni vale da sola il prezzo del biglietto: Turning Away, estratto dal loro ultimo album Order in Decline uscito durante l’anno appena trascorso, è caratterizzata da un sound energico con tanto di sollecitazione da parte di Whibley a una frenesia pre-assolo di Dave Baksh, e bisogna ammettere che il cantante è riuscito nel suo intento. Da non dimenticare la doppia cassa di Frank Zummo, accompagnato dal basso di Jason McCaslin, che rende ancora più dinamici i brani proposti e offre maggiore godibilità rispetto al “classico pattern” da canzone punk. Baksh e Tom Thucker in live hanno una notevole e ammirabile voglia di improvvisare che viene ben accolta dai presenti durante The Hell Song, la seconda canzone della setlist, nonchè una delle prime hit dei Sum ad essere entrate nella pop culture (meritatamente).
Colpisce in particolar modo anche la scenografia che può essere riassunta brevemente in: palloncini, coriandoli e gonfiabili, senza nulla togliere ai giochi di luce non banali e alle ormai note e tuttora apprezzate fog machines (o più semplicemente “macchine del fumo” che dir si voglia). A volte gli assoli vengono utilizzati per poter fare delle transizioni da un brano all’altro come quella da Motivation a The Bitter End in maniera particolarmente naturale ed efficace (considerando anche il cambio colore), ed è stata particolarmente apprezzata con un applauso generale che ha sovrastato anche Zummo e la sua batteria.
Mi sento di ricalcare alcuni episodi che mi hanno estremamente colpito: il primo avviene durante l’intro di Walking Disaster, che viene ricordato sicuramente perché la folla ha illuminato il Lorenzini con la torcia del proprio telefono; altra scena memorabile, anche se si tratta di un insieme di transizioni avvenute durante il live, è il passaggio da una canzone triste a una decisamente più adatta ad un pogo degno di nota (l’esempio più lampante è il passaggio da Pieces a The People Vs…), anche se è valida la regola per la situazione contraria (da In Too Deep a Never There, eseguita tra l’altro al piano con naturalezza e sensibilità mostruose); l’umanità presente nell’intero concerto.
E grazie soprattutto a questa indulgenza tutto l’evento si è rivelato essere una vera e propria manna dal cielo, per tutti coloro che vi hanno partecipato. Ho assistito a tante persone over 30 che si sono sentite libere di poter esprimere loro stesse in un luogo dove il giudizio altrui non è più un peso. Ho visto giovanissimi danzare come se non esistessero più problemi di alcun tipo. Altrettanta gente si è unita tramite il rito del pogo, del circle pit e del wall of death. La performance non ha mai perso di qualità, Whibleck è stato capace di utilizzare la sua voce in più stili di cantato e ha saputo intrattenere il pubblico in maniera eccelsa, dalle canzoni con influenze pop punk, a quelle che si prendono spunto sia dal punk rock che dall’hardcore punk vecchio stile.
Nonostante non siano più così giovani, i Sum 41 hanno portato un livello di interazione tra la folla e la “star”, scendendo anche dal parco e andando a cantare Underclass, Catching Fire e Pieces al mixer; perché la frase “I feel love right here”, la dedica al fu Kobe Bryant e quell’inaspettato encore acustico di Best of Me inaspettato nel momento in cui quasi tutti, me compreso, se ne stavano andando, come per chiedere un ultimo momento insieme, scaldano il cuore. Ed è per questo che, grazie ai Sum e agli Zebrahead, posso rispondere al mio quesito iniziale. “Il punk è davvero morto?” Il movimento sì, ma le emozioni che suscita sono ancora vive.
Clicca qui per vedere le foto dei Sum 41 a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)
SUM 41 – La scaletta del concerto di Milano
Turning Away
The Hell Song
Motivation
The Bitter End
Over My Head (Better Off Dead)
We’re All To Blame
War
Out For Blood
A Death in the Family
Walking Disaster
With Me
No Reason
Fake My Own Death
45 (A Matter of Time)
Screaming Bloody Murder
Underclass Hero
Catching Fire
Pieces
The People Vs…
Fat Lip
Still Waiting
We Will Rock You (Queen Cover)
In Too Deep
Never There
ENCORE: Best of Me