Articolo di Marzia Picciano | Foto di Andrea Ripamonti
L’ozio è il padre dei vizi, chi era costui che lo diceva? Perché se guardiamo alla parabola (intesa come insegnamento biblico) degli Idles, la band capitanata dalla carismatica figura di Joe Talbot che negli ultimi anni ha fatto capire che esiste una nuova via per il rock alternativo made in UK, Bristol-based and inspired direi, diremmo che ha detto una grossa cavolata, soprattutto dopo il loro live italiano di ieri 5 Marzo all’Alcatraz, un sold out da mesi, per presentare alle masse l’ultima fatica, TANGK. (Spoiler del gioco di parole: gli Idles concludono i loro show dicendo “we’ve been idles, and you’ve been perfect”, ora possiamo andare avanti).
Gli Idles, alla faccia del commitment, lavorano al loro sound brutale, nero, vigorosamente onesto e vitalmente snervante dal 2009, e oggi possono dire di essere arrivati a quel grado di consenso più o meno generale per cui una band che fa post-punk (perché solo punk non si può dire) in maniera così innovativa si dovrebbe dire si, soddisfatta ma anche orgogliosa. Insomma non è scontato, e sicuramente non è da fannulloni. Noi ieri siamo stati perfetti a Milano, ma loro di certo non hanno scherzato.
Quale sarà stata la chiave del successo? Testi che sono arringhe (alla destra conformista e bigotta, leggi: Tories) alla Allen Ginsberg in voce a un frontman dallo standing e vocal magnetici e vigorosi quanto un hooligan? Una band di altrettanto pazzi scatenati, un sound che arriva violento come il giorno del giudizio? Certo, con TANGK c’è stato l’ammiccamento a quello che un po’ colpiva dei primissimi Kasabian, al sound metafisico dei Radiohead (la firma di Godrich è palese), quella commistione di elettronica amalgamatrice, che addolcisce (e allarga la platea di ascoltatori) e che già dall’inizio con la opening track sembra suggerirci che la musica qui è diversa, meno urlata forse, ma più pensata. C’e’ chi nella fan base non ha apprezzato appieno questa svolta, ma è vero che i semi di una rivoluzione come quella del payoff “Love Is the Fing” erano già ben presenti in Ultra Mono quando con Grounds si cercava di mettere in connessione la violenza di un synth sparato contro un colpo ben assestato di cassa (maledetti, l’avete fatta a Madrid ma non ieri). È presente nel cuore dolce (si, dolce, perché c’è un boato di dolcezza in TANGK, sparata in faccia come aria compressa direbbe qualcuno) dei pezzi presenti in scaletta ieri, da Gift Horse, Grace a Roy. Ma andiamo con ordine, anche se ieri l’unico ordine che abbiamo visto è quello della scaletta.
Aprono i DITZ, altra band inglese con altro nome evocativo, direi praticamente in linea con gli indolenti. Cal Francis è perfetto nella sua Brighton gal lady mise e ci butta dalle 8 di sera in un concerto di hardcore così viscerale da pianificare i nostri pensieri per Joe e soci senza soluzione di continuità.
Alla seconda track Cal si getta con drammatica indolenza nel pubblico (sarà il leitmotiv di tutta la serata), mentre aizza il pubblico su una hit martellante come Dead Würst, e poi va a prendersi una birra al bar mentre canta. Dadaismo e showbiz, is this punk? Mi viene da dire ovvio, nel senso: punk è un modo di essere, non necessariamente un genere. Perché qui c’è di tutto.
Ma ai DITZ dedicheremo uno spazio a parte (stay tuned, e grazie Enzo Lorenzi per averci fatto scoprire questa chicca).
Hammers and Smiles dice Talbot parlando della sua musica, ed è vero, perché se c’è qualcosa che è evidente nella live di ieri è la feroce ironia che pervade le mimiche facciali della band (a parte quelle disperate allo staff per il volume degli strumenti), insomma se non fossero inglesi direi che non hanno nulla della fredda espressività nord europea (irony added). Ma sono i sorrisi feroci che accompagnano ogni loro invettiva, da Mother (The best way to scare a Tory is to read and get rich) al classicone da stadio I’m Scum, questo arricchito per l’occasione da un recall alla situazione tragica di Gaza (la dedica alle vittime palestinesi e non saranno poche le occasioni per urlare Palestina viva o libera). Del resto, se c’è una cosa che gli Idles sono è quello di essere politici. Rientrano perfettamente nello spirito punk sotto questo aspetto – anche se hanno fatto di tutto per togliersi questo appellativo (e anche se le loro origini non working class lo tradiscono). Mettono insieme tutto: classismo, razzismo, mascolinità tossica. E sono anche sempre attuali, a questo punto è importante la considerazione su Danny Nedellko, canzone dedicata all’amico ucraino cantante della band Heavy Lungs e scritta in appena post Brexit, che oggi dopo la pandemia ha ancora un nuovo significato (ed è love, amore). È politico anche il martellare incessante della batteria, gli infiniti stage diving di Mark Bowen e Lee Kiernan, il pogo (contenuto, mi dicono, rispetto al Carroponte dell’estate scorsa, ma sempre fomentatissimo) chiamato appena all’inizio dello show, dove passata l’ipnotica Idea 04 apre le poderose tamburate di Colossus e una divisione del parterre – mar Rosso all’urlo di “are you ready to collide?” e insomma si scatena l’inferno che dura fino alla fine, anche grazie a una costruzione attenta della scaletta che su 24 pezzi tiene alla fine sia Danny Nedellko, Never Fight a Man With a Perm, War e Dancer (ma quanto amo il mix con i LCD Soundsystem? Quanto?).
È chiaro che lo show di Milano ma non solo, tutto questo tour per gli IDLES è un importante banco di prova o passerella di lancio per un livello ancora più alto. È una mitragliatrice (dice così la nostra Serena Lotti) e io sono d’accordo, uccide per la velocità, il volume, la violenza, ed è stato così che mi hanno conquistato questi cinque folli, il non pensare, agire, urlare, seguire un indicazione che non sia “fai del tuo meglio per essere il figlio perfetto di uno schema sociale cannibale e ingiusto”.
Un po’ come quando mi faccio mistrattare dal PT a suon di squat dopo una giornata seduta al monitor. Ma loro urlano: fai l’opposto, sii altro, getta la maschera che ti hanno costruito. Piangi. Gli IDLES svegliano il vigore vorticoso che è in noi decostruendo il senso del punk e di una realtà che non ci appartiene più e ora paghiamo il prezzo di questa discrepanza rifugiandoci si, nel rifiuto e nel disimpegno.
È il caso di dirlo: anche noi siamo stati indolenti, ma voi, Idles, siete stati perfetti.
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IDLES – La scaletta del concerto di Milano
IDEA 01
Colossus
Gift Horse
Mr. Motivator
Mother
Car Crash
I’m Scum
1049 Gotho
The Wheel
Gratitude
Divide and Conquer
POP POP POP
Television
Roy
Samaritans
Grace
Hall & Oates
Crawl!
A Hymn
War (Tour debut)
Never Fight a Man With a Perm
Dancer
Danny Nedelko
Rottweiler