Articolo di Simona Ventrella | Foto di Davide Merli
Non capita spesso di poter assistere allo spettacolo di una band così prolifica e fuori dagli schemi come i King Gizzard & The Lizard Wizard, ma ieri il “settebello” australiano si è concesso in tutto il suo splendore al pubblico italiano, nella loro unica data all’Alcatraz di Milano. Dal 2010 i sette ragazzoni australiani hanno pubblicato quindici dischi, gli ultimi due nel 2019, e non c’è da sorprendersi se qualche anno fa il carismatico frontman Stu Mackenzie dichiarava: “Amo fare i dischi; è la cosa più divertente del mondo”. Un bel volume di materiale, che come un viaggio schizofrenico e sotto effetto di droghe allucinogene, prende lo shuttle express per fare il giro della musica in lungo e in largo, fregandosene altamente di logiche di marketing, etichette, generi e stilemi. Una vera e propria emorragia creativa, mai arginata e in continua attività, che li ha portati ad esplorare il rock, il progressive, i beat anni 60, quelli anni 70, fino al più recente Inferst The Rats’ Nest in cui si lanciano nel metal thrash sci-fi anni 80. Non sorprende affatto che con questa mole di canzoni ogni loro live assuma una forma e un vita propria, ogni show è un happening unico piegato sotto i colpi del proverbiale nonsense della band. Milano non fa eccezione e la scaletta del live riserva non poche sorprese, tra cui l’esclusione di alcuni “pezzoni” storici, come Rattlesnake, a favore delle produzioni più recenti: Fishing For Fhising (2019), Polygonwanaland e Murder of The Universe (2017).
In un Alcatraz sold out, la partenza è di quelle al fulmicotone e la band apre le danze sganciando due bombe psicotiche metal slayer thrash, che fanno impazzire la folla, con le chitarre padrone del palco lanciate in divagazioni psych stoner, che manco i Rammstein della prima ora si immaginavano di fare. Questa carica energetica in salsa thrash cede il passo, ma non il ritmo, alle avvolgenti percezioni sensoriali cariche di psichedelia moderna e nostalgia per gli anni 60, in cui Ambrose Kenny-Smit compie le sue magie con keybord e armonica. Il ritmo incalzante, destrutturato e imprevedibile, è l’elemento che trascina i pezzi e i due batteristi Michael Cavanagh ed Eric Moore, coordinati nelle loro tutine rosse fuoco farebbero invidia alla nazionale di nuoto sincronizzato, per la precisione con cui si serpeggiano tra piatti e rullanti. Con la loro solidità rappresentano il pilastro che regge la libertà dei tre chitarristi e li lascia liberi di sbizzarrirsi in pseudo infinite e ipe- precise jam session. Non c’è spazio per sbavature e divagazioni, in scena c’è solo una grande e perfetta macchina da guerra, che funziona su regole ed equilibri a noi sconosciuti, ma che riserva sempre continui colpi di scena. Così tra un rock and roll fluttuante, si innesta il power metal, per poi scomparire nuovamente nel fumoso prog, e ricomparire vestito di garage a perdifiato. La fine come l’inizio è un concentrato di materia infuocata, che fa saltare magliette sudate e teste convulse in scatenati head banging, tanto che la mancanza di encore lascia tutti delusi e ancora affamati. Assistere ad un loro concerto è come partecipare ad una battaglia tra band e a fine serata non saper scegliere quale preferire, ma va bene così. I King Gizzard & The Lizard Wizard sono sette adorabili matti australiani, e che piacciano o meno, con il loro talento e impegno, sono riusciti a ottenere il proprio spazio nel mondo della musica internazionale ignorando ed eludendo regole e consuetudini e abbracciando la loro personale e libera visione della musica, continuando a fare la cosa più importante di tutte: divertirsi.
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KING GIZZARD AND THE LIZARD WIZARD – La scaletta del concerto di Milano:
Self- Immolate
Organ Farmer
Plastic Boogie
Inner Cell
Loyalty
Horology
This Thing
The Bird Song
CyBoogie
Venusian 2
Hell
The Great Chain Of Being
Hot Water
Evil Death Roll
The Bitter Boogie
Digital Black
Han Tyumi, The Confused Cyborg
Vomit Coffin
Murder Of The Universe

Mirco
16/10/2019 at 22:44
trash? psych-stoner i rammstein (scritti male poi)? ma dai.
rockon
17/10/2019 at 15:28
grazie per la segnalazione Mirco, abbiamo corretto i refusi!
Gabriele
20/10/2019 at 14:35
Band clamorosa…can neu hawkind acid mother Temple Slayer kraut minimale flauto che rimanda ai primi kraftwerk se non addirittura ai pre-organization… si divertono anche a scimmiottare gli sleep e suonano anche decisamente meglio….la band universale..!!! Sto rosicando. Non poco per non averli visti dal vivo dove sicuramente danno tutto e anche di più!