Foto di Federico Buonanno | Articolo di Jennifer Carminati
La data italiana del tour “European Siege 2021” inizialmente prevista lo scorso autunno per i motivi che non vogliamo ricordare è stata posticipata di un anno ed eccoci qui questa sera di ottobre sempre in quel dell’Alcatraz. Il locale meneghino, spesso tempio del metal quando ci si aspetta di vendere qualche migliaio di biglietti, è pronto ad accogliere con calore questa variegata compagine. Gli svedesi Arch Enemy e i polacchi Behemont, due delle metal band europee più acclamate da sempre, si esibiranno sullo stesso palco, assieme ai leggendari Carcass, considerati special guest del tour.
Opener la nuova rivelazione del gothic metal, gli Unto Others, che in passato si chiamavano Idle Hands ma a causa dell’omonimia con un’altra band han cambiato nome mantenendo però lo riferimento biblico. Complice un orario d’inizio davvero troppo presto, son da poco passate le 18 quando i quattro ragazzotti statunitensi fanno il loro ingresso sul palco, suoneranno davanti a qualche centinaio di astanti. Un intoppo che, fortunatamente, non ha creato troppo disagio a Gabriel Franco e compagni, che sono riusciti a capitalizzare l’interesse dei presenti con la loro intrigante commistione tra heavy metal classico e gothic rock, che è riuscita a fruttargli un contratto con la Roadrunner Records , fornendo loro gli strumenti per compiere il proverbiale salto di qualità con la pubblicazione del secondo album ‘Strenght’ nel 2021.
Non si tratta di una novità ma piuttosto di un esperimento già proposto in passato, ma ben riuscito agli Unto Others; è innegabile come i ragazzi di Portland abbiano portato una boccata d’aria fresca nelle scena dall’aria un pò stagnante, con la loro personalità e un’azzeccatissima formula fatta di arpeggi e note pulite a creare il substrato gothic rock, mentre l’anima metal esplode in riff di chitarre e parti soliste più dure e graffianti. Come spesso accade sarà il fatidico terzo album a delineare la strada definitiva verso il successo o verso la discesa del dimenticatoio, ma punterei più su una loro un’ulteriore ascesa, perché in questa mezz’ora a loro disposizione ci sono piaciuti assai, e di fronte avevano un pubblico assai variegato che andrà ad infoltire sicuramente la loro fanbase. Come promesso da Franco “we will back soon”, e noi vi aspetteremo con piacere.
Dopo un brevissimo cambio set arriviamo all’orario dell’aperitivo per la maggior parte dei milanesi, ma anche questa sera preferisco avere una birra in mano e godermi lo show purtroppo ridotto ai minimi termini dei Carcass, band che indiscutibilmente finirà sui libri di storia del metal. Carriera la loro partita sottotono ma negli anni i re del grindcore e del death metal han guadagnato sempre più consensi che all’inizio sembravano ben lontani dall’arrivare. Sul palco vengono montati dei “frigoriferi” con pannelli video su cui verranno proiettate scene macabre di autopsie, corpi putrefatti, utensili vari utili ai fini di infliggere torture e non certo fare bricolage, immagini che rimandano a testi di medicina e anatomia e schizofreniche visioni di malattie nonché devastazioni. Insomma, il giusto sfondo a una band che già nella scelta del nome ha voluto rendere ben chiaro cosa poi aspettarsi nei lori testi e musiche. Son le 18.55 quando fanno il loro ingresso Jeff Walker e Bill Steer, veri mattatori del gruppo accompagnati da Ben Ash e Daniel Wilding. Il chitarrista è una bestia da palco, macina accordi e riff, muovendosi come un dannato al ritmo di pezzi storici come “Buried Dreams“, tracce di pochi anni fa come l’accattivante “Kelly’s Meat Emporium” e “Under the Scalpel Bladefino” fino ad arrivare al trittico finale, vera e propria manna dal cielo per i loro seguaci. Jeff Walker, è un frontman navigato e riesce a coinvolgere il pubblico che man mano va aumentando in sala. È davvero impossibile non venire colpiti dalla sua voce, aggressiva, diretta e violenta; il timbro poi come definirlo? non è scream, non è growl, è uno sporchissimo e grezzo concentrato di rabbia e odio, il tutto accompagnato dal carisma e dalla tecnica nel suonare il basso. Quello che i quattro ci propongono stasera è una sorta di excursus della loro carriera: i brani si susseguono a ripetizione dalla loro ampia discografia, passando da “Incarnated Solvent Abuse” che dà inizio ad un pogo terrificante, fino agli slow di “This Mortal Coil” e l’intro storica di “Corporal Jigsore Quandary” che incendia gli animi. Solo “Genital Grinder” dal primo album ‘Reek Of Putrefaction’ del lontano 1988, peccato, personalmente lo adoro come album. L’aria è rovente e carica di energia grazie anche al drumming killer di Daniel Wilding, la precisione dei suoi colpi è ormai parte integrante dello stile Carcass. “Corporal Jigsore Quandary” è il pezzo perfetto da far ascoltare a qualcuno per farlo innamorare di loro, con il suo fantastico attacco di batteria e i riff passati alla storia del death metal. Gran peccato non aver ascoltato altri storici capolavori immortali a causa del breve tempo messo a disposizione della band che lo ha comunque egregiamente riempito continuando incessantemente a picchiare a mille, con due vere e proprie macchine da guerra, Steer e Walker, alle quali sembra non sia affatto passato un briciolo dell’entusiasmo iniziale, anzi. Sotto l’assedio del combo inglese il tempo sembra comunque dilatarsi e arriviamo a fine concerto con l’inno “Heartwork”, che regala ancora emozioni fortissime a distanza di due decadi dalla sua uscita e il cui ritornello è cantato da tutto il locale. Con “Carneous Cacoffiny” lo show giunge davvero al termine. Breve ma intensissimo, in tipico stile Carcass, che hanno dato sfoggio di una performance devastante, con la loro classe e la loro voglia di restare ancora a lungo nel regno da loro stessi fondato.
Tocca ora ai co-headliner Behemoth, nati nel 1991 come band puramente black metal e virati poi verso sonorità più death, creando uno stile personale che li caratterizzerà nel tempo. Forti di una nutritissima discografia che ha in “Opvs Contra Natvram” il suo capitolo più recente, dal quale ci proporranno “The Deathless Sunv”,”Ov Fire and the Void” e “Off to War!”. Il fuor-piece polacco gode di ottimi suoni e le granitiche chitarre che macinano riff possenti e serrati, supportati da una sessione ritmica impressionante per velocità e robustezza, catturano da subito l’entusiasmo dei presenti che nel frattempo hanno quasi riempito il locale. Le feroci parole di “Ora Pro Nobis Lucifer” decantate da un incappucciato e indemoniato Nergal apparso improvvisamente sul telo bianco che ha coperto il cambio palco accompagnano l’ingresso dei Behemoth sul palco. Le due mini gradinate ai lati della batteria, sui cui spesso i musicisti si piazzeranno, i simboli esoterici e le immagini blasfeme proiettati alle spalle di essa durante lo show, il fumo e le luci sono stati studiati fino all’ultimo dettaglio, come ci si aspetta da loro.
I quattro musicisti con l’abbigliamento nero (neanche a dirlo), il trucco “corpse paint” e le movenze perfettamente sincronizzate, danno inizio ad uno show inattaccabile per l’aspetto visivo e l’accuratezza esecutiva. Il protagonista assoluto è Nergal con la sua presenza scenica fenomenale e inimitabile. Inferno alla batteria, con l’impeccabile tecnica dei blast beats è in piena sintonia con Orion al basso e Seth alla chitarra. La scaletta porta in scena la brutalità di “Daimonos” e l’oscurità di “Versvs Christvs”. La blasfema “Bartzabel” e la potente “Blow Your Trumpets Gabriel” sono indubbiamente i picchi della prestazione dei Behemoth. A chiudere l’antemica e infernale “Chant For Eschaton 2000” che porta all’uscita di scena dei deathers polacchi tra infiniti applausi e il giusto tributo alla prestazione di alta classe, estrema professionalità, perfetta esecuzione musicale e potenza scenica alla quale abbiamo assistito in questo poco più di un’ora a loro disposizione.
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A coprire il terzo e ultimo cambio palco un altro telo, questa volta però riporta a caratteri cubitali la scritta Pure Fucking Metal, stampata anche sul merchandising dei tanto attesi Arch Enemy che personalmente non ho ancora visto dal vivo dalla dipartita di Angela Gossow e non nascondo che la curiosità era soprattutto nel poter assistere alla performance della bella (e non solo) Alissa White-Gluz. Si dice che il loro nome sia una garanzia dal vivo e, !attenzione!, spoiler in arrivo, anche questa volta ce ne daranno una riprova, qualora fosse necessario. La scaletta, come era lecito aspettarsi, è incentrata su ‘Deceiver’, undicesimo e ultimo album della band uscito quest’estate. L’opener è proprio è affidata alla titletrack, primo singolo estratto, riffing a là Fear Factory con sonorità più estreme che difficilmente si ritroveranno poi nell’album (ammetto di non essere andata oltre il secondo ascolto), da cui questa sera ci proporranno: “House of Mirrors”, “The Watcher”, “Sunset Over the Empire” e l’ultimo singolo “In the Eye of the Storm”, anthem da pogo perfetto per sfruttare al meglio la presenza scenica di Alissa e i fratelli Amott (ricordiamo che Michael è un ex Carcass che ad un certo punto ha deciso col fratello minore Christofer di dedicarsi ad altri progetti e ha fondato gli Arch Enemy nel lontano 1996) . Il genere proposto dal gruppo è un indovinato death metal con venature epico/melodiche e testi molto semplici ed immediati.
La FrontWoman (le maiuscole son volute) ha un volto angelico ma dalla sua bocca escono urla laceranti che non hanno niente da invidiare a tanti cantati uomini che si cimentano nello stile growl; inoltre tiene il palco molto bene e sfrutta appieno la sua femminilità e presenza scenica. Bisogna dire però che contro una performance impeccabile a livello tecnico e strumentale, la voce della cantante fa un po’ di fatica a mantenere gli standard dello studio per tutta la durata dello show; soprattutto quando canta più pulito e nelle tonalità alte ha evidenti difficolta ma credo proprio che possiamo concederlo alla bella e brava Alissa, che ancora a distanza di anni dal suo ingresso nella band subisce gli inevitabili confronti con Angela. Da segnalare le notevoli “Ravenous 2001”, “Nemesis”, e soprattutto, “My Apocalypse” dai toni inquietanti e lugubri.
Riff portanti scontatissimi e ripetute armonie di chitarra come il ritornello invece in “The eagle flies alone”, alla stregua della sopportazione per quanto mi riguarda. Ovviamente in primo piano anche le performance soliste delle due asce di Chris e Michael che sciorinano assoli unici, purtroppo però sempre molto in linea con quanto inciso in studio e mai improvvisati.
Trittico finale lasciato fortunatamente a pezzi della Gossow/Liiva-Era, quali le killer songs “Field of desolation”e “Enter the machine” mentre il compito di chiudere è lasciato all’infernale “Vox stellarum”, uno dei pezzi più apprezzati in assoluto nella loro discografia, caratterizzato da un riff portante micidiale a cui è difficile sfuggire. Ricapitolando, in questi soli 80 minuti in scena, abbiamo visto una band compatta, capace di tirare fuori canzoni perfette per un live, ma bloccata alle solite melodie, ai medesimi assoli centrali armonizzati, ai ritornelli stucchevoli e certi riff assolutamente troppo ripetitivi.
Gli Arch Enemy sono il perfetto emblema degli ultimi anni nel nostro beneamato metal: le band devono scegliere se restare fedeli al proprio sound a discapito spesso di fama e successo, o virare verso sonorità più melodiche e orecchiabili e aumentare così considerevolmente la fan base e arricchire al contempo il portafoglio. Personalmente continuo a preferire la coerenza, ma de gustibus.
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In conclusione, serata veramente riuscita in tutto e per tutto, pubblico soddisfatto e contento, me compresa, che lascia l’Alcatraz dopo quasi sei ore, tornando a casa a piedi questa sera e non correndo per prendere i mezzi in tempo, con le orecchie che mi fischiano che è un piacere, e davvero lo è.
ARCH ENEMY – la scaletta del concerto di Milano
Deceiver, Deceiver
War Eternal
Ravenous
In the Eye of the Storm
House of Mirrors
My Apocalypse
The Watcher
The Eagle Flies Alone
Handshake With Hell
Sunset Over the Empire
As the Pages Burn
Snow Bound
Nemesis
Fields of Desolation (Outro)
Enter the Machine
Vox Stellarum