Quando si entra nel mondo degli Ulan Bator non si sa mai che cosa aspettarsi. Il gruppo francese, ma attualmente è per metà italiano, è uno dei pochi che dopo vent’anni riesce ancora a stupire e a sperimentare, senza risultare mai uguali a sé stesso. Se la matrice del suo sound resta sempre il post rock, il percorso che il quartetto intraprende è pieno di incognite e di piacevoli sorprese, fatte di avant rock, noise, tratti psichedelici, momenti aperti ed altri profondamente introspettivi.
I primi dieci minuti racchiudono “Take off”, un lento espandersi di aperture roteanti e circolari che si concludono con un brusio noise. La tribale e mantrica “We R you” è un proto-industial da far invidia agli Einstuerzende Neubauten. Nella martellante “Ah Ham” il quartetto intreccia chitarre, andando oltre ogni forma di sperimentazione della sei corde, che si racchiude in un sibilo urticante. Inquietante, sferragliante e ambient viene resa “Colare”, mentre “Bugarach”, sembra uscire dalla sperimentazione e più strutturata, ma è soltanto un’illusione, perché la base sferragliante ci riporta nei meandri del noise sperimentale. Il disco ha anche un tratto spirituale con “Jesus BBQ”, brano assolutamente straniante, come lo sono tutte le religioni, che fanno perdere il contatto con la realtà.
Con questo disco gli Ulan Bator dimostrano che se si ha il giusto intuito e la curiosità che ogni artista dovrebbe sempre avere, si può ancora osare e fare dell’ottima musica sperimentale.

